I giochi sonori di Stefano Bollani e la magia della Tomba dei Giganti

Impieghiamo un’ora a percorrere la decina di chilometri che ci separano da Sa Domu ‘e s’Orcu – imponente Tomba dei Giganti sull’altopiano di Siddi (VS), che da qualche anno offre un suggestivo scenario a musicisti di tutto rispetto – e arriviamo a concerto iniziato: non ci resta quindi che sederci – su una pietra, un cuscino, un telo da mare o una spiaggina – ed attendere (se non addirittura pretendere) che sia Stefano Bollani in persona a risarcirci.

E lui effettivamente ci risarcisce, ricordandoci che con la musica si può giocare, anche se in italiano – a differenza che in inglese, francese, tedesco – non esiste un unico verbo per suonare e giocare.

Bollani gioca con i brani, fondendo la Angela di Luigi Tenco e quella di Bob James; gioca con le parole, quando decide di dedicare una canzone ad un cane e, su suggerimento di uno spettatore di spirito, fonde il Can-can e Una lacrima sul viso di Bobby Solo; gioca con gli astanti che, trascinati dal ritmo incalzante di Offenbach, cominciano a battere il tempo con le mani, fino a che lui accelera, li dribbla, li supera ed infine li provoca: “se non la sapete, non battete le mani!”.

È un gioco, infine, il preannunciato bis in chiusura: annota su un taccuino le “ordinazioni” del pubblico – neanche fossero pizze – e fonde, tra le altre, Tico tico, Georgia on my mind (quasi un Ray Charles ubriaco), Copacabana (scimmiottando Conte), La donna è mobile … perfino Quarantaquattro gatti, accogliendo la provocazione delle retrovie.

Il resto lo fa la Tomba dei Giganti al tramonto.

I commenti tecnici li lasciamo agli esperti; l’emozione è di tutti.

 

Silvia Onnis

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