RICORDANDO L’UMANA DEDIZIONE DI MADRE TERESA DI CALCUTTA

Nelle Lettere della donna piccola e minuta rivive il valore del sostegno ai più poveri e derelitti per ridare loro vita, salute e soprattutto dignità

di Ernesto Bodini (giornalista e biografo)

La sua opera ha dato voce ai poveri… i “senza voce” più diseredati, e la sua solitudine e il suo sentimento  pragmatico di completa dedizione trovano le sue radici in Gesù Cristo. L’oscurità che sopportava (lontana da ogni riflettore) era un elemento essenziale della sua vocazione che ha segnato passo passo la sua intera esistenza. A coronamento e testimonianza del suo operato significative sono rimaste le lettere che scriveva, una eredità con la quale ci ha voluto trasmettere il dovere della solidarietà e dell’umana fratellanza. Spesso diceva di essere solo una serva di Dio, e che Dio usava la sua piccolezza per la sua grandezza… Stiamo parlando di Suor Teresa di Calcutta al secolo Anjezë Gonxhe Bojaxhiu (Skopje 26/8/1910 – Calcutta 5/9/1997), albanese naturalizzata indiana, di fede cattolica, fondatrice della Congregazione religiosa delle Missionarie della carità. Un esempio di vita vissuta all’insegna non del mero altruismo, ma di quella condivisione e trasporto per il bene dei più poveri e abbandonati, poichè tutti figli dello stesso Padre. Questo e molto altro ancora ha lasciato scritto nelle sue non poche Lettere, peraltro oggetto del film Le Lettere di Madre Teresa, appunto, trasmesso giorni fa su Tv 2000, interpretato da Juliet Stevenson (qui nell’immagine del frontespizio: il suo candore era “completato” dal sari bianco a strisce azzurre, divisa delle Missionarie della Carità), Rutger Hauer, Max von Sydow, Priya Datshini, Kranti Redkar, con la regia di William Riead. In breve la trama. Padre Praagh, un sacerdote cattolico, studia la straordinaria vita di madre Teresa di Calcutta durante le ricerche per il processo di canonizzazione. Si confronta con Padre Celeste Van Exem (Max von Sydow), consigliere spirituale di madre Teresa. Padre Celeste gli mostra le lettere ricevute dalla donna in quarant’anni di amicizia: le parole della cattolica albanese portano i due religiosi a rivivere le sue lotte contro la povertà, la mancanza di sostegno delle consorelle del convento, la sua crisi depressiva, il suo senso continuo di abbandono e la sua incapacità di ottenere attenzione dal Vaticano. Tra le molte lettere, ecco un breve stralcio di una di queste. «Miei carissimi figli, sorelle, fratelli, padri, missionari laici, collaboratori, questa lettera vi porta la mia preghiera e benedizione, il mio amore e gratitudine a ciascuno di voi per tutto ciò che siete stati e avete fatto tutti per condividere la gioia di amarvi l’un l’altro e amare i più poveri. La nostra presenza e il lavoro che avete fatto nel mondo, per la gloria di Dio e il bene dei poveri, è stato un miracolo vivente dell’amore di Dio e del vostro amore in azione. Dio ha mostrato la Sua grandezza nell’usare il niente che siamo. Rimaniamo quindi nel nostro niente, così da dare a Dio la libertà di usarci senza consultarci. Accettiamo qualunque cosa Egli ci dia e diamo qualunque cosa si prenda con un grande sorriso… Le vie  del Signore sono belle se noi gli permettiamo di usarci come vuole. Io sono ancora nell’Europa orientale. I miracoli viventi che Dio ha fatto durante questi giorni sono stati la prova del suo tenero amore per i Missionari della carità e per i nostri Poveri. Facciamo che la nostra gratitudine si esprima con la forte determinazione di essere tutti per Gesù attraverso Maria. Siamo puri e umili come Maria e siamo sicuri che saremo santi come Gesù». (Europa orientale, 1990).

Le sue infinite testimonianze di oltre mezzo secolo di intensa dedizione hanno varcato la soglia di molti Paesi, e voglia Iddio, anche la soglia dei cuori più aridi; portando loro la parola di Dio affinché sensibilità e altruismo non si disperdano nel nulla, riportando il sentimento di fratellanza tra i primi doveri della comune convivenza. Molto si è scritto durante e soprattutto dopo la sua esistenza, pagine e pagine di un vissuto caratterizzato da concretezze quotidiane in cui sofferenza, desolazione e morte ha affrontato instancabilmente e con la collaborazione delle Consorelle della sua Congregazione. Nel 1979 ricevette il Premio Nobel per la Pace: «… per il lavoro compiuto nella lotta per vincere la povertà e la miseria, che costituiscono anche una minaccia per la pace». Questa, in sintesi, la motivazione, espressa ad Oslo per il conferimento del Premio, che ha sicuramente lasciato il segno nei presenti ed è auspicabile anche in tutti coloro che negli anni a venire ne hanno colto il significato: dai potenti del mondo ai più “lontani” dai valori spirituali e di cristianità. Toccante è stato il suo discorso durante la cerimonia rifiutando, nel contempo, il convenzionale banchetto cerimoniale per i vincitori, e chiese che i 6.000 dollari di fondi fossero destinati ai poveri di Calcutta, che avrebbero potuto essere sfamati per un anno intero, affermando che: «le ricompense terrene sono importanti solo se utilizzate per aiutare i bisognosi del mondo». Commovente e lungo il suo discorso, del quale ne riproduco una parte che a me sembra particolarmente significativa.

«…Sono molto grata per quello che ho ricevuto. È stata un’esperienza enorme e torno in India, tornerò la prossima settimana, il 15 spero, e potrò portare il vostro amore. E so bene che non avete dato del vostro superfluo, ma avete dato fino a farvi male. Oggi i piccoli bambini hanno, ero così sorpresa, c’è così tanta gioia per i bambini che hanno fame. Che i bambini come loro avranno bisogno di amore e cura e tenerezza, come ne hanno tanto dai loro genitori. Così ringraziamo Dio che abbiamo avuto questa opportunità di conoscerci, e questa conoscenza reciproca ci ha portati così vicini. E potremo aiutare non solo i bambini indiani e africani ma potremo aiutare i bambini del mondo intero, perché come sapete le nostre Sorelle stanno in tutto il mondo… E con questo premio che ho ricevuto come premio di pace, proverò a fare una casa per molti che non hanno una casa. Perché credo che l’amore cominci a casa, e se possiamo creare una casa per i poveri, penso che sempre più amore si diffonderà. E potremo mediante questo amore comprensivo portare pace, essere la buona notizia per i poveri. I poveri della nostra famiglia per primi, nel nostro paese e nel mondo. Per poter fare questo, le nostre Sorelle, le nostre vite devono essere intessute di preghiera. Devono essere intessute di Cristo per poter capire, essere capaci di condividere. Perché oggi c’è così tanto dolore. Sento che la Passione di Cristo viene rivissuta ovunque di nuovo. Siamo noi là a condividere questa Passione, a condividere questo dolore della gente. In tutto il mondo, non solo nei paesi poveri, ma ho trovato la povertà dell’occidente tanto più difficile da eliminare…». Il 5 settembre 1997 la vita terrena di Madre Teresa giunse al termine. Le fu dato l’onore dei funerali di Stato da parte del Governo indiano e il suo corpo fu seppellito nella Casa Madre delle Missionarie della Carità. La sua tomba divenne ben presto luogo di pellegrinaggi e di preghiera per gente di ogni credo, poveri e ricchi, senza distinzione alcuna. Madre Teresa ci lascia un testamento di fede incrollabile, speranza invincibile e straordinaria carità. La sua risposta alla richiesta di Gesù: «Vieni, sii la mia luce», la rese Missionaria della Carità, “Madre per i poveri”, simbolo di compassione per il mondo e testimone vivente dell’amore assetato di Dio. Meno di due anni dopo la sua morte, a causa della diffusa fama di santità e delle grazie ottenute per sua intercessione, Papa Giovanni Paolo II permise l’apertura della Causa di Canonizzazione. Il 20 dicembre 2002 approvò i decreti sulle sue virtù eroiche e sui miracoli.

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