Primi souvenir dal Festivaletteratura di Mantova

di Marcella Onnis

Dal 4 all’8 settembre 2013 si è svolta a Mantova la XVII edizione del Festivaletteratura. Quest’anno ho avuto la grandissima fortuna di poterne vivere (mi sembra questo il verbo più calzante) tre giorni e vi confesso che, tornata a casa, è stato davvero difficile mettere ordine  tra gli appunti, le emozioni, le foto e le sensazioni.

Come riassumere quest’esperienza cercando di non annoiarvi e di raccontarvi qualcosa che possiate trovare utile o almeno interessante? Forse mostrandovi i miei “souvenir”.

 

Souvenir n. 1: Mantova

Cominciare dal luogo mi sembra ovvio. E che luogo! «Je le vis, je rougis, je pâlis à sa vue» (“Lo vidi, arrossii, impallidii alla sua vista”): con questo verso il celebre drammaturgo Jean Racine sintetizza, con efficacia e musicalità, il colpo di fulmine di Fedra per il figliastro Ippolito. Ecco, raggiungendo questa città dall’ingresso nord in un giorno di sole, il colpo di fulmine è assicurato: a destra il lago di mezzo circondato dal verde, a sinistra il verde che circonda il lago inferiore, davanti – alla fine del ponte di via Legnago – le rosse mura antiche della città. Il centro storico di Mantova è bellissimo (straordinario, in particolare,  il Palazzo Ducale), mentre la parte più moderna è a misura d’uomo.

L’atmosfera durante il Festival è accogliente e festante, un’esplosione di colori e suoni. Certo, sarebbe curioso vedere la città al di fuori di questa prestigiosa parentesi, ma almeno per ora devo accontentarmi.

Come  in altre città del Nord – penso a Padova, in particolare – i pedoni devono fare più attenzione alle bici che alle auto. Curiosamente, i guidatori delle quattro ruote (non so se facciano eccezione per questo evento) non si spazientiscono per gli ingorghi né per i passanti distratti che – tratti in inganno dall’acciottolato – scambiano le strade per marciapiedi e vi sostano per attendere i compagni di viaggio rimasti indietro, per scattare foto al particolare di un  edificio o per assistere alla performance di un artista di strada. Oppure perché rimasti a bocca aperta nel vedere David Grossman che entra nel suo hotel, Stefano Rodotà seduto a un caffè con la sua signora, Flavio Soriga o Beppe Severgnini che passeggiano in spensierata solitudine, interrotta solo dal saluto di qualche fan.

Ipercalorica e per questo goduriosa la cucina tipica: dai tortelli di zucca allo stracotto, dal risotto alla mantovana al cotechino, dalla sbrisolona alla torta di tagliatelle, dalla mostarda a … Mi fermo qui perché colesterolo, glicemia e acquolina salgono solo al pensiero.

Molto apprezzabili le fontanelle sparse per la città, da cui sgorga acqua fresca e potabile: una manna per i turisti che vogliono risparmiare un po’ (una bottiglietta d’acqua da 50 cl costa in media 1,20 €).

Unici nei: i bagni dei locali del centro storico, quasi tutti angusti e spesso alla turca, e i sampietrini del centro storico, tanto belli quanto scomodi quando ci si deve passeggiare ore e ore per più giorni.

Mantova si candida a Capitale europea della cultura per il 2019: come non sostenerla? Intanto, però, è già di fatto una delle capitali mondiali della cultura. E senza scadenza.

 

Souvenir n. 2: Federica Cardia

Giovedì 5 settembre 2013 – mentre a Mantova splendeva il sole e noi visitatori del festival, ancorché sudati, ci godevamo quest’esperienza magnifica – a Cagliari, più precisamente a Pirri, è sceso il buio in Casa Cardia: Federica, l’eroina moderna che anche a noi ha raccontato la sua battaglia, si è arresa, stremata, al suo atroce destino.
Per me (e sicuramente non sono l’unica) prima del dispiacere è arrivata la rabbia, anche se non dovrebbe essere così: della sua vittoria ne avevamo bisogno, per lei ma anche – egoisticamente – per noi. Avevamo bisogno di toccare con mano che, a volte, le battaglie apparentemente impossibili si possono vincere. Avevamo bisogno di qualcuno che dimostrasse a chi non ci crede che il cancro si può battere. Tuttavia, la sua morte non cambia le cose perché esistono forme curabili di questa malattia, come ha opportunamente ricordato Maria Paola Masala, il giorno dopo la sua morte, sulle pagine dell’Unione sarda. E molto possono fare la prevenzione e la preparazione dei medici. Per cui smettiamola di dire che il cancro non perdona e pensiamo, piuttosto, a sconfiggerlo. Perché – ecco che torna la rabbia – proprio non mi va giù – e credo non solo a me – che nel ventunesimo secolo esistano ancora malattie capaci di uccidere.

Come tanti altri ho affidato al web il mio arrivederci a Federica, non perché “fa figo” ma perché anche io ho pensato che fosse quello il mezzo giusto: è lì che lei ha lanciato la sua sfida al “Grande male” (quel suo Tanto vinco io che ha fatto il giro del mondo); è da lì che ha condotto la sua tenace battaglia; è da lì che ha aiutato tante persone, donando più di quanto ha ricevuto.

 

Lei ci ha indicato una strada: continuiamo a percorrerla, consapevoli che l’importante non è giungere alla meta, ma fare il possibile per raggiungerla.

 

Souvenir n. 3: “al momento esaurito”

Questa scritta ha campeggiato sotto i miei occhi dal 30 agosto (primo giorno utile per le prenotazioni dei non soci del Festival) fino al 5 settembre (giorno in cui ho ritirato i biglietti che avevo prenotato). Purtroppo, i posti disponibili per vari eventi a pagamento sono stati esauriti in tempo record, a volte con le prenotazioni dei soli soci (aperte dal 28 agosto). In alcuni casi gli organizzatori sono riusciti a rimediare cambiando luogo e magari orario dell’evento, ma con un programma così ricco e denso di appuntamenti e di nomi trovare nuovi incastri non sempre è stato possibile. Per i visitatori  a quel punto c’erano due soluzioni (prenda nota chi intende partecipare alle edizioni successive): sperare che si liberassero, magari all’ultimo, posti per l’evento desiderato (io sono stata fortunata) o optare per altri eventi, magari gratuiti, perché a volte azzardando una scelta si può restare piacevolmente sorpresi (mi è capitato anche questo). Agli organizzatori, invece, vorrei suggerire di creare una lista di prenotazione. È giusto riservare un trattamento di favore ai soci, ma non sarebbe male tenere nota di coloro le cui prenotazioni non sono andate a buon fine: in questo modo, quando si libera un posto, si potrebbe contattare il primo della lista chiedendogli di confermare l’intenzione di partecipare entro un breve intervallo di tempo. Con una segreteria così bene organizzata, solerte e cortese, non dovrebbe essere tanto difficile attuare questo sistema.

 

Souvenir n. 4: lo spagnolo

Ho sempre apprezzato questa lingua, ma mai come in questi giorni ho rimpianto di non averla (ancora?) studiata. E incredibile come quelle parole difficili da comprendere se scritte, mi siano risultate facili da capire se pronunciate lentamente. Sarà che sono tante le somiglianze con il sardo. O sarà anche perché, come ha detto Leonardo Padura Fuentes, «quando un cubano parla piano, finisce che parla italiano».

Anche in fatto di lingua e letteratura spagnola il Festival di Mantova mi ha dato occasione di confrontarmi con la mia ignoranza: quanti autori importanti che ancora, inspiegabilmente, non ho letto! E mai mi ero interrogata sulla storia dello spagnolo letterario sudamericano (ma a pensarci bene, eccezion fatta per le nozioni scolastiche, so ben poco anche della storia della mia lingua). Su questo tema, maestro mio e di numerosi altri spettatori è stato il cubano Francisco Lopez Sacha, scrittore, saggista e professore di storia dell’arte.

Da lui abbiamo appreso che la vera rivoluzione linguistica sudamericana per la prosa viene datata 1949 (prima ancora si è verificata nella poesia, con alcuni grandi autori quali Neruda, e poi nella saggistica). È in questo anno, infatti, che sono state pubblicate alcune significative opere letterarie che – per l’innovatività della lingua e non solo – hanno certificato il distacco dello “spagnolo sudamericano” dallo “spagnolo peninsulare” (al Festival “rappresentato” da Clara Usòn). Non solo: in quegli anni alcuni autori, tra cui Borges, hanno reso lo spagnolo americano una lingua universale, sdoganandola dagli angusti confini in cui era nata e vissuta fino ad allora in forma vernacolare. Nei successivi vent’anni l’evoluzione tecnica e stilistica della letteratura sudamericana è stata tale per cui – ha spiegato Lopez Sacha – i ruoli si sono invertiti e il narratore spagnolo ha dovuto iniziare a prestare attenzione al narratore latinoamericano e alla sua produzione letteraria, ormai matura. Anzi, l’autore cubano ha parlato proprio di “maturità letteraria inusitata” e della nascita di un altro spagnolo letterario, per gli accenti, il lessico, la sintassi … E questa nuova lingua si è via via arricchita dei valori letterari di altre produzioni europee (vocaboli compresi).
C’è stato quindi un fiorire di movimenti narrativi unici del Sud America e di forme vernacolari di spagnolo, così che «l’identità letteraria viene ottenuta su tutti i piani», sia nella lingua orale che nella scritta, come anche nello stile.

Naturalmente, anche lo spagnolo sudamericano si è poi diversificato nei vari paesi: Messico, Cuba, Argentina… La sfida era integrare nello spagnolo la spiritualità delle culture indigene (maya, mapuche…) e africana (swahili).

Rispondendo all’intervento di uno spettatore, Lopez Sacha ha confermato che questa battaglia linguistica è paragonabile a quella delle ex colonie portoghesi o di quelle inglesi in Africa e, ovviamente, in America. Ma – ha precisato – c’è una differenza: lo spagnolo americano, diversamente dall’inglese americano o dal portoghese brasiliano, non si è separato dalla “lingua madre”, non è diventato un’altra lingua: si è solo arricchito rispetto a questa, mantenendone la “spiritualità” originaria.

Avere una propria lingua è fondamentale per un popolo che voglia rivendicare la propria autonomia e questo spiega anche le strenue battaglie per la salvaguardia della lingua sarda. Perché la lingua è identità. Nel 1949, ha spiegato ancora Lopez Sacha, sono infatti nati anche altri sistemi di valori e lo spagnolo – ha detto citando Gabriel García Márquez – è diventato “madre di nuovi idiomi”. «L’indipendenza espressiva è la maggiore sfida cui può aspirare una cultura» ha concluso, guadagnandosi un caloroso applauso.

Ma è importante preservare anche gli elementi che accomunano e uniscono, per questo forse ci ha ricordato che anche i sudamericani sono in certa misura cittadini romani, proprio come noi italiani, perché lo spagnolo deriva, come la nostra lingua, dal latino volgare. Insomma, Roma caput mundi est, nunc et semper, in saecula saeculorum.

(continua)

 

Le foto sono di Silvia e Marcella Onnis, eccetto quella di Federica, ripresa dal suo sito Tanto vinco io

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