Quanto detto sul “non dire” al festival di Gavoi

Kagge,Sommermann Weber, Antonelli e Zaccuri

Kagge,Sommermann Weber, Antonelli e Zaccuridi Marcella Onnis

Dopo aver sentito Giuseppe Antonelli al Festival della letteratura di Mantova, seguirei un incontro con lui a prescindere dal tema, semplicemente sulla fiducia. Tanto meglio, però, trovare interessante l’argomento, no? Così è stato per l’appuntamento di sabato 1° luglio 2017 proposto a Gavoi dalla XIV edizione del festival letterario “L’Isola delle Storie”: in tale occasione, il linguista ha dialogato del “non dire” con Alessandro Zaccuri, autore del romanzo “Lo spregio”, ed Erling Kagge, autore del libro “Il silenzio”, affiancato dalla bravissima interprete Juana Sommermann Weber.

«È paradossale e ossimorico parlare del non dire» ha esordito Antonelli, rimarcando poi che «il silenzio è ai confini del linguaggio e non è solo assenza di rumori». Ne esistono, inoltre, tante declinazioni, quali il «silenzio eloquente» e il «silenzio filosofico» che, a suo parere, sono ben descritti nel libro di Kagge. Questi ha così chiarito la “mission” della sua ultima opera: «Ho impiegato un anno e mezzo per spiegare a mie figlie, con questo breve libro, cos’è il silenzio, dove si trova e perché oggi è più importante che mai. Ho trovato 33 possibili risposte e la principale è che il silenzio è il modo che permette di entrare dentro noi stessi e conoscerci meglio. Era il mio obiettivo dimostrare a mie figlie che non è vero che il silenzio non è nulla: è qualcosa».

Lo spregio di Alessandro ZaccuriIl silenzio come linguaggio è quello, invece, su cui si sofferma nel suo romanzo Zaccuri, per il quale «il problema sorge quando due persone non parlano questo stesso linguaggio». In particolare, lo scrittore si è voluto soffermare sul non detto legato al pudore nel parlare dei sentimenti maschili. Un pudore che porta gli uomini, per esempio, a non manifestare le proprie emozioni riguardo alla paternità, a non dire al proprio figlio “Ti voglio bene” perché “è scontato”, perché si può fare affidamento sul «capirsi da uomo a uomo». Riprendendo poi l’affermazione di Kagge per cui il silenzio è qualcosa, Zaccuri ha fatto notare che «il cinema è un buon punto di partenza per apprezzare questo paradosso, perché nasce muto». Poi ha ricordato che un tempo il silenzio era «la condanna dei poveri», in quanto le feste con le musiche erano appannaggio dei ricchi e ai poveri potevano giusto giungerne deboli echi, mentre oggi il silenzio è divenuto il suo contrario: «Siamo perseguitati da musiche ovunque, per cui siamo disposti a ricomprare a caro prezzo la nostra “povertà”: quel silenzio». Riallacciandosi poi a un’osservazione di Antonelli, che nelle sue pagine ha detto di aver ritrovato anche il «silenzio religioso», Zaccuri ha affermato che «silenzio e spazio si parlano molto tra di loro» e che «ne sono un esempio i luoghi sacri».

Quindi, «silenzio come ricchezza, come lusso e non povertà», ma anche come «qualcosa che va costruito» ha ricapitolato Antonelli. «Credo che nella vita siano importanti anche le difficoltà, rendere alcune cose più difficili, anche perché credo che la maggior parte delle persone sottovaluti le sue possibilità» ha commentato Erling Kagge, venendo poi al succo del discorso: «Il rumore è la via d’uscita più semplice perché ci circonda ogni momento. La cosa difficile è sperimentare il silenzio. Di solito scegliamo il rumore: c’è e non abbiamo bisogno di cercarlo. Ed è il modo più semplice di rapportarsi agli altri. La cosa più difficile è ascoltare, creare, il silenzio intorno a noi, che permette di ascoltare il silenzio dentro di noi. Questo è forse il viaggio più importante e complesso. Il nostro silenzio interiore lo possiamo trovare da qualunque parte: seduti in una campagna solitaria o anche in un aeroporto, circondati da rumori diversi». Quindi, riprendendo il discorso di Alessandro Zaccuri sul silenzio come nuova ricchezza, ha affermato che «il silenzio è l’ultima novità in fatto di lusso: esclusiva, difficile da trovare, ma, a differenza di una borsa, non passerà mai di moda ed è gratis».

L’obiettivo cui puntare è chiaro, ma certo non la via per realizzarlo. La domanda successiva di Giuseppe Antonelli a Kagge interpretava, dunque, il pensiero del pubblico: «Come facciamo a pensare senza parole, a ritrovare noi stessi senza passare per le parole?» La risposta dello scrittore ed esploratore norvegese non è stata diretta: «Quando con una donna sono riuscito a mantenere il silenzio per un certo periodo di tempo, comunicando soltanto pensieri con il pensiero, quello è stato il momento in cui più ci siamo avvicinati al significato vero dell’amore».

Il silenzio di Erling KaggeAntonelli ha, quindi, citato alcuni recenti esperimenti volti a ricreare il silenzio assoluto, notizia che Kagge ha accolto con un certo scetticismo: «Non fai mai esperienza del silenzio assoluto perché quando ti sembra di essere nel più totale silenzio, cominciano a introdursi rumori da dentro te stesso: il cuore che batte, la pressione del sangue… Niente è possibile al 100%: ogni esperienza si trova in una gamma tra l’1 e il 99%». Poi ha aggiunto: «Tutto questo che ho vissuto e tentato di raccontare si riduce a una cosa fondamentale: cercare di trovare il nostro centro interiore». E qui Antonelli – che è evidentemente uno di noi – non ha potuto fare a meno di citare “Centro di gravità permanente”… che, aggiunta alle altre citazioni musicali (“The sound of silence” ed “Enjoy the silence”), a suo autoironico parere abbassava il livello della discussione. Ma parliamo di Battiato, Simon & Garfunkel e Depeche Mode, mica Rovazzi, Fedez e Fabri Fibra!

Il silenzio, però, è un concetto ambivalente: Antonelli ha, per esempio, fatto notare che su Google la parola che più spesso lo accompagna è “inquietante”. Da qui la sua domanda ad Alessandro Zaccuri: «Perché il silenzio ci fa così paura?» Per lo scrittore, «ciascuno di noi conosce il suo silenzio e può conoscere quello degli altri. È vero che è qualcosa che conosciamo poco, ma abbiamo sempre gli strumenti per conoscerlo». Poi, concludendo: «Il silenzio ci fa paura perché ci mette davanti a qualcosa di invisibile, qualcosa che va sempre interpretato. Può essere uno straordinario strumento d’amore o può diventare una terribile arma d’odio. Il silenzio è ambiguo: è ricco ed è povero».

E adesso…

shhh

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