Vittore Bocchetta, Partigiano e Indipendente

Vittore Bocchetta al Marina Café Noir 2016

Vittore Bocchetta al Marina Cafè Noir 2016di Marcella Onnis

Sconfinate utopie”: questo il tema portante della XIV edizione del festival di letterature applicate Marina Café Noir, organizzato a Cagliari dal 30 agosto al 4 settembre 2016 dall’associazione culturale Chourmo. Al tema specifico delle “Utopie partigiane” è stato dedicato uno degli incontri della giornata finale, organizzato in collaborazione con l’ANPI, durante il quale Paolo Frau ha dialogato con Vittore Bocchetta. Scrittore e accademico, Bocchetta è stato membro del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) provinciale di Verona con il compito particolare di fare da raccordo tra questo organismo e i partigiani locali.

A 98 anni Bocchetta ha ancora un portamento eretto, una mente lucida dalla battuta pronta e un animo ancora incline a indignarsi, modo con cui manifesta la sua pietas oltre che il suo senso civico. Gli organizzatori del festival l’hanno definito «un’utopia vivente», mentre lui si è dichiarato «purtroppo difensore della memoria». E il “purtroppo” è stato da lui subito chiarito: «la Storia la scrivono quelli che vincono e si dimenticano di chi ha perso», ragion per cui «è falsa» e inquinata da «adulazioni di cortigiani».

FASCISTI E REPUBBLICHINI – Primo mito (nero) che ha voluto sfatare riguarda i Repubblichini che, sostiene, «non erano fascisti ma ignoti», sciacalli che approfittarono della situazione compiendo anch’essi «crimini terribili».  Il periodo che seguì la caduta del Fascismo (25 luglio 1943) è stato descritto da Bocchetta come «un periodo di illusoria libertà interrotto da un colpo di mannaia»: la nascita della Repubblica sociale italiana, anche nota come Repubblica di Salò (9 settembre 1943, giorno successivo all’annuncio ufficiale della firma dell’Armistizio).

Vittore Bocchetta, Emilia Agnesa e  Paolo FrauLAGER E KAPO – Nel 1944 Bocchetta fu arrestato dai nazisti e conobbe così l’orrore dei campi di concentramento, in particolare Flossenburg ed Hersbruck. Doloroso ascoltare la sua esperienza, figuriamoci viverla e poi doverla ricordare. In questo, però, per l’occasione è stato aiutato – con ammirazione e affetto – da un preparatissimo Paolo Frau e dalla giovane attrice Emilia Agnesa, che ha letto, anzi, interpretato, alcuni passi delle sue opere. Passi nei quali si racconta di «spettri quasi vivi» (espressione tremendamente efficace), di prigionieri morenti gettati in un mucchio con i morti, di campi concimati con escrementi umani raccolti e sparsi a mano, come di tutte le altre «violazioni della nostra umanità» che lui e i suoi compagni subirono.

Anche riguardo ai campi di sterminio Bocchetta ha dovuto – e tuttora deve – sfatare errate convinzioni. Per esempio, che tutti i prigionieri venissero marchiati: accadeva, invece, solo ad Auschwitz. Ogni campo, infatti, aveva la sua gerarchia, le sue funzioni e le sue regole.
Precisazioni ne ha fatto anche sui Kapò che – ha spiegato – non erano solo i capi violenti, ma «chiunque avesse un incarico». E tra questi trovò pure due ebrei e una perla rara: Teresio Olivelli, che grazie alla sua testimonianza è stato riconosciuto martire e per il quale è in corso il processo di beatificazione. Come capo baracca, infatti, Olivelli introdusse alcune insperate riforme, tra cui l’abolizione delle percosse. Questo kapò – che per Vittore Bocchetta fu «un paradosso» – fece, però, breve carriera: dopo un paio di settimane fu ammazzato per aver osato portare in quel campo di concentramento «un po’ di giustizia e pietà».

LA FAME – Centrale nell’esperienza del lager fu la Fame, così forte che «non c’è possibilità di descriverla». Ad attestarla, però, ci sono i fatti e le cifre ricordate da Paolo Frau: un metro e ottanta di altezza per 48 kg. Parlare di sottopeso sarebbe un eufemismo, eppure Vittore Bocchetta sopravvisse – unico del suo gruppo di compagni veronesi – alla prigionia. Stupisce, dunque, solo fino a un certo punto che, dopo esser stato sottratto agli artigli dei nazisti, il suo primo desiderio espresso, ancora semicosciente, fu «Essen Essen Essen», «Mangiare Mangiare Mangiare». Perché tanta fame? Perché, ha raccontato Bocchetta, i tedeschi calcolavano quale apporto minimo di calorie fosse necessario fornire ai prigionieri affinché conservassero energia sufficiente a lavorare. E giusto quell’apporto davano loro, sotto forma di un disgustoso pasto. Una delle tante scelte basate sull’utilità, che «era la cosa più importante per i nazisti».
Vittore Bocchetta al Marina Café Noir 2016Il che, a suo parere, spiega anche la presenza di kapò ebrei e il fatto che, all’arrivo dei russi, i nazisti fecero marciare per 20-30 km, diretti verso altri campi, i prigionieri superstiti (gran parte dei quali perì in cammino): non per ucciderli da un’altra parte ma con l’intenzione di preservare quella “forza” lavoro, «in vista di tempi migliori» ha aggiunto Paolo Frau. I tedeschi, infatti, «non accettano mai di essere corretti, di perdere», ha affermato Bocchetta, chiarendo che «la loro non era crudeltà ma utilitarismo: la crudeltà ce l’avevano i fascisti».

LA POSSIBILITÀ DI BARBARIE DI PERSONE INTELLIGENTI – Ha dell’incredibile il fatto che qualcuno possa essere sopravvissuto a questo inferno terrestre. «Solo chi cessa di essere uomo può esistere in questa bolgia di dannati», recita un passaggio di un suo libro, letto domenica da Emilia Agnesa e rimasto impresso a Paolo Frau come probabilmente a tutti gli ascoltatori presenti. «Come fanno 80 milioni di persone intelligenti [badate a questo aggettivo, ndr] ad avere questa possibilità di barbarie?» si è domandato e ha domandato al pubblico Bocchetta. «Non abbiamo la risposta». La stessa follia, però, la vediamo oggi in Turchia, ha rimarcato, e in Cina, ha aggiunto qualcuno dal pubblico. E ancora altri luoghi, purtroppo, si potrebbero con sdegno citare. Come hanno fatto? Come fanno? Una possibile risposta, in realtà, l’ha fornita lo stesso partigiano Vittore con un’affermazione forte: «L’uomo è la peggiore creatura del mondo: facciamo tutto contro tutti». E poi, a rimarcare il concetto: «Non esiste in natura essere vivente che non viva della morte di un altro essere. Chi non ne ha bisogno è l’uomo» che, però, «lo fa per divertimento», esercitando la sua ferocia gratuita su uomini e animali.

Vittore Bocchetta e Paolo FrauVERITÀ E NIENTE COMPROMESSI – Purtroppo, per lui le esperienze negative non finirono insieme alla prigionia. Tornato a Verona da uomo libero, infatti, dovette affrontare un «periodo di delusioni», come lo ha definito Paolo Frau, «che continua ancora adesso» ha aggiunto l’interessato con asprezza più che amarezza: dato per morto, dovette smentire persino la veridicità dei particolari della sua presunta morte; dovette scontrarsi con un’Italia passata dal “tutti fascisti” al “tutti partigiani”, come ha ricordato Frau; dovette – lui testimone diretto – smentire le pseudo-verità diffuse da sciacalli e mistificatori. E gli toccò anche di veder riabilitati personaggi dal più che dubbio passato, operazione che – ha rimarcato polemico – continua tuttora a essere in voga. Anche a questo si deve il suo costante rifiuto di aderire a partiti politici, rinunciando così anche a incarichi professionali e guadagni che gli avrebbero garantito una vita agiata. Una vita che, comunque, ha vissuto in pienezza, con grande dignità, nel segno dell’indipendenza, come ha notato Paolo Frau, e del rifiuto dei compromessi. Perché, ha affermato Bocchetta, «il compromesso di oggi è un impegno che condiziona tutta la vita».

 

Foto Giuseppe Argiolas

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