L’angolo della poesia: “Un populu” di Ignazio Buttitta

Cari lettori amanti della poesia,

visto il successo che la rubrica sta avendo, abbiamo deciso di ampliarla ed aggiungere la pubblicazione di versi in dialetto. Ci sono tanti poeti dialettali in Italia ed il nostro obiettivo è quello di far conoscere ancora di più queste “lingue” che ormai con gli anni vanno scomparendo e diventano sempre più desute nel linguaggio. Noi per presentare il nuovo angolo della poesia dialettale, questa settimana vi presentiamo un poema in versi che rappresenta a pieno il nostro obiettivo: Un populu del grande poeta bagherese Ignazio Buttitta. Non c’è bisogno di commentare questi versi che parlano da soli. Quello che mi sento di dire è solo: grazie Ignazio!

Un populu

mittitilu a catina
spughiatilu
attuppatici a vucca
è ancora libiru.

Livatici u travagghiu
u passaportu
a tavula unni mancia
u lettu unni dormi,
è ancora riccu.

Un populu
diventa poviru e servu
quannu ci arrubbanu a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempri.

Diventa poviru e servu
quannu i paroli non figghianu paroli
e si mancianu tra d’iddi.
Mi nn’addugnu ora,
mentri accordu la chitarra du dialettu
ca perdi na corda lu jornu.

Mentre arripezzu
a tila camuluta
ca tissiru i nostri avi
cu lana di pecuri siciliani.

E sugnu poviru:
haiu i dinari
e non li pozzu spènniri;
i giuelli
e non li pozzu rigalari;
u cantu
nta gaggia
cu l’ali tagghiati.

Un poviru
c’addatta nte minni strippi
da matri putativa,
chi u chiama figghiu
pi nciuria.

Nuàtri l’avevamu a matri,
nni l’arrubbaru;
aveva i minni a funtana di latti
e ci vìppiru tutti,
ora ci sputanu.

Nni ristò a vuci d’idda,
a cadenza,
a nota vascia
du sonu e du lamentu:
chissi non nni ponnu rubari.

Non nni ponnu rubari,
ma ristamu poviri
e orfani u stissu.

.

Ignazio Buttitta

(da Lingua e dialettu, 1970)

 

 Traduzione a cura di Giusy Chiello

Un popolo

Mettetegli la catena

Spogliatelo

Chiudetegli la bocca

È ancora libero.

 

Levategli il lavoro

Il passaporto

Il tavolo dove mangia

Il letto dove dorme

È ancora ricco.

 

Un popolo

Diventa povero e servo

Quando gli rubano la lingua

Datagli dal padre

È perso per sempre

 

Diventa povero e servo

Quando le parole non creano parole

E si mangiano tra loro

Me ne accorgo ora

Mentre accorgo la chitarra del dialetto

Che perde una corda al giorno

 

Mentre rammendo

la tela rovinata

che hanno tessuto i nostri avi

con lana di pecore siciliane

 

E sono povero:

ho i soldi

e non li posso spendere;

i gioielli

e non li posso regalare;

il canto

in gabbia

con le ali tagliate

 

Un povero

Che ciuccia nel seno vuoto

Di madre putativa

Che lo chiama figlio

Per soprannome.

 

Noi ce l’abbiamo la madre

non ce l’hanno rubata;

aveva il seno pieno di latte come una fontana

e ci hanno bevuto tutti

ora ci sputano.

 

C’è rimasta la sua voce

la cadenza

una nota bassa

del suono del lamento:

questi non ce li possono rubare

 

Non ve li possono rubare

ma restiamo poveri

e orfani lo stesso.

Inviateci le vostre poesie in dialetto. Saremo lieti di pubblicare i versi scritti nelle “lingue italiane”.

 Giusy Chiello

Redattrice-giusy.chiello@ilmiogiornale.org

3 thoughts on “L’angolo della poesia: “Un populu” di Ignazio Buttitta

  1. Magistrale ma del tutto inutile per un popolo., quello italiano, che si riempe la bocca di termini propri di lingue senza storia senza conoscerne assolutamente il significato e ignorando che nessuna altra lingua al modo può vantare la precisione terminologica delka nostra. ( ho sentito, ho ascoltato, ho udito, ho sentito; ho visto, ho osservato, ho contemplato, sono solo esempi di quel che sostengo)

  2. Perchè, un tale poeta, non è celebrato come grande fra i grandi?
    Forse perchè lo fa usando ” la lingua addutata di patri??”
    Sono lombardo, di sangue e cultura, ma Buttitta è un Maestro, in quello che dice, e come tale lo riconosco.

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