Il punto su… le proteste-pretesto contro la riforma Gelmini – 1^ parte

Parlare della riforma della scuola di questi tempi è cosa piuttosto banale, se non addirittura nauseante ed irritante; meno scontato potrebbe essere, però, riflettere sulle proteste contro la riforma o, meglio ancora, sulle proteste tout court, usando la riforma Gelmini come pretesto.

Il punto secondo Marcella Onnis.

Regola numero uno: se decidi di protestare contro qualcosa o qualcuno, prima imparane bene il nome.

Nel corso di una delle recenti manifestazioni, un gruppo di liceali marciava al grido di “Germini! Germini!”: si trattava di un’ironica trovata o di un caso di protesta ignorante? Quelo, personaggio del mitico Corrado Guzzanti, risponderebbe: “la seconda che hai detto”. Ma lasciamo ai posteri l’ardua sentenza.

Regola numero due: se decidi di protestare contro qualcosa o qualcuno, prima informati bene su quel qualcosa o qualcuno (e poi valuta se hai davvero motivi per protestare).

Una studentessa, intervistata nel corso di una manifestazione contro la riforma, ha dichiarato: “Secondo me è giusto che i bambini usino di nuovo il grembiule”.

Ora, che gli studenti manifestino non per convinzione, ma semplicemente per non far lezione è risaputo (e non venitemi a dire che le occupazioni e le autogestioni sono proteste intelligenti e costruttive perché le esperienze positive ed efficaci, calcolate nell’arco degli ultimi decenni, si contano sulle dita di una mano). Troppo spesso, però, anche gli adulti scendono in piazza o, comunque, puntano il dito contro leggi o linee politiche condannate aprioristicamente, dimenticando che è sempre opportuno effettuare valutazioni critiche e selettive.

Finché si discute di classi differenziate per i bambini extracomunitari si può ben parlare di assurdità o, meglio ancora, di illogicità (separare per integrare?!?) e incostituzionalità della riforma, ma ha veramente senso protestare conto il ritorno del grembiule? E poi: è così lesivo per un bambino avere un solo maestro (N.B.: comunque affiancato dal maestro di inglese e da quello di ginnastica, se non erro) piuttosto che tanti insegnanti?

Se poi si fa un discorso di posti di lavoro da salvare, se a protestare sono gli insegnanti, che vedono a rischio il proprio futuro e/o stravolto (per l’ennesima volta) il proprio modo di operare, beh, allora è tutto un altro paio di maniche, anche se – pure in questo caso – occorre comunque prima ragionare, poi parlare e, se è il caso, urlare.

Regola numero tre: se protesti contro qualcuno perché viola le regole, tu dai il buon esempio e le regole rispettale.

Primo esempio pratico (da non imitare): a Cagliari, una mattina di ottobre, gli stessi illustri studenti guidati dallo slogan “Germini! Germini!” hanno bloccato il traffico in un punto della città senza preallertare le autorità di pubblica sicurezza, che non hanno quindi potuto deviare la circolazione e ridurre i disagi per gli automobilisti ed i passeggeri dei mezzi pubblici diretti verso luoghi di lavoro, ospedali, ecc…

Secondo esempio pratico (sempre da non imitare): i partiti di centro(sinistra) e (del fantasma) della sinistra accusano Berlusconi di essere un pagliaccio e per protestare contro il suo governo adottano come strategia preferenziale quella di coniare slogan ed epiteti irriverenti, degni dei migliori cabarettisti. Peccato che i parlamentari non siano pagati per far ridere gli elettori …

Regola numero quattro: se decidi di protestare, fallo perché te lo dice la tua coscienza, non perché lo dice il tuo partito.

Le manifestazioni nascono, spesso e volentieri, dalla fatale unione tra pecorismo e demagogia, così che ogni iniziativa del genere rischia di essere screditata in partenza. Ci sono tante persone pronte a scendere in piazza contro vaghe entità (la politica del Governo, una proposta ancora non definita di riforma …) solo perché il partito di riferimento dice che bisogna protestare, per cui ormai per chi, invece, manifesta con convinzione e cognizione di causa è molto difficile ottenere credibilità.

Se si è antiberlusconiani non si può condannare ogni proposta che proviene dalla sua fazione solo per partito preso; se si è di sinistra non si può appoggiare ogni protesta dei partiti di riferimento senza essersi prima chiesti se, in passato, quei partiti abbiano saputo e voluto fare di meglio.

I tagli alla scuola ed alla ricerca sono repertorio comune dei governi di entrambe le sponde. E chi oggi protesta contro Maria Star Gelmini (come la chiama l’ineguagliabile Littizzetto), anni fa protestava contro i ministri Jervolino e più tardi Berlinguer.

Finché sono i partiti ad essere incoerenti, passi: dopo il primo (e si spera unico) esempio al mondo di governo che scende in piazza contro se stesso, possiamo aspettarci di tutto. Ciò che non dovremmo permettere è che i partiti strumentalizzino temi importanti come questo: il dibattito dovrebbe essere guidato dagli addetti ai lavori, non dai politici.

Regola numero cinque: se decidi di protestare contro qualcosa, prima stabilisci se sei contrario al principio o alla soluzione (e se sei contrario alla soluzione, proponile un’altra).

La Gelmini ha presentato una serie di dati inquietanti sulla scuola e l’università che solo gli stolti potrebbero ritenere in toto pura invenzione (così come certi malcostumi nel pubblico impiego non sono sicuramente brutte favole raccontate dall’antipatico Brunetta): esistono indubitabilmente delle inefficienze che vanno eliminate al più presto, perché è altrettanto certo che i fondi disponibili son pochi e non possono essere sprecati. Ciò che è, dunque opportuno chiedere al Governo non è di non fare nulla, bensì di fare ciò che serve davvero, di salvare il salvabile, di non stravolgere ciò che è più opportuno lasciare com’è (perché, spesso, con un gioco di prestigio davvero miserino si cambiano le cose per poi cambiarle di nuovo e riportarle com’erano).

Regola numero sei: valuta sempre bene quale sia la forma di protesta più efficace dato il contesto.

Ormai si scende in piazza per qualunque cosa, dal problema più concreto alla questione più astratta: ma c’è sempre bisogno di proteste così eclatanti? Davvero non c’è più spazio per la concertazione? E quanto si ottiene in concreto con tali mezzi?

Di regole se ne potrebbero scrivere decine, anche perché predicare bene è la cosa più facile del mondo, eppure basterebbe un unico ingrediente a rendere più efficaci le proteste (e a far sì che ci sia meno bisogno delle stesse proteste): il buon senso.

(continua)

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