Thomas E. Starzl pioniere della trapiantologia umana e animale
Nel 50° anniversario del primo trapianto di fegato in essere umano
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
Ho conosciuto il prof. Thomas E. Starzl il 27 maggio 1997 a Milano in occasione dell’assegnazione del Premio internazionale “Chirone” (ispirato alla Chimera, l’essere mitologico formato da più animali) un riconoscimento per la Ricerca e la Formazione Biomedica, conferito dall’Accademia Nazionale di Medicina ogni anno a uomini di scienza che abbiano non solo conseguito risultati di particolare rilievo, ma anche saputo diffondere nuove conoscenze in campo medico attraverso collaborazioni a livello internazionale. Ricordare il prof. Starzl, oltre al motivo di tale riconoscimento, è dovuto al fatto di aver avuto la possibilità di una breve intervista, ma soprattutto perché ritengo doveroso ricordare che dal 1995 l’Istituto per i Trapianti di Pittsburg, in Pennsylvania (Stati Uniti), porta il suo nome, in quanto pioniere dei trapianti di fegato e uno dei primi a tentare, nel 1964, uno xenotrapianto (dal greco xenos: straniero, estraneo) da scimmia a uomo, un musicista di 35 anni, affetto da una cirrosi non guaribile neppure col trapianto da uomo a uomo. Il ricevente, è noto, è poi deceduto due mesi e mezzo dopo, per cause probabilmente non direttamente collegabili all’operazione. Un lasso di tempo tale da offrire una ulteriore speranza a molti malati gravissimi. Lo xenotrapianto, se ancora oggi non si dimostra di per sé indicativo, come in questo primo caso, la soluzione definitiva potrebbe essere comunque il “provvedimento-ponte” in grado di affrontare senza più tragedie la spesso lunga attesa dell’organo umano adeguato. Nel corso dell’intervista, gli domandai quanto tempo sarebbe passato prima che lo xenotrapianto potesse entrare nella pratica chirurgica, e lui rispose: «Non è possibile poterlo stabilire, soprattutto perché, nonostante i progressi sinora raggiunti, il problema del rigetto è ancora da risolvere. La scienza può giungere improvvisamente a nuove scoperte e cambiare tutto». E alla domanda, qual è il futuro dello xenotrapianto, mi rispose: «È qualcosa che sta dietro l’angolo, ma che rischia di star sempre dietro l’angolo».
Thomas E. Starzl, nato a Le Mars (Iowa) l’11 marzo 1926, si iscrisse alla Northwestern University School dove si laureò nel 1952. Le tappe principali della sua carriera chirurgica nel campo dei trapianti d’organo si svolsero all’Università del Colorado (Denver) e all’Università di Pittsburg. I suoi esperimenti di trapianto di fegato sugli animali iniziarono nel 1958. Nel 1962 eseguì, per primo al mondo, un trapianto di fegato su un bambino. Da allora, la vita e la carriera del geniale chirurgo, oggi 88enne, sono state un continuo alternarsi di vittorie e di sconfitte perché la terapia immunosoppressiva di quell’epoca non riusciva a sconfiggere il rigetto, o per riuscirci, doveva essere somministrata a dosi talmente elevate da togliere all’organismo ogni capacità di difesa contro le infezioni. A lui, inoltre, si deve la messa a punto di nuove tecniche nel trapianto di fegato, del prelievo multiorgano dal donatore cadavere e di alcune delle più importanti combinazioni terapeutiche per combattere il rigetto, come la Ciclosporina e l’FK 506 grazie alle quali sono notevolmente migliorati i risultati dei trapianti di fegato. Ha compiuto studi avanzati sulla possibilità di indurre una tolleranza del ricevente verso l’organo trapiantato; eseguito due trapianti di fegato tra babbuino e uomo. Molti dei chirurghi che si occupano di trapianto di fegato nel mondo sono stati suoi allievi per un periodo più o meno lungo.
Conservo ancora la sua autobiografia “Ai limiti del possibile. Memorie di un chirurgo dei trapianti” (Ed. Longanesi & C., 1992), ed è una straordinaria fonte di conoscenza sui temi più scottanti della chirurgia, sui problemi etici, politici ed economici che un campo così vasto come quello della trapiantologia propone. In quarta di copertina, scrive: «Sentivo che la mia esperienza avrebbe potuto aiutare coloro che hanno paura ad andare avanti quando si accorgono che i loro sforzi non portano ad alcun risultato. Oppure, se non fossi riuscito in questo intento, avrei potuto comunque far capire come nasce il progresso in campo medico; cosa succede nel mezzo della notte nei reparti sperimentali e nelle camerate degli ospedali, quali sono i rapporti tra i medici, gli scienziati e i pazienti; e come inevitabilmente i veri eroi sono sempre i malati». Insomma, davvero una vita simbolo dell’avventura scientifica ed umana.