Breve riflessione sull’uomo contemporaneo, ovvero perché la sfida al labirinto oggi è persa in partenza…

contemporaneo
Servizio di Davide Morelli
In pochi decenni abbiamo assistito a una trasformazione radicale sia in ambito tecnologico che culturale e politico. Nel giro di pochi decenni abbiamo assistito alla caduta del muro di Berlino, alla fine dell’URSS, alla fine delle ideologie, al punto che Fukuyama scrisse che eravamo giunti alla fine della Storia, ovvero niente avrebbe contrastato il dominio incontrastato del neoliberismo. Anche chi non ha deficit cognitivi, dopo questa continua e incessante serie di stravolgimenti, tra cui anche quelli di costume, soffre, giunto agli anta, spesso del cosiddetto ritardo culturale. L’uomo contemporaneo è smarrito, incerto, spaesato tra innovazioni tecnologiche, cambiamenti socioculturali, politici, economici profondi. Come sosteneva il fisico Turoldo di Francia non ci vuole solo una tecnologia a misura d’uomo ma un uomo a misura di tecnologia. Il cognitivismo in psicologia, paragonando il cervello al computer, sembrava poter dare una svolta epocale. Invece la grande svolta epocale è avvenuta riproducendo il cervello umano con i computer tramite le reti neurali; l’intelligenza artificiale si basa esclusivamente sul funzionamento dei neuroni umani (segnali in entrata, segnali in uscita, peso, soglia). Forse certi aspetti intuitivi della mente umana non verranno raggiunti dell’intelligenza artificiale, ma gli esperti ci dicono che tra pochi anni l’IA supererà quella umana. Il futuro di ognuno è un’incognita. Il futuro della stessa umanità è un’incognita. Molti stanno facendo un brutto viaggio, ma, come ci ricorda Bukowski, è il mondo intero che sta facendo un brutto viaggio. È un mondo pieno di orrori e ingiustizie, ma ormai ci abbiamo fatto il callo. Siamo ormai assuefatti dai bombardamenti di tragiche notizie di guerre lontane e di casi di cronaca nera. Purtroppo ci sentiamo al sicuro, fino a quando non tangono minimamente la nostra vita e quella dei nostri cari! Siamo degli atomi sociali, che formano minuscole molecole (coppie, gruppo di amici). Ognuno cerca di affermare il suo micropotere: la donna bella cerca di ottenere vantaggi grazie alla sua avvenenza, il politico locale o il piccolo imprenditore commettono piccoli abusi di potere, etc etc. Il micropotere ha diverse sfaccettature: economiche, politiche, culturali, sociali, sessuali, etc etc. I micropoteri potrebbero unirsi, cooperare, costruire una comunità, combattere il Potere (quello con la P maiuscola), ma i micropoteri risultano poi alla fine un modello in miniatura del Potere, sono fatti a immagine e somiglianza da esso, ne sono il rispecchiamento, la rappresentazione fedele. Basterebbe invece ricordarsi che noi esseri umani, più o meno intelligenti e creativi, più o meno belli, siamo tutti la punta diamante dell’evoluzione sulla Terra: un’evoluzione durata miliardi di anni e frutto di miliardi di errori di copia nei cromosomi, di miliardi di mutazioni genetiche casuali (se si è darwinisti) o divine (se si è religiosi). E invece? Invece si è perso il senso della comunità, il senso della solidarietà. Un tempo i nostri avi erano più poveri, ma si aiutavano reciprocamente. Oggi ognuno pensa per sé in questo individualismo omologante o in questa omologazione individualista. Nel mondo ci sono troppe brutture e allora tanto vale rinchiudersi nella nostra comfort zone, nella nostra bolla di filtraggio. E chi ne esce da tutto ciò? Solo pochissimi si arrischiano e spesso lo fanno solo per avere più denaro, più successo, più approvazione sociale. Ma Balzac in “Papà Goriot” ci aveva già avvertito: “Ciò che i moralisti chiamano gli abissi del cuore umano sono soltanto i moti involontari dell’interesse umano”. Moravia ne “Gli indifferenti” ci aveva fatto presente che tra tanto squallore sociale e tanti inganni anche i migliori erano indifferenti come Michele Ardengo o rassegnati come sua sorella Carla. Siamo indifferenti. Un ragazzo occidentale a 15 anni tramite la tv ha già assistito a migliaia di omicidi. Oggi ci sorbiamo ogni giorno una dose massiccia di violenza, propinata da mass media tradizionali e nuovi media. Come si fa a non diventare indifferenti? Il Potere intanto si è appropriato del nostro self più intimo, del nostro inconscio e detta legge nel nostro desiderio. Siamo macchine desideranti, come scrivevano Deleuze e Guattari, ma oggi il nostro desiderio non è libero, spontaneo, autonomo, genuino ma eterodiretto. Siamo succubi dei dettami del Potere massmediatico, capitalistico, consumistico, pornografico. Il Potere lascia al caso chi possiamo desiderare, ma stabilisce cosa e come desiderare. Il Potere stabilisce i requisiti che rendono cose e persone desiderabili. Festinger con le sue ricerche dimostrò che per la maggioranza di noi il confronto sociale è unidirezionale ascendente: si guarda spesso a chi sta meglio di noi e non a chi sta peggio. Da ciò scatta in molti la deprivazione relativa: proviamo un senso di ingiustizia per persone che hanno ottenuto ciò che non abbiamo avuto e secondo noi non se lo meritavano. Ma essere maturi significa anche accettare tutto questo e pensare anche a chi muore di fame, di guerra, di cancro. Foucault in “Storia della sessualità” iniziava con il capitolo “Noialtri vittoriani” perché allora il potere era repressivo dal punto di vista sessuale e addirittura esisteva la psichiatrizzazione delle perversioni sessuali. Oggi è avvenuta una grande emancipazione sessuale. Ma, nonostante il grande bombardamento pornografico e una grande emancipazione dei costumi, ci sono anche oggi persone frustrate, insoddisfatte, sole. Talvolta anche il sesso impersonale può causare frustrazione e solitudine. Oggi è avvenuta la normalizzazione delle perversioni sessuali. Come scriveva Karl Kraus le perversioni sono la metafora dell’amore. Ma quale amore? Quello dei femminicidi, degli stalker, delle coppie troppo aperte o subito scoppiate, dei padri poveri? Il problema maggiore di noi contemporanei è comunque il nostro cortocircuito con i fili della ragione, della volontà, della giustizia. La nostra è una società basata sul proprio particulare, sperando nella mano invisibile di Adam Smith che autocorregga il sistema in un’improbabile eterogenesi dei fini. Invece tutto ciò non avviene. Ne è la prova provata il fatto che l’economia va avanti e regge nella società occidentale anche con alti tassi di disoccupazione, che il ruolo dei salari non riequilibra il rapporto tra domanda e offerta nel mercato del lavoro e che un tasso elevato di disoccupazione non è solo uno squilibrio economico temporaneo, come pensavano i marginalisti, ma può essere addirittura endemico, fisiologico. E allora ci vorrebbe il comunismo? I “Metello” di Pratolini sono sempre più rari oggi: non esistendo più le classi sociali, non esiste più la coscienza di classe. Ci vorrebbe la realizzazione del presunto comunismo sociale, economico e sessuale de “La città del sole” di Campanella? Forse non basterebbe a risolvere le ingiustizie. C’è un brano di Marx dei Manoscritti economico-filosofici, che ha fatto lambiccare il cervello di molti. La domanda è la seguente: il comunismo può dare la vista ai ciechi e le gambe agli zoppi? Il grande Italo Calvino con “La giornata di uno scrutatore” confessa lo scacco matto subito dalla sua razionalità e dalla sua intellettualità di comunista di fronte ai cosiddetti poveretti del Cottolengo, che non hanno capacità di intendere e di volere: questo è il vero leitmotiv del romanzo e non i brogli elettorali delle monache, che portano voti alla Democrazia Cristiana. Tanto per concludere con Calvino, nessuno sfugge a quella che lui chiamava l’opacitá del mondo, allo “sguardo inesorabile della Medusa”: la sfida a quello che lui chiamava labirinto (gnoseologico e culturale) è ormai persa in partenza.