L’angolo di Full: “La banda”

Come già raccontavo in un’altra storia, molti anni fa strimpellavo la mia vita di adolescente in un collegio religioso del genere “misericordioso” dal quale si usciva solitamente in divisa, con facce e vessilli da cerimonia, per seguire i funerali di munifici e malconci benefattori.
Capitò che, per aderire a una precisa richiesta degli “affranti eredi”, e anche perché annichilito da un lascito mozzafiato, il rettore del pio istituto decise di dare eccezionale lustro a una sepoltura facendo esibire la banda musicale… sciolta e dimenticata da almeno dieci anni.
Ma in un’aula abbandonata erano conservati gli strumenti e dopo un pomeriggio trascorso a lucidare gli ottoni e ad assimilare le istruzioni di massima impartite dall’insegnante di canto e solfeggio, sedici elementi –scelti fra le più impunite facce di bronzo– erano pronti per la… recita.
La marcetta, ovviamente registrata, veniva mimata con sufficiente abilità, ma per piatti e grancassa si dovettero trovare due autentici talenti naturali poiché, mimare le percussioni in perfetta sincronia, era impresa diabolica.
Un assistente laico, che faceva ingegneria alla Statale, risolse la parte tecnica, compreso il camuffamento di altoparlanti e amplificatore che avrebbero seguito la banda sul furgoncino del collegio, ricoperto di corone e cuscini floreali. In un circolo ricreativo collegato all’istituto, venne reperito un vero suonatore di bombardino, un po’ fuori età, ma che eseguiva l’accompagnamento con singolare maestria e, per rendere più credibile la recita, si concordò un breve assolo conclusivo di bombardino, di grande effetto.
L’esibizione risultò così perfetta che il rettore, forse per scaramanzia, forse paventando indiscrezioni su quella banda fantasma, si guardò bene dal ripetere l’esperimento.
Ma i “suonatori”, che avevano sfilato impettiti e assorti, si convinsero di aver suonato per davvero e i collegiali che avevano seguito la banda a passo di marcia, si sentirono fieri dei compagni “musicanti”, orgogliosi d’indossare la stessa divisa e, per lungo tempo, ne serbarono il film negli occhi e nel cuore, tale è la magia delle felicità più semplici.
L’insegnante di canto e solfeggio registrò un’eccezionale impennata nei profitti degli allievi e qualcuno continuò a lucidare gli ottoni, a lubrificare i tasti, a cavare note, a provare accordi: a scoprire l’inconscia esigenza di far vibrare l’anima.
Infine, tutto venne restituito alla propria sorte mentre il sogno si spegneva adagio, sopito dai giorni. I “suonatori” tornarono alla monotonia collegiale, le onoranze funebri si limitarono ai vessilli da cerimonia e gli strumenti musicali vennero spenti al loro destino, puramente cosmico, di semplici oggetti.
Fulvio Musso