Uno sguardo continuo alla vita per lasciare posto alla speranza

copertina del libro di Mario Melazzini - Lo sguardo e la speranzadi Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)

Le autobiografie, si sa, spesso sono “autoreferenziali” sia per un comprensibile desiderio suggerito dall’Ego, sia per la necessità di colmare dei vuoti interiori se non per rendere “edotta” l’opinione pubblica di un vissuto esistenziale. Ed è quest’ultima ragione, a mio avviso, che ha motivato Mario Melazzini per il suo ultimo lavoro “Lo sguardo e la Speranza – La vita è bella, non solo nei film” (Ed. San Paolo, pagg. 139, € 14.00), mettendo in primo piano non solo se stesso come persona, ma anche una serie di personaggi che da anni lo stanno accompagnando nel faticoso percorso: la lotta contro una malattia destabilizzante e ostile (la Sclerosi Laterale Amiotrofica, meglio nota come “SLA”), ma non tanto da frenare la sua determinazione e soprattutto il suo attaccamento alla vita.

Mario Melazzini, pavese di nascita, classe 1958, è un brillante oncoematolgo, che ancora oggi, nonostante la semi-immobilità in carrozzina manifesta ed esercita la medicina e molteplici ruoli ed interessi, tra i quali l’impegno nella Associazione AriSLA (Agenzia nazionale per la ricerca sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica), presidente della Commissione Nazionale Ministeriale per la Ricerca Biomedica, assessore alle Attività Produttive, Ricerca e Innovazione di Regione Lombardia; oltre ad essere autore di diverse pubblicazioni scientifiche di significativo rilievo. Un excursus ricco di eventi, aneddoti, emozioni ma anche riflessioni sui molteplici aspetti della vita pratica, professionale, sociale e affettiva di tutti i giorni lo ha coinvolto (e lo coinvolge) nel più profondo della sua sensibilità ed onestà intellettuale, sino a considerare il concetto di “fine esistenza” non come mera arrendevolezza ma come una forma di rispetto nei confronti del suo corpo e soprattutto di tutti coloro che si sono a lui dedicati e che a lui tuttora si dedicano. Una filosofia che il dottor Melazzini ha messo in primo piano tanto da rivedere la sua “posizione esistenziale”, e dar così il massimo spazio a quella acuta osservazione (che lui definisce “sguardo”) e quindi alla speranza, proprio perché «la speranza – scrive – è un percorso che mi può condurre ad una condizione migliore… Il dolore e la sofferenza, in quanto tali, non sono buoni né desiderabili, ma non per questo sono senza significato. Anche la sofferenza può essere contestualizzata e considerata come esperienza di vita».

Mario MelazziniConsiderazioni ferme e risolute che poggiano le basi sulla fermezza e la determinazione non solo per la raggiunta razionalità, ma soprattutto, a mio modesto avviso, per la maturata consapevolezza che la malattia può modificare (e talvolta alienare) qualsiasi percorso esistenziale, «ma anche edificare – precisa – una serie di colonne d’Ercole, superate le quali ci è impossibile tornare indietro. Ma, se lo si vuole, ci è ancora consentito di guardare avanti». Certo, volgersi all’orizzonte ad ogni risveglio quando si è in condizioni di una quasi totale staticità, sapendo di dipendere dal prossimo (“caritatevole” o meno) non si può eludere l’umano sconforto, ancorché accompagnato da una visione altalenante tra pessimismo e ottimismo; condizione questa, che non risparmia nemmeno un medico esso stesso malato. Ma dopo anni di esperienza “avvalorata” dal proprio sapere scientifico, e nel contempo coadiuvata e sostenuta da numerose e interminabili manifestazioni di affetto, il dottor Melazzini è oggi un riferimento palese per tutti i malati di SLA, ma anche per tutti coloro che sentono il senso dell’abbandono da parte dei propri affetti famigliari (anche se comprensibile ma non giustificabile), ed ancor peggio dalle Istituzioni preposte alla tutela di chi non ha mai chiesto di conoscere la SLA, che inesorabilmente li rende sudditi delle stesse con poche prospettive all’orizzonte, nonostante gli sforzi della ricerca scientifica… e nonostante il sereno sguardo e la speranza che sostengono ogni giorno questo bravo medico e… malato esemplare.

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