ALBERT SCHWEITZER: UN VERO EROE DELLA RINUNCIA E DELLA SOFFERENZA

Doveroso ricordarlo nel 150° della nascita e 60° della morte unitamente ad alcuni suoi pensieri più profondi
di Ernesto Bodini (giornalista e biografo)
Di questi tempi, in particolare, sarebbe forse molto utile se tutti i biografi si riunissero per lamentare quanto poco si ricorda di protagonIsti che con il loro esempio hanno lasciato un’impronta. Ovvero, testimonianze di un operato dedito allo sviluppo della Scienza ma anche solidarietà verso i popoli più poveri e diseredati della Terra. Non ho idea di quanti biografi siamo nel nostro Paese, ma pochi o tanti è nostro dovere ricordare alla collettività odierna (in gran parte sempre più ai margini e distratta da materialismo, lussuria e superficialità) il valore di quei protagonisti che hanno saputo dare un senso alla propria esistenza dedicandosi totalmente gli altri che hanno imparato a conoscere, rispettare e considerare come propri fratelli. E qui, mi sia concesso sottolineare, il mero volontariato come comunemente lo si intende, che ritengo essere praticamente fuori luogo… Insomma, missionari o filantropi (non certo in versione made of America), accomunati da unico ideale il più delle volte senza conoscersi, poiché quello che conta è l’Uomo. E a questo riguardo ritengo doveroso ricordare per l’ennesima volta il filosofo e medico filantropo Albert Schweitzer (1875-1965), di cui quest’anno ricorre il 150° della nascita e 60° della morte. Tralasciando le note biografiche e le ormai notevoli e ricchissime tappe della sua vita, per questa ricorrenza vorrei rievocare la profondità di alcuni suoi pensieri, che a mio avviso dovrebbero far riflettere (responsabilmente) molti politici ed altrettanti irriducibili despoti che si credono padroni del mondo e della vita altrui. Un primo richiamo è riferito agli ideali che ci occorrono, e in tal senso Schweitzer sosteneva: «L’umanità ha sempre avuto bisogno di ideali etici che le dessero il modo di trovare la retta via, così che l’uomo potesse usare il potere di cui era in possesso nel più giusto dei modi. Oggi il suo potere è aumentato migliaia di volte. Quindi migliaia di volte più grande risulta ora la necessità di possedere dei princìpi etici che indichino la via da seguire. Proprio nel momento in cui avviene ciò, il pensiero viene meno. In questo periodo di assoluto bisogno il pensiero non dà all’umanità gli ideali necessari per non venire sopraffatta. È questo il nostro destino? Spero di no. Credo di no. Penso che nella nostra epoca germina in tutti noi una nuova forma di pensiero che condurrà agli ideali etici». Queste considerazioni, per quanto ottimistiche, rispecchiano un’epoca che comprendeva i due conflitti mondiali, come pure una assenza di progresso materiale… se non anche culturale, e che purtroppo quanto sosteneva, se rapportato ad oggi, il suo ottimismo sarebbe del tutto fuori luogo: evidentemente i conflitti bellici di allora non sono bastati a rendere l’uomo meno avido e più ricco di ogni nozione etica, tant’è che analoghi eventi si susseguono un po’ ovunque. Un’ulteriore riflessione, per quanto rapportata ai suoi tempi, riguarda i valori umani, gran parte dei quali purtroppo ne rispecchiano una notevole carenza. A tal riguardo presagiva: «L’uomo oggi è in pericolo per la mancanza di libertà (oggi ce l’ha in eccesso, ndr), per l’incapacità di concentrarsi mentalmente e per le lacune della sua formazione morale e intellettuale, rischia di perdere la sua umanità. In realtà, nelle due ultime generazioni, le concezioni più disumane si sono imposte tra noi in tutta l’orrida chiarezza del loro linguaggio e con l’autorità di princìpi logici. Si è venuta a creare una mentalità sociale che dissuade gli individui dall’essere umani. Scompare la cortesia, prodotto di un impulso naturale, e cede il posto ad un comportamento ispirato all’indifferenza, anche se più o meno inquadrato in un codice di buone maniere. Il riserbo e la mancanza di comprensione che così palesemente si dimostrano in ogni occasione non sono più ritenuti qualcosa di veramente scortese, ma passano per il comportamento dell’uomo di mondo. La nostra società non attribuisce più a ogni uomo, come tale, un valore umano e una dignità umana; molti gruppi della razza umana sono divenuti puramente materiale grezzo e cose».
In merito alle sue innumerevoli e profonde asserzioni sulla vita, in quanto esistenza terrena il filosofo alsaziano, che era anche un eminente teologo, non manca di richiamare il concetto di “eroe”, di cui la mentalità soprattutto italiana (attraverso chi la rappresenta istituzionalmente) si appropria, spesso immeritatamente… In un suo breve inciso titolato “Eroi della rinuncia”, Schweitzer precisa: «Solo una persona che riesce ad apprezzare ogni genere di attività e dedicarsi ad ognuna pienamente cosciente del suo dovere, ha l’intimo diritto di mirare a un’attività straordinaria invece che a quella che le viene naturalmente riservata dalla sorte. Solo una persona che reputa la sua scelta un fatto normale, non qualcosa fuori dall’ordinario, e non pensa di compiere un atto eroico, ma lo ritiene solo un dovere intrapreso con pacato entusiasmo, solo questa persona è capace di diventare uno di quegli avventurieri dello spirito di cui il mondo ha bisogno. Non ci sono eroi dell’azione: solo eroi della rinuncia e della sofferenza (quest’ultimo termine alcuni autori lo sostituiscono con sacrificio, ndr). Di questi ve ne sono molti. Ma pochi di loro sono conosciuti e anche quei pochi non sono noti alla folla, ma solo ad un numero limitato di persone». Un altro aspetto che ha caratterizzato gli ideali e la messa in pratica di questo fantastico uomo della bontà, riguarda il concetto del perdono, un’azione che tutti dovremmo imparare almeno a considerare da contrapporre ad ogni azione disumana e degradante che, come ben si sa, allontana sempre più gli uomini gli uni dagli altri. «Perché perdono il mio simile? – si domanda di Schweitzer – e prosegue: l’etica comune dice che è perché ho pietà di lui… Ogni tolleranza è per essa un atto cui si è costretti dalla sincerità verso se stessi. Sono obbligato ad esercitare perdono illimitato perché se non perdonassi sarei insincero verso me stesso, in quanto agirei come se non fossi mai stato colpevole nello stesso modo in cui l’altro è stato colpevole verso di me. Devo perdonare le bugie rivolte contro di me, perché la mia vita è stata macchiata tante volte dalla menzogna; devo perdonare la mancanza di carità, l’odio, la calunnia, l’inganno, l’arroganza, dato che io stesso ho così spesso mancato di carità, ho odiato, calunniato, ingannato e sono stato arrogante. Devo perdonare senza far scalpore. In generale non perdono, non arrivo nemmeno ad essere semplicemente giusto». Questo voler ricordare uno dei massimi esempi di umana e sconfinata solidarietà umana, è un invito a tutti coloro che sono deputati a condurre le sorti, materiali e spirituali, del prossimo; tralasciando eventi di fasto che danno lustro a chi li organizza trascurando le cosiddette minoranze. Non serve a nulla dare onorificenze con lustrini e merletti a chi ha compiuto una “semplice” azione umana, o a chi ha voluto far crescere il proprio patrimonio imprenditoriale… anche se a ricaduta con beneficio della collettività. Ben precisando inoltre, che un Paese è fortunato se non ha bisogno di “eroi” e, per dirla tutta, il dottor Schweitzer non è mai stato considerato un eroe, e anche per questa ragione è nostro dovere ricordarlo e, nel nostro piccolo, magari poterlo imitare!