L’angolo di Full: “La barca”
La barca
La domanda mi giunse inattesa mentre si pranzava, tutti insieme, nella piccola casa di Loano:
«Fulvio, perché la barca?»
A formularla, con tono gentile quanto deciso, era una signora matura, corpulenta e severa. All’epoca, mia candidata suocera; una parentela peraltro mancata. Ricordo che i suoi familiari opponevano, a turno, velleitari moti di ribellione al suo rigido matriarcato.
Qualche giorno prima avevo speso una parte cospicua dei miei risparmi per l’acquisto della mia prima barca e la signora, probabilmente, non ne condivideva l’aspetto finanziario.
Cosa risponderle? Non potevo certo farla partecipe dei sogni e delle fantasticherie cui m’abbandonavo lungo i pontili delle marine o seduto sulle bitte dei porticcioli. Ancora non sapevo cosa significasse veramente una barca.
Secondo Porchia l’anima sarebbe fatta di sofferenza perché “quando guarisce dalla sofferenza, l’anima muore”.
Traboccavo dunque di vita interiore mentre prendevo il largo sotto una smagliante luna di marzo. Lontano lampeggiava un temporale e, col montare del vento, sentivo salire in me quell’euforico senso di libertà che il rischio infonde.
“Chi si cerca trova” recita un aforisma giocando con un vecchio proverbio e dove conta soltanto il proprio semplice esistere, ritrovarsi è più facile.
Quella che da lontano sembrava una chiazza di schiuma luccicante sotto la luna, si rivelò una piccola colonia di gabbiani addormentati fra le onde. Dopo aver zampettato, goffi, in qualche discarica, erano tornati alla maestosità del loro ambiente. Erano tornati a “balenare in burrasca”, le ardite silhouette scolpite dal vento e il nido… in un’onda: nessuno più libero e più nudo. Dormivano confusi con l’argento della luna, in una solitudine totale che cicatrizzava la mia, più banale, di tutti i giorni.
La signora era rimasta col cucchiaio a mezz’aria e lo sguardo sospeso su di me per impedirmi di eludere la domanda, la quale peraltro mi evocò l’immagine del mio nuovo amico, “L’aquilone”, che si dondolava placido alla boa, e proprio nella retorica del suo nome colsi il senso da dare alla risposta.
“La barca non è soltanto una barca” esordii un po’ banalmente mentre cercavo una battuta convincente e possibilmente conclusiva.
Nelle ventiquattro ore che trascorsi nella burrasca, aggrappato a un’ancora galleggiante con cento metri di cima e di speranza, avvertivo fra me e l’imbarcazione una sorta di reciproca, fondamentale collaborazione. Quando, affranto dalla fatica, dal sonno e dal freddo, mi rannicchiai nella cuccetta, dopo aver calato il grosso imbuto di tela, fu ‘L’aquilone’ a montare di guardia.
Lo sentivo resistere gemendo e vibrando in ogni fibra, lo vedevo ricomporsi dopo i salti più incredibili, mi si ripercuotevano nella schiena le terrificanti mazzate che colpivano lo scafo il quale reagiva, ora contrastando gli elementi, ora assecondandoli, come un consumato marinaio, senza arrendersi mai.
Sin che la si usa per il bagno domenicale o per calare la lenza, la barca non è che un oggetto, un natante, un mezzo, un passatempo. Ma è sufficiente averla compagna di una emozionante avventura, o disavventura, per avvertire un rapporto più profondo. Così, mentre si sale a bordo, lo sguardo potrebbe vellutarsi in una carezza, come la mano del cavaliere sul collo del proprio destriero.
«La barca non è di certo un investimento» ammonì la signora.
«Potrebbe esserlo per lo spirito» mi suggerì ancora “L’aquilone”.
Non so se dipese dal tono conclusivo che diedi alla risposta o se fu il timore della donna di addentrarsi in concetti, a lei poco familiari, fatto sta che non replicò né tornò sull’argomento.
Dallo sguardo arreso che rivolse alla figlia, capii che mi reputava irrecuperabile.
Nella quiete del mio giardino, fra lunghe ciglia di ginestre, occhieggia un piccolo stagno alimentato dalle sommesse cantilene di un ruscello.
Non so quale anelito m’indusse a incastonare quell’ “acqua marina” nel mio prato. Forse fu una mia interpretazione di Kazantzakis: “Avete i pennelli e avete i colori: dipingete il paradiso e poi entrateci”.
E un giorno dipinsi una barca in mezzo al mare e vi salii.
Forse volevo soltanto il mio nido fra le onde.
–
Fulvio Musso
Da “Nautica” n. 410
Dedico questo brano ai numerosi lettori de “Il mio giornale” che risiedono nelle nostre due grandi, splendide Isole.
Fulvio
grazie da parte di una di questi lettori! 😉