Quando un tumore colpisce e frena una giovane vita

pietro tranchitella

di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)

sharon prestileoIl vasto mondo della sofferenza (fisica e/o psicofisica) non ha mai risparmiato l’umanità sin dai suoi esordi in questa vita terrena. Affermazione, questa, che può sembrare a dir poco retorica, ma al tempo stesso induce sempre a costanti riflessioni sul perché di tale “pedaggio” che ogni essere umano è costretto a pagare. E va da sé che ogni evento rappresenta una storia che però non tutti amano raccontare, a differenza di Michela, una signora semplice, umile e madre di quattro figli che, oggi, a distanza di pochi mesi, piange la terzogenita Sharon (nella foto), scomparsa a soli 23 anni per una neoplasia: un osteosarcoma scapo-omerale.

«Era una ragazza brillante nel modo d’essere e di vivere la sua vita – racconta –, proprio come tanti giovani della sua età. Ha frequentato la Scuola Alberghiera  di Gallarate (Va) diplomandosi (nel luglio 2012) con onore, con l’intento di esercitare la professione di cuoco, una specializzazione che le avrebbe permesso di girare il mondo, fare nuove conoscenze, e arricchirsi di esperienze che avrebbero dato il senso più totale alla sua esistenza». Ma questa bella giovane atleta amava anche lo sport in quanto giocatrice di pallavolo, una disciplina tra le più comuni in molti suoi coetanei, che richiede riflessi e agilità ma che non esime dal rischio di qualche caduta… E proprio durante un allenamento Sharon è scivolata e cadendo ha battuto la spalla sul pavimento lamentando dolenzia, alla quale non ha dato però molta importanza, soprattutto per continuare serenamente il suo percorso accademico. «Ma con il passare dei giorni – spiega la madre – non riusciva a muovere il braccio e, dietro mia insistenza, al ritorno di un suo breve viaggio, ho insistito perchè si facesse visitare nel vicino ospedale di residenza. Ed è così che, da un esame radiografico è stata evidenziata una porosità alla testa dell’omero, cui è seguita una risonanza magnetica presso un altro ospedale dalla quale è emerso un sospetto osteosarcoma scapolo-omerale».Ha qui inizio l’odissea di Sharon, che viene ricoverata in un ospedale ortopedico, sottoposta ad un’altra risonanza magnetica e ad una biopsia (che ne hanno confermato la diagnosi) e alle terapie del caso.

E come ha reagito sua figlia a questa ipotesi di diagnosi? «Inizialmente – spiega – la ragazza ha avuto una reazione di sgomento, paura, rabbia, ma anche di pianto e di rifiuto: “Perché proprio a me?”, è stata la sua prima domanda alla quale non ho saputo rispondere perché non avevo una risposta da dare, ma ho cercato di farla  “reagire” e a sforzarsi di continuare a vivere con la stessa intensità… Superata questa prima fase di abbattimento è stata ricoverata all’Istituto Tumori di Milano e sottoposta ad ulteriori esami, che hanno evidenziato le dimensioni della neoplasia e conseguentemente prescritto un ciclo di chemioterapia con lo scopo di ridurre la massa tumorale in previsione di un intervento chirurgico per la rimozione della stessa». Un percorso clinico particolarmente “impegnativo” per la giovane paziente, ma confortata dal fatto di non essere sola e di avere l’appoggio morale e materiale della sua famiglia, alla quale non ha mai fatto pesare le sue condizioni, pur essendo perfettamente cosciente della gravità della malattia. Ma anche gli amici e i compagni di scuola inizialmente le sono stati vicini, un sostegno morale per attenuare il pensiero e la paura che a periodi alterni mettevano a dura prova la sua serenità e il suo coraggio… E come ha vissuto nei mesi successivi il decorso della malattia? «Mia figlia – racconta la signora Michela con un tono di voce ancora tremante – ha continuato a vivere nel modo più semplice possibile: guidava la macchina (anche con una sola mano), sbrigava le faccende domestiche, andava al lavoro, ed ha pure viaggiato; ma nello stesso tempo ha approfondito ricerche sulla sua malattia e, individuando casi simili al suo, ha appreso che le sue aspettative di vita sarebbero state molto modeste».

Non passa molto tempo che la situazione precipita. Sharon viene operata in un ospedale milanese e sottoposta alla applicazione di una protesi e adeguate terapie, e quindi dimessa. Il reperto operatorio analizzato all’Istituto Rizzoli di Bologna ha confermato ulteriormente la diagnosi e, come in questi casi, non era possibile stabilire con certezza la possibilità di una guarigione e, anche in caso positivo, se la patologia potesse andare incontro ad una recidiva. Ad un successivo controllo radiografico sono stati individuati dei “noduli” ai polmoni di natura calcifica, quindi, si è reso necessario un altro ricovero per essere sottoposta a tre cicli di chemioterapia, dai pesanti effetti collaterali. La paziente si è ripresa bene tanto da godersi una vacanza, ma al suo ritorno l’amara sorpresa: da un controllo radiologico la necessità di un altro intervento chirurgico e 16 sedute  di radioterapia, che le hanno causato importanti effetti collaterali. Ma Sharon non demorde, affronta questo ennesimo “impegno” con sopportazione e magari anche con una buona dose di ottimismo, tanto da progettare un breve viaggio di piacere in Germania. Al suo ritorno prende coscienza che la malattia si è nuovamente manifestata con segni di peggioramento, con l’indicazione di un ulteriore ciclo di chemioterapia. «A marzo di quest’anno – prosegue la mamma – una TAC ha rilevato una lesione al pericardio, che i medici hanno definito essere un ulteriore aggravamento comunicandolo alla paziente nel modo più “delicato” possibile. Si è reso quindi necessario un intervento cardiochirurgico all’ospedale di San Donato Milanese, e relativa terapia palliativa in quanto la patologia tendeva a peggiorare a causa del manifestarsi di metastasi polmonari con conseguenti emorragie. Vista la situazione una psicologa ha consigliato a mia figlia di farsi ricoverare in un hospice, ma lei non ha accettato ed ha preferito tornare a casa propria».

pietro tranchitellaDal medico di famiglia è stata così attivata l’assistenza domiciliare integrata (ADI), ma nello stesso tempo la situazione andava ulteriormente peggiorando a causa del manifestarsi di una tosse stizzosa, inappetenza, ipertermia, difficoltà respiratorie, etc. Portata al P.S. del vicino ospedale, il medico ne ha constatato la gravità affermando che anche la somministrazione di morfina non avrebbe giovato in alcun modo… In queste condizioni, che facevano presagire un imminente exitus, la mamma, il papà e i suoi fratelli si sono stretti a lei con apprensione ma anche con grande apporto affettivo, oltre a quello dello zio Pietro (nella foto) che, in quanto psicologo di professione, ha cercato di sostenerla nel modo più adeguato possibile. «Prima di spirare – aggiunge la signora Michela, – la mia Sharon ha voluto lo smalto sulle unghie che mia sorella Doriana le ha messo con una comprensibile vena di “civettuola complicità” e tanto amore. Poco dopo ha esalato l’ultimo respiro abbadonandosi su stessa, lasciando trasparire quel velo di serenità che ha segnato la fine di una sofferenza». Ma Sharon, nei suoi pochi anni di vita ha lasciato un esempio di di grande attaccamento alla vita, esortando sino all’ultimo chi l’ha avvicinata e confortata ad apprezzarne i valori, affinché una esistenza vissuta intensamente non si disperda tra i beni materiali e di poco valore umano. «Sharon – conclude la mamma Michela, con due lacrime che le rigano il viso, segnato da stanchezza e grande costernazione, e che ancora non si rassegna – ci ha lasciati con un messaggio non privo di quella umiltà volta a valorizzare al meglio la nostra vita, lasciando sempre grande spazio alla speranza anche nei confronti di certe malattie come l’osteosarcoma, un male che ha sopraffatto la mia figliola nel fisico, ma non nel suo spirito e nella sua anima sempre propositivi sino all’ultimo, poiché un “nemico” della salute non potrà mai ledere la dignità di nessuno. Ecco, questa è l’eredità che Sharon ha lasciato a tutti noi».

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