L’angolo di Full: “Il lido azzurro”

“Ah, questo deve essere un racconto a tema, tutto estivo”: così forse avrete pensato leggendo il titolo del brano scelto per questa domenica. Tuttavia, la nostra intenzione è di salutarvi prima delle ferie non con un “racconto da ombrellone”, bensì con uno scritto che, oltre ad intrattenervi, vi offra qualche spunto di riflessione. E Fulvio Musso, con la sua maestria narrativa e la sua sensibilità, non poteva che essere il giusto esecutore per questo compito.

 

Il lido azzurro

Il sole si stava spegnendo dietro la collina e sullo sfondo spiccavano i festoni neri e ordinati dei pini. I fiori delle siepi mantenevano un colore acceso, esasperato dai toni del tramonto. La strada tagliava la campagna in una lunga ferita sulla quale ronzava la motoretta come una mosca sulla piaga. Il motore calpestava brutalmente il silenzio della valle già addormentata mentre le vibrazioni sull’asfalto sconnesso procuravano a Kiran dolorose fitte all’addome, ma avevano il merito di mantenerlo sveglio e attento.

Come solito, Kiran avrebbe trascorso la notte nel reparto macelleria dell’ipermercato a tritare carne e a confezionare vassoietti.
Ogni mattina faceva le pulizie in un capannone per pagare chi l’aveva introdotto in Europa e, nel pomeriggio, dava una mano in un cantiere edile, giusto per campare. Coi vassoietti, invece, manteneva la famiglia di sette persone nel suo amato lido azzurro, di là dell’oceano.
Quest’ultimo impegno faceva di lui una persona molto importante, e tanto bastava al suo spirito.
Si permetteva anche di dormire come un sasso per quattro ore al giorno, e tanto bastava al suo corpo.
Ma, da qualche tempo, si assopiva appena: una botta rimediata nel cantiere gli aveva causato una lesione interna. L’aveva curato Anju, una guaritrice indiana, che però aveva scosso la testa brontolando nel suo dialetto.

Di notte, i reparti dell’ipermercato non erano mai completamen­te bui. Luci discrete rischiaravano qua e là: sullo sportello del bancomat, nella vetrinetta degli orologi, davanti al bar e in altri punti strategici.
Il reparto macelleria non aveva lampade accese, ma dalla vetrata entrava la luce bianca di un’insegna e lampeggiava un neon rosa, in forma di grande farfalla, che agitava le ali fluorescenti contro un edificio. Fra il neon rosa e l’abbaglio bianco c’era uno strano lampo blu, poi tutto si fermava in un attimo di buio.
In quell’attimo, Kiran cadde col cesto di carne che gli pesava ogni volta di più.

Alle due di notte, il guardiano fece il giro delle tre. Sapeva come sfasare l’orario fra gli orologi di controllo e quello timbrato sulla sua scheda. In questo modo smontava un’ora prima. Non passò dalla macelleria dove sapeva esserci il lavorante indiano che ignorava i suoi trucchetti.

Sul pavimento, accanto alla bilancia, Kiran giaceva un po’ scomposto, con trentasei chili di polli spennati sparsi intorno.
Diventavano rosa per cinque secondi e bianchi per tre: polli rosa, polli bianchi e ancora rosa che lampeggiavano ritmati da quelle ali al neon.
Poi sciabolava una lama di fredda luce blu, molto coreografica. E tutti insieme tornavano a volare con quelle ali fluorescenti. Volarono tutta la notte con Kiran in testa allo stormo: prima rosa, poi bianchi, poi trafitti dalla lama blu.
Accompagnato da queste suggestive esequie, per certi versi struggenti come, a volte, ci si prefigura le proprie, Kiran raggiunse rapidamente la disinvolta, estrema dimensione del suo Lido Azzurro.

 

Fulvio Musso

 

 

3 thoughts on “L’angolo di Full: “Il lido azzurro”

  1. Ringrazio la Redazione per aver scelto questo mio brano al cui contenuto tengo particolarmente.
    Ne approfitto per augurare buone vacanze tutti.
    Fulvio

  2. Rileggo con commozione stasera: da me ieri un ragazzo indiano, solo 26 anni con moglie e 3 figli, è morto per un incidente sul lavoro, ovviamente senza contratto, senza alcuna assicurazione, senza nulla…solo una moglie e 3 figli…
    Un caro saluto, torna presto.

  3. Leggere ad occhi chiusi Full è sempre garanzia di ottima qualità. Io che sono nata “euforica”, dico che fare semper “capolavori” è Arte di Full.
    E, ovviamente, riverisco.

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