Musica: Il mondo collassa, i REM resistono

 Arrivato nei negozi lo scorso 8 marzo dopo una studiatissima campagna teaser sul web, Collapse Into Now, quindicesimo lavoro in studio della band più longeva d’America, ha ricevuto dalla stampa specializzata qualche elogio alternato a un trattamento mediamente superficiale e svogliato. C’è chi ha scritto simil pubbliredazionali per la Warner Bros. nei quali ci si complimenta per la trovata di commissionare dodici cortometraggi (uno per ogni canzone) a registi professionisti, includendoli nel disco.

C’è chi, invece di scrivere recensioni, ha redatto ‘coccodrilli’ che ripercorrevano le tappe della loro sfolgorante carriera, di cui il presente sarebbe ormai un pallido ricordo. C’è perfino chi ha elaborato instabili teorie secondo cui essendo i Beatles durati otto anni, sarebbe questo l’arco di tempo massimo consentito a una rock band che non voglia trasformarsi in una caricatura di se stessa. Poco o niente sulla musica, invero, ma un’impertinente irriverenza da parte di blogger probabilmente ancora troppo giovani, nel ’91, per accorgersi che Shiny Happy People era delirante morfina in piena Guerra del Golfo. O troppo distratti, nel ’98, per capire che la voce lontana del Daysleeper di Taipei e Hong Kong annunciava già l’impatto delle ‘tigri asiatiche’ sulla globalizzazione e l’Occidente. O, ancora, miopi nel non cogliere, all’indomani dell’11 settembre, quanto l’elegante compostezza di Leaving New York celasse un tragico atto di rivolta politica. Una formazione che ha condotto per trent’anni la sua personale ricerca di gusto musicale mentre altri (Nirvana, Smashing Pumpkins, Coldplay) annaspavano dopo il primo lustro, merita più rispetto. E merita, se non altro, che del nuovo disco se ne parli per la musica che contiene, oltre che per l’immagine e il bel libretto curato dal fotografo Antony Corbijn.  Di seguito, vi proponiamo un nostro tributo a Collapse Into Now: un breve viaggio dentro ogni canzone dell’album, con un nostro personale giudizio.

 

 

Discoverer * * * 1/2

L’intro del viaggio è ruvido ed elettrico, con chitarre atteggiate a Desire degli U2. Sembra una lenta e possente saracinesca che si alza per presentare le sonorità del  nuovo disco, con Stipe che si dà un gran da fare per illuminare di humour e grinta ogni passaggio. L’invito a proseguire l’ascolto è palese nel finale della canzone.

All The Best * * * * *

La chitarra rickenbacker di Peter Buck graffia in profondità, gli ingressi di batteria pompano energia verso la giusta direzione. Siamo al less is more che ha reso grande il precedente Accelerate, ma freschezza e sicurezza sono lievitate.

Uberlin * * * *

Inaugura il secondo versante musicale dell’album, quello notturno. Arpeggi che hanno la rotondità delle perle, bridge ripuliti da vocalizzi ridondanti e un canto che trasmette l’idea che qualcosa non sia più al proprio posto. Teneramente nostalgica.

Oh My Heart * * * *

Quarto brano, terzo versante musicale del disco, quello più acustico e mediterraneo. I mandolini e le fisarmoniche si rincorrono rimpolpando i momenti più lenti, Stipe emoziona e tutto si somma in una scenografia di grande impatto.

 

It Happend Today  (con Eddie Vedder) * * * *

Restiamo sul versante mediterraneo, con chitarre stese al sole lungo i fili dei vigorosi raddoppi vocali di un Eddie Vedder in forma Into The Wild. Una sorta di carpe diem espresso in  musica, con una coda che farà impazzire il pubblico nelle rare esibizioni live.

Every Day Is Your Win * * *

Sostenuti fin qui da un buon ritmo, si arriva a questa ballata notturna che cita la canzone forse più maltrattata dell’opera remiana intera: The Outsiders con il rapper Q-Tip. Una ninna nanna che ha qualche felice intuizione ma si spegne troppo presto in un finale banale.

Mine Smell Like Honey * * 1/2

L’unico momento del disco che potrebbe stancare, ricordando troppo Bad Day. Controcanti invasivi, linearità ritmiche e struttura prevedibile non riescono a venire ravvivati neanche dalla sapienza del produttore Jacknife Lee, che comunque introduce feedback, sporcizie e troncature per movimentare un po’. Certo, chi ascoltasse per la prima volta i REM non la troverebbe così mediocre.

Walk It Back * * * * *

Versante notturno. Ballata che prosciuga il caos dentro e fuori il disco in tre minuti di trascendente serenità. Uno yoga per le orecchie che trasuda fascino soprattutto in un refrain subacqueo, raro e prezioso. È cantautorato moltiplicato per tre, è ciò che potrebbe fare Stipe se si sciogliessero i REM.

Alligator Aviator Autopilot Antimatter (Con Peaches) * * * * *

Versante ruvido ed elettrico. La velocità di Accelerate è resa sexy dalla presenza della cantante canadese Peaches e la freschezza assicurata da tutta la sessione ritmica regala adrenalina. Impossibile non avere questa vomit song stampata in testa al primo ascolto.

That Someone Is You * * * *

Una band che suona da trent’anni e tira fuori questo college rock impulsivo e ormonale è davvero una sorpresa, con Stipe che recita la parte del ragazzino. Irresistibile.

Me, Marlon Brando, Marlon Brando and I * * * * 1/2

A vent’anni di distanza dai dialoghi con l’aldilà di Man On The Moon e Monty Got a Raw Deal Stipe torna alla conversazione con un fantasma proveniente dal firmamento cinematografico, in una metafisica composizione di pianoforte e chitarra. Delicata e maledetta, oscura e lunare,  dolce  e dolente.

Blue (con Patti Smith) * * * *

Le manie di onnipotenza alternate alle improvvise fragilità del mondo contemporaneo sono rappresentate in questa canzone. Cos’è Blue se non un un mare tempestoso e spazzato dal vento. Cos’è la voce di Stipe se non quella di naufrago a largo di Lampedusa. Cos’è la voce di Patti Smith se non una sirena di avviso Tsunami.

Cos’è Collapse Into Now se non una bottiglia di vetro a largo di Tripoli o Tokio, con un unico messaggio possibile al suo interno: continuare a esplorare senza smettere di essere curiosi.

Andrea Anastasi

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