Epatite C in Sardegna: lo stato dell’arte
di Marcella Onnis
Il 18 dicembre scorso si è svolto a Cagliari il convegno “HCV Regione Sardegna: clinici, pazienti ed istituzioni a confronto”, sapientemente moderato dalla giornalista de “Il Sole24ore Sanità” Rosanna Magnano. Nell’introdurre i lavori, la moderatrice ha ricordato che il numero stimato di persone infette dal virus dell’epatite C (HCV) è 1 milione, ma che ad oggi esistono solo 300 mila pazienti con diagnosi ufficiale e che solo circa 100 mila di questi sono già stati trattati con i nuovi farmaci, che ormai offrono «opzioni valide ed efficaci per tutti». Nel 99% dei casi la guarigione è definitiva: un dato straordinario, visto che «non esiste altra malattia cronica guaribile con una percentuale simile», ha rimarcato il dott. Francesco Luigi Bandiera, Direttore della Medicina interna dell’ospedale “SS. Annunziata” di Sassari. Il piano di eradicazione nazionale dell’epatite C prevede uno stanziamento di 500 milioni all’anno per trattare 240.000 pazienti nel triennio 2017-2019, ma tale obiettivo – ha rimarcato Rosanna Magnano – sembra di difficile realizzazione, in quanto attualmente tutte le Regioni hanno preso in carico un numero di malati inferiore a quello preventivato. Pur confermando questo ritardo, però, il presidente dell’associazione EpaC Ivan Gardini si è detto convinto che i risultati finora raggiunti siano comunque positivi.
I dati relativi alla Sardegna sono stati illustrati dalla dott.ssa Donatella Garau, Responsabile del Settore politiche del farmaco della Direzione generale della Sanità della Regione. I centri autorizzati a prescrivere i nuovi farmaci sono stati nel tempo ampliati per garantire la copertura di tutto il territorio regionale: Medicina interna degli ospedali “Giovanni Paolo II” di Olbia, “S. Francesco” di Nuoro e “N. S. della Mercede” di Lanusei; Medicina generale dell’ospedale “S. Martino” di Oristano; Malattie infettive e Medicina interna dell’ospedale “SS. Trinità” di Cagliari; Medicina interna dell’azienda ospedaliera “G. Brotzu” di Cagliari; Medicina interna, allergologia e immunologia clinica dell’azienda ospedaliera universitaria di Cagliari; Patologia medica e Istituto di malattie infettive e tropicali dell’azienda ospedaliero-universitaria e Medicina interna dell’ospedale “SS. Annunziata” di Sassari.
Dal gennaio 2015, mese in cui è entrato in commercio il primo dei nuovi farmaci ad azione antivirale diretta di seconda generazione (DAAs), a novembre 2017 nell’Isola sono stati avviati 2.950 trattamenti con le nuove terapie, con una percentuale di guarigione del 96%. A questi pazienti se ne aggiungono altri 361 dichiarati eleggibili dai centri autorizzati, ossia idonei a essere curati con questi ultimi ma che ancora non hanno iniziato il trattamento. Per avere numeri più precisi sui pazienti trattati in Sardegna, però, secondo il prof. Luchino Chessa (Medicina interna e malattie del fegato dell’Azienda ospedaliero-universitario di Cagliari) sarebbe necessaria una rete informatica unica per tutti i centri autorizzati, che consentirebbe anche di determinare il peso effettivo delle malattie epatiche in Sardegna e di elaborare seri programmi di eradicazione con relativi stanziamenti.
Nel biennio 2015-2016 la spesa sostenuta dalla Regione per i nuovi farmaci è stata di 120 milioni di euro, al lordo del payback e di altri meccanismi di rimborso, ha precisato la dott.ssa Garau su richiesta di Gardini: stando alle cifre da lei proiettate, il netto dovrebbe ammontare a 90-100 milioni di euro, con un costo medio per trattamento comunque elevato, il quale però – ha rimarcato – include sia il prezzo del farmaco innovativo sia quello degli eventuali altri farmaci da assumere in combinazione con questo. Nel 2017, invece, finora la spesa è stata inferiore ai 30 milioni di euro. C’è, tuttavia, un’anomalia che riguarda la Sardegna: come le altre a Statuto speciale, a eccezione della Sicilia, non accede più al fondo per i farmaci innovativi, di cui peraltro ha beneficiato solo nel 2015 e in minima percentuale, ha spiegato la dott.ssa Garau. Ciò significa che i costi per le nuove cure per l’epatite C sono stati quasi interamente sostenuti attingendo a fondi regionali. A rendere più paradossale la situazione, inoltre, è il fatto che – ha precisato ancora la funzionaria regionale – quest’anno non è previsto alcun rimborso e i costi sostenuti saranno comunque computati nel totale della spesa sanitaria (diversamente da quanto avverrà per le regioni che accedono al fondo per i farmaci innovati), per cui la Sardegna rischia di sforare il tetto di spesa.
Assente per impegni istituzionali, l’assessore regionale alla Sanità Luigi Benedetto Arru non ha potuto rendere noto se la Giunta intenda o meno avviare trattative con il Governo per eliminare questo paradosso. Tuttavia, gli interventi della dott.ssa Garau e degli altri relatori politici hanno dimostrato l’intenzione della Regione di trovare soluzioni concrete per raggiungere l’obiettivo dell’eradicazione. L’on. Edoardo Tocco, Vicepresidente della Commissione Salute e politiche sociali del Consiglio regionale, ha proposto di creare un tavolo di concertazione o un osservatorio che coinvolga la Regione, i medici e le associazioni di pazienti, in modo da elaborare insieme soluzioni condivise ed efficaci. Un’idea apprezzata dagli altri relatori, in particolare da Ivan Gardini, che ha subito dato la disponibilità della sua associazione a portare al tavolo l’esperienza acquisita nel confronto con il Ministero della Salute e con altre regioni. A suo parere, infatti, finora in Sardegna è mancata una regia regionale che studi quali azioni intraprendere garantendo la sostenibilità economica, da valutare tenuto conto dei risparmi conseguiti grazie ai nuovi farmaci.
Sul rapporto tra costi sociali e costi economici si è soffermato, in particolare, Luigi Ruggeri, Segretario della Commissione Salute del Consiglio regionale, per il quale l’etica deve ora fare i conti con un nuovo interrogativo: «Quanto possiamo caricare il Sistema sanitario regionale di innovazione?». Ossia, a suo parere, occorre ragionare sul rapporto costi-benefici dei nuovi farmaci anti-HCV e non più sul massimo attendibile. Non a caso, anche la dott.ssa Garau ha precisato che la Regione intende continuare a garantire a tutti l’accesso alle nuove cure, in maniera omogenea su tutto il territorio, ma che saranno privilegiati i trattamenti con il miglior rapporto costi-benefici. Riguardo alla sostenibilità della spesa, tuttavia, Ivan Gardini ha ricordato che attualmente il costo di un trattamento anti-HCV è di 6-9 mila euro una tantum, mentre i trattamenti per epatite B (HBV) e HIV hanno un costo notevolmente più alto e devono essere ripetuti per tutta la vita del paziente in quanto l’infezione è cronica e, diversamente da quella da HCV, non può essere guarita. Non solo: i nuovi farmaci per l’epatite C, ha affermato ancora, «si pagheranno da soli» perché già nel breve-medio periodo consentono risparmi che possono essere reinvestiti nel piano di eradicazione. La guarigione, infatti, elimina costi diretti – quali l’invalidità civile e le ore di lavoro perse – e indiretti – come le cure per tumori epatici e cirrosi o i trapianti, notoriamente interventi molto costosi. In particolare, a parere di Gardini e del dott. Bandiera, possono già essere quantificati i risparmi dei trapianti evitati grazie all’uscita dalla lista di attesa di pazienti guariti e dalle reinfezioni evitate nel post-trapianto. A proposito dei pazienti trapiantati, peraltro, il convegno ha fatto emergere un evento rilevante: nel centro autorizzato diretto da Bandiera è stato avviato un protocollo che prevede la sospensione degli immunosoppressori durante la terapia con i nuovi farmaci anti-HCV.
Tornando al problema della limitatezza delle risorse, più relatori hanno rimarcato che questa non è da intendersi solo sotto il profilo economico ma anche umano: come hanno segnalato il dott. Francesco Arcadu, Direttore della Medicina interna e gastroenterologia dell’ospedale “S. Francesco” di Nuoro, e il prof. Luchino Chessa, diversi centri autorizzati dispongono di poco personale (in particolare epatologi), il quale, peraltro, raramente si occupa in via esclusiva delle cure per l’epatite C. La situazione, tuttavia, non è drammatica: lo stesso dott. Arcadu e, successivamente, il dott. Aldo Caddori, Direttore della Medicina interna dell’ospedale “SS. Trinità” di Cagliari, hanno affermato che i rapporti personali e scientifici tra gli epatologi dei centri autorizzati sardi hanno permesso che tra questi si instaurasse una grande collaborazione, tradotta nell’adozione di protocolli coerenti. I centri, inoltre, hanno precisato il dott. Arcadu e il dott. Roberto Ganga, Direttore della Medicina interna del “G. Brotzu”, sono adeguatamente supportati dalla Regione. Un margine di miglioramento nell’operato di quest’ultima è stato individuato, però, dal dott. Bandiera, che auspica l’espletamento di una gara pubblica unica a livello regionale per l’acquisto dei farmaci, così da eliminare alcuni ritardi nell’approvvigionamento e garantire un risparmio sui costi complessivamente sostenuti, che sarebbe poi reinvestibile in un aumento del personale dei centri, ha suggerito il dott. Marco Campus del reparto Malattie infettive dell’ospedale “SS. Trinità”. Tra i centri con la situazione più rosea va segnalata la Medicina interna del “Brotzu”, che non ha liste di attesa e che a novembre scorso aveva già trattato 570 pazienti di cui 198 solo nel 2017. Tra i pazienti in cura in questo centro e nel reparto Malattie infettive del “SS. Trinità” sono, peraltro, inclusi pazienti con insufficienza renale o affetti da altre patologie come talassemia e HIV che, ha spiegato il dott. Campus, comportano una «estremizzazione della personalizzazione del trattamento».
Foto Giuseppe Argiolas
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