Non siamo tutti uguali! Parola di Giada Barone

uomo vitruviano

di Marcella Onnis

Siamo tutti uguali! O no? Io su questa cosa ho iniziato a rifletterci ascoltando “Tutti uguali” di Mia Martini:



Solo che non ero mai andata molto a fondo nella riflessione fino a che non sono incappata in “Non siamo tutti uguali” di Giada Barone.
Confesso che, a primo impatto, leggendo la presentazione su Amazon, mi sono detta: “Questo libro o è una bella trovata o è una cagata”. Mi sapeva, infatti, di quelle cose per cui non si addicono le mezze misure. L’istinto, però, mi portava a propendere per la prima ipotesi… che ora l’esperienza empirica può avvalorare.

SIAMO UNICI… – L’unica convinzione ben ponderata sul tema di cui ero in possesso era – ed è – che uomini e donne non sono né devono essere uguali. E se essere femministe significa credere questo, allora no, non sono femminista. Pari opportunità per me significa rispetto, anzi, valorizzazione delle peculiarità di ciascuno. Solo adesso, però, mi rendo lucidamente conto che questo vale anche per aspetti diversi dalla sessualità: etnia, religione, (diversa) abilità … «Parità di diritti, di doveri, non significa siamo tutti uguali» dice l’autrice e mi trova d’accordo come sul fatto che ognuno di noi deve essere rispettato, anzi, valorizzato, per la sua individualità, per la sua unicità che è «[…] un intreccio pazzesco tra le nostre inclinazioni naturali, il nostro sapere istintivo biologico e ciò che ci è stato insegnato, ciò che abbiamo imparato, appreso, percepito, incamerato e a volte involontariamente automatizzato […]». D’altronde, non si dice forse che il mondo è bello perché vario? Ma si sa, amiamo contraddirci, come nella canzone di Mia Martini.

… MA ONNIPOTENTI E IN GABBIA – La contraddizione è ovunque, se non nel carattere di ognuno, di sicuro lo è nelle nostre vite: «[…] ci sentiamo onnipotenti nella gabbia che ci siamo costruiti da soli». Come e perché abbiamo costruito questa gabbia ce lo spiega Giada Barone: «Ormai abbiamo paura di tutto: di mangiare, dormire, respirare… […] Ormai tutto gira intorno al denaro, quindi è bene pubblicizzare le paure e i disastri che in un modo o nell’altro possano produrre un guadagno. E c’è una definizione per tutto, un rimedio a tutto, una medicina per tutto. Perché ormai la società, la nostra società, quella che definiamo avanzata, evoluta, è basata sulla paura. E allo stesso tempo sull’onnipotenza. L’onnipotenza dell’essere umano che si crede invincibile e immortale. L’altra faccia della medaglia. La stessa medaglia. La società attuale nasce, cresce e si sviluppa sul disagio, sul malessere […]».

DIMMI COME PARLI E TI DIRÒ CHI SEI – A condizionarci e ad alimentare le nostre paure quasi sempre sono le informazioni che riceviamo, non solo quelle che forniscono i professionisti (o presunti tali) del settore. Questi, però, hanno la responsabilità maggiore, visto che hanno – o almeno dovrebbero avere – consapevolezza del potere delle parole, della loro capacità di piegare la realtà perché somigli a una piuttosto che a un’altra sua rappresentazione. Sanno, cioè, che «La mente umana è labile, plasmabile, impressionabile, l’informazione falsa più volte ripetuta diventa vera e non dobbiamo stupirci allora di queste catastrofi, di tutte queste catastrofi che accadono nel mondo». O di quelle che, per la stessa ragione, sono già accadute.

«[…] io credo che il linguaggio sia lo specchio di un popolo» scrive Giada Barone e non credo che le si possa dare torto, soprattutto per come argomenta la sua affermazione: «Mi sembra a dir poco assurdo che uno non sappia quello che dice e lo usi come offesa, così, a priori. Ma è molto indicativo e significativo di una società che è basata sul nulla. Si usano le parole così ormai, per passaparola, per sentito dire, senza controllarne il significato. Le diamo per buone solo perché altri lo hanno fatto prima di noi, se pur in modo errato per mandare messaggi errati. E noi ormai non guardiamo più il messaggio, ma solo il messaggero. E il messaggero non lo controlliamo più, e non lo guardiamo più in base al messaggio, o meglio, alla veridicità del messaggio, ma in base alla credibilità apparente dovuta alla forma del messaggio più che alla sostanza».

PARTIAMO DALLA SCUOLA – Consapevolezza e conoscenza sono la base, perché reinterpretare o eventualmente violare una parola o una regola è accettabile solo se chi lo fa sa cosa sta facendo: questo è, a mio parere, uno dei concetti fondanti di “Non siamo tutto uguali”. E la conoscenza inizia a formarsi in famiglia, innanzitutto, e poi a scuola: «le basi della cultura si gettano lì» afferma Giada Barone che sulla scuola, basandosi sulla propria esperienza come insegnante, si sofferma più volte. E io, da profana, sono convinta che le sue considerazioni siano utili per dar vita a una scuola che sia davvero buona, non come quella dello slogan che ormai mi dà la nausea quasi quanto “sì/no” e “non contiene olio di palma”.

Non siamo tutti uguali - Giada BaroneDISABILITÀ? MEGLIO SPECIALITÀ – Partono dall’esperienza didattica anche le sue illuminanti considerazioni sulla disabilità, che l’autrice preferisce definire specialità: «Io non reputo un disabile disabile. Io chiamo tutti per nome. […] Io parto dal presupposto che siano speciali, che abbiano un valore aggiunto proprio per questa varietà di abilità e inabilità di vario genere e tipo […]». Il che non significa avere verso le persone con disabilità uno sguardo accondiscendente: per lei sono «Persone speciali, che ti lasciano un segno nel cuore, nel bene e nel male, che importa in cosa sono o non sono abili, lo scoprirai. Standoci, guardandoli, parlandoci se puoi, se no toccandoli, ascoltandoli, mandandoli affanculo, che ogni tanto ci sta pure visti alcuni soggetti. […] ti rimettono in riga, ti fanno capire chi sei, o, in alternativa, ti fanno capire chi sono loro. Non sono i poverini che molti pensano e soprattutto non vogliono essere trattati così. Hanno una dignità, un’anima, un carattere, e non riconoscerglielo, è un delitto

Ogni persona è un caso a sé – ci ritorniamo – il che vale sia per coloro che hanno una disabilità che per coloro che non ce l’hanno e si ritrovano a contatto con i primi. Per questo trovo molto apprezzabile quanto scrive Giada Barone: «[…] non credo che tutti debbano avere un buon rapporto con la disabilità. Quest’accettazione che diventa spesso buonismo, pietà o finta accoglienza». Ha ragione, infatti, a dire che «La pietà non è […] meno dannosa, la pena, il finto buonismo, le finte opere di bene, sono una lama tagliente, un male sottile e strisciante, spesso invisibile, ma più diffuso e velenoso, espandibile a macchia d’olio e altamente tossico». Per questo, afferma, «È un diritto la paura, il biasimo, e perché no, anche il rifiuto o, brutto a dirsi, la sensazione di ribrezzo, di schifo» purché, però, siamo consapevoli che queste reazioni nascono da un nostro limite: la disabilità «Ti mette a contatto con il tuo disagio, con una diversa forma di bellezza, che a volte può essere deformità».

Particolare lode, poi, meritano per me questi passaggi del suo discorso: «Sono molto aperta alle diversità, di ogni genere e tipo, e le comprendo, condivido, o almeno accetto, e spesso accolgo. Non lo sono altrettanto con chi sfrutta la propria diversità per ottenere favoritismi, e non parità di diritti»; «Non tollero il vittimismo che si manifesta nella continua lamentela unita al perpetuo immobilismo e assistenzialismo che molte persone in difficoltà e non solo pretendono, indifferentemente dall’età, usandolo per ottenere sempre di più, senza sollevare un dito per rialzarsi dal fango o cambiare le cose, in una spirale di avidità senza fine e senza ritegno che Stato, comunità e servizi sociali contribuiscono ad aumentare». Come dico sempre, l’assistenzialismo è una delle cause che hanno portato l’Italia alla rovina ed è per questo, ad esempio, che rabbrividisco tutte le volte che qualcuno invoca l’introduzione del reddito di cittadinanza: sono le opportunità che dobbiamo pretendere (e poi cogliere), non i sussidi.

REGOLE PER UN BUON VIVERE – Se dovessi descrivere in poche parole questo libro, lo definirei un piccolo manuale (ma forse l’autrice preferirebbe “anti-manuale”) per trovare la strada che porta al vivere bene. Utile sicuramente per trovarla è seguire il richiamo dell’Amore che, però, va riconosciuto nella sua Verità, come fine e non mezzo innanzitutto, altrimenti può diventare altro, anche dipendenza: «Solo da libero puoi essere di qualcun altro. Abbandonarti senza perderti. Se non sei libero alla prima frattura perderai tutto», ci raccomanda Giada Barone. D’altro canto, però, «Non siamo obbligati ad amare tutti, né a convivere con tutti. C’è bisogno di rispetto, di più rispetto. Bisogna non nuocere agli altri, non per forza amarli o esserne amici». La sua ideale politica sociale si basa su un semplice assunto: «Ci sono delle cose che si deve accettare di non poter fare e questo è quanto. Sono delle regole. Sociali, comuni, per vivere. E vanno rispettate», perché «Spesso viene confusa la libertà con l’anarchia. Ma se con il mio comportamento invado il tuo spazio, la tua vita, la tua salute non sono libero sono stronzo».

uomo vitruvianoPrima di imparare a rapportarsi in modo sano con gli altri, però, bisogna imparare a vivere bene con se stessi. Lo ripetiamo sempre, ma non credo di essere l’unica ad avere ancora molto da imparare. «Non ho soluzioni preconfezionate, ma credo che l’unica via percorribile sia farsi delle domande. L’autoanalisi» ci dice l’autrice, dandoci anche qualche suggerimento su ciò su cui dobbiamo lavorare: «[…] sbagliare è umano e si può rimediare agli errori ma solo se si è capaci di dirsi la verità e accettarli, accettare che esistano, non pretendere la perfezione. Il punto è che ognuno di noi è fatto a suo modo, con debolezze e punti di forza, bellezze e brutture, collezioni di gaff e trovate eccellenti, parole più o meno fuori luogo, passioni più o meno condivise, e ognuno di noi avrà collezionato nella sua vita azioni meritevoli e disdicevoli, ma il punto è l’opinione che hai di te. La Base.» Accettarsi, dunque, è il segreto, ovviamente anche nella nostra imperfetta ma unica fisicità.

In questo ci aiuta anche un’altra riflessione che Giada Barone fa a proposito dei bambini speciali (e di ciò che la scuola tende ad aspettarsi da loro) ma che credo si presti benissimo anche agli adulti. La nostra società vuol convincerci che – magari con enormi e prolungati sforzi – possiamo fare tutto; io dico, invece, che non è vero. E comunque, se anche fosse, perché perdere tempo a fare qualcosa o essere qualcuno che non ci viene naturale fare o essere? Come dice l’autrice, «[…] non tutti hanno le stesse possibilità, inclinazioni, capacità, perché ostinarsi a fare finta che sia così?» La mania di grandezza rigiriamola, quindi, in questo modo: «Pensiamo in grande, guardiamo in grande, il mondo è grande. Non ci siamo solo noi e il nostro modo di pensare, vivere, morire, ne esistono tanti e non ce n’è uno corretto ma possiamo trovare il nostro, e l’unico modo per vedere se è giusto è guardare se ci fa stare bene, bene davvero […]».
Quanto a me, penso di partire da dove Giada ha imparato a partire: «Voglio essere libera eppure incatenata ai miei principi […]» perché «Basta poco in realtà, per vivere meglio. Non lo sapevo. Si chiama coerenza».

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