Cinema: “Un giorno questo dolore ti sarà utile”, una ricerca di autenticità

Anteprima nazionale a Palermo, sabato 18 febbraio, per “Un giorno questo dolore ti sarà utile”, il film di Roberto Faenza (Sostiene Pereira, Prendimi l’anima) nelle sale italiane dal 24 febbraio. Contattato dagli organizzatori del Sicilia Queer Film Fest, Faenza ha scelto di partecipare a un dibattito intitolato “Trasformazioni”, vuoi perché il film è tratto dall’omonimo romanzo di Peter Cameron (trasformazione da testo letterario a cinematografico), vuoi perché James, il protagonista della pellicola, è stato definito “un nuovo giovane Holden che compie un percorso formativo e cambia strada facendo”.

Il film è ambientato a New York e il 17enne James, che viene definito dalla sorella e dai genitori “disadattato” e “diverso”, non vuole saperne di iscriversi all’università per via di una traumatica esperienza capitatagli durante un viaggio d’istruzione a Washington. Impiegato nella galleria d’arte della madre – figura consumistica nel cimentarsi in matrimoni che durano 48 ore – non ha un rapporto semplice neanche col padre, che invece consuma la giovinezza a forza di “flirt” con giovani donne e interventi estetici mirati. La sorella, poi, intrattiene una relazione con attempato docente di linguistica e si dedica, a soli 23 anni, alla stesura delle sue memorie.

Con una famiglia così strampalata, James si domanda lecitamente se sia davvero lui il disadattato, e grazie ai consigli della buona nonna (Ellen Burstin) e del suo lifecoach (Lucy Liu), intraprende un percorso che lo porta da un’identità che in molti cercano di affibbiargli alla autenticità del suo essere, che ovviamente sarà una tensione e non un calco definito.

“Registi italiani come Faenza e Sorrentino raccontano l’America meglio degli americani”, tuonano alcuni critici, consapevoli che già in letteratura era stato uno straniero, Kafka, ha regalare un autorevole affresco degli states con il romanzo America. Eppure, nel film di Faenza l’italianità, sempre rintracciabile nei film americani di Leone, Antonioni, Sorrentino e Muccino, viene definitivamente a perdersi, per merito (o colpa) di un casting perfetto e di un registro votato alla leggerezza.

Rispetto al romanzo di Cameron, infatti, Faenza ha tolto lo spettro dell’Undici Settembre, ha ambientato la vicenda in estate e non in autunno e ha trasformato il personaggio della psicologa, davvero pessima nel romanzo, in una lifecoach empatica e alla moda. Laddove il romanzo è cupo e implacabile, senza una soluzione e dal titolo ironico, il film è solare e aperto alla speranza, col titolo che diventa terapeutico, un testamento vitale per il protagonista.

Appropriandosi pienamente della storia il regista, in definitiva, ha raccontato “personaggi disorientati in un mondo che non sta più in piedi”, fuggendo però dal pessimismo di Cameron e da chi afferma che il dolore è inutile e sostenendo, invece, che l’unico percorso possibile per dar senso ai nostri obiettivi è la sofferenza.

Andrea Anastasi

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