Il macello: ecco come funziona

“Il giovedì non si effettua la macellazione“: un grosso cartello all’entrata apre la strada al macello, nella silenziosa campagna di San Miniato.
Oggi è Lunedì ed è il giorno di macellazione dei bovini. Ce ne sono 56, in piedi nei camion che li scaricano al macello e tutti in fila dopo essere stati lavati: hanno età diverse, il colore della pelle simile e lo stesso sguardo. Camminano e si muovono allo stesso ritmo, mentre la fila lentamente scorre. Li distingue solo un numero progressivo che viene attaccato alle loro orecchie: è quel numero che fornisce loro una provvisoria identità dentro al macello.
Gli animali procedono lentamente verso l’entrata del macello, si fanno guidare dall’addetto al trasporto, non sembrano opporre nessuna resistenza né si sentono gemiti o grida.
Tranne il vitello Numero 56.
È l’ultimo a scendere dal camion, e si nota anche a distanza, a differenza degli altri, per la piccola macchia di colore bianco che ha sulla pancia, un regalo della natura che lo distingue.
La storia del Numero Cinquantasei è iniziata 8 mesi fa, oggi pesa circa 3 quintali ed è pronto per concludere il proprio viaggio e diventare, in meno di due ore, bistecca fiorentina, braciole, speck, lesso nonché borse, portafogli, scarpe e giacche.
Gli ultimi minuti della sua esistenza il Numero Cinquantasei li trascorre nella gabbia di stordimento, uno spazio poco più grande del suo corpo, in attesa che l’addetto alla macellazione lo stordisca con un colpo di pistola a proiettile captivo: in un secondo l’animale cade a terra, in coma. Si apre uno sportello della gabbia, e il Numero Cinquantasei rotola su un piano sottostante; da qui viene agganciato alla zampa destra da un macchinario che lo lascia appeso a testa in giù. Solo una volta che l’animale è in questa posizione viene sgozzato dal macellaio, in modo da favorire più velocemente la fuoriuscita di tutto il sangue. Con un coltello il macellaio provvede a tagliargli la gola, quasi gli stacca la testa. Il Numero Cinquantasei muove ancora la coda mentre il macellaio lo sgozza: dopo un paio di minuti è fermo, immobile, morto. Il gancio che lo tiene appeso scorre e lo posiziona accanto alle carcasse, appese a testa in giù, dei cinquantacinque che lo hanno preceduto.
Via la parte inferiore della zampa e via la testa. Tocca poi alla pelle, che viene incisa da un macellaio e staccata dall’altro. Quando il Numero Cinquantasei è rimasto completamente senza pelle viene aperto a metà, dalla gola fino alla coda, per estrarre le interiora e poter lavorare sulle diverse parti del suo corpo e infine tagliato in due con una sega elettrica e messo all’aria per qualche ora, per diventare carne più morbida.
Quando la macellazione finisce ci sono 56 vitelli appesi alla guidovia, 56 carcasse uguali uccise alla stessa maniera dalle stesse mani, con lo stesso procedimento. E del numero Cinquantasei, che prima si distingueva per la macchietta bianca sulla pelle, non sembra esserci più traccia: il più bello è ora irriconoscibile, ed è diventato il più gustoso.
Lo speck più gustoso, la bistecca più gustosa, l’arrosto più gustoso. Lo incontreremo ancora su una deliziosa pizza allo speck e al mascarpone, nel piatto di bistecca alla fiorentina ordinata all’osteria sotto casa, e nel barbecue in giardino sopra a un piatto di porcellana sfoggiato per l’occasione; o forse lo staremo portando a spasso senza accorgercene, adesso che è diventato la più bella delle nostre borse o il nostro portafogli nuovo di zecca. Come dire: c’è un po’ di Cinquantasei in ognuno di noi.
Grazia D’Onofrio