Trapianto e sport al centro della 1^ festa nazionale dell’AITF

foto di gruppo di una squadra di calcio a cinque

La rappresentativa sarda dei trapiantati di organi e midollo

Il 19 aprile 2015 si è conclusa a Cagliari la prima festa nazionale dell’Associazione italiana trapiantati di fegato: una tre giorni di eventi dedicata, in particolare, agli effetti benefici dell’attività sportiva nel post-trapianto, ampiamente illustrati nel corso del convegno di sabato 18 aprile.

di Marcella Onnis

Dal 17 al 19 aprile 2015 si è svolta a Cagliari la prima festa nazionale dell’Associazione italiana trapiantati di fegato (AITF Onlus), manifestazione volta a promuovere la donazione degli organi, informare sui trapianti e incentivare la pratica sportiva, in particolare da parte dei trapiantati.

Quest’ultimo obiettivo è stato perseguito con più manifestazioni sportive e solidali, che hanno visto la partecipazione anche di atleti trapiantati, e con un convegno, che ha dedicato un’ampia sessione al binomio trapianto-sport.

un giovane parla al microfono durante un convegno
Enrico Moroni

IL TRAPIANTATO NON È UN INVALIDO – L’attività della Prometeo AITF Onlus, come di tutta l’AITF, è ispirata all’idea che, salvo sfortunate eccezioni, il trapiantato non sia un invalido, ma una persona che può condurre una vita normale. Non si può, tuttavia, nascondere che questa visione non è condivisa da tutti i trapiantati: per alcuni, forse molti, il trapiantato sarebbe, al contrario, una persona limitata, impossibilitata a svolgere attività normali, men che meno sportive. Se, però, un’opinione può essere messa in discussione, altrettanto non è (o non dovrebbe essere) possibile fare con i dati, in particolare quelli illustrati dal dott. Enrico Moroni del Centro trapianti di fegato del “G. Brotzu”: secondo quanto rilevato dal Centro nazionale trapianti (CNT), nel periodo 2000-2011 il 75,9% dei trapiantati lavorava o era in condizioni di farlo, mentre solo il 24,1% non era idoneo a lavorare.

Se oggi possiamo avere simili statistiche, ha spiegato il dott. Moroni, è perché l’attività trapiantologica si è molto evoluta: fino a quindici anni fa, infatti, il trapianto era ancora un’attività non usuale e solo successivamente è diventato un evento tipico dell’attività clinica. Questo, ha proseguito, ha fatto sì che gli operatori fossero messi nelle condizioni migliori per operare e per ottenere, appunto, migliori risposte sia in termini di qualità di vita del paziente che di sopravvivenza dell’organo o del paziente. Secondo i dati del CNT sopra citati, il tasso di quest’ultima è dell’80%, ma – ha precisato il dott. Moroni – per i trapianti di fegato si arriva al 90%, percentuale più alta che per le persone affette da altre patologie maligne. In particolare, dal 2004 (anno di inizio attività) ad oggi, il Centro trapianti del “G. Brotzu” – che ha all’attivo poco meno di 300 interventi – ha registrato un tasso di sopravvivenza del 96% a distanza di un anno dal trapianto, dell’86% a distanza di 3 anni e dell’81% dopo 5 anni. Tali dati, peraltro, tengono conto anche dei pazienti che hanno subito l’intervento in età avanzata e dei trapiantati con recidiva da epatite C.

addome gonfio e pieno di liquidoArrivare a questi risultati, però, non è scontato, forse neppure facile da immaginare, soprattutto quando la situazione di partenza è quella ritratta in questa foto, mostrata durante il convegno dal dott. Moroni. Eppure, ha spiegato, anche per casi come questi c’è speranza: anche un paziente arrivato al trapianto in condizioni gravi può essere in grado, dopo l’intervento, di svolgere attività prima impensabili. Di più: secondo uno studio pubblicato dal World journal of gastroenterology e condotto su 256 trapiantati di fegato, il trapiantato non dovrebbe più chiamarsi paziente perché, nella stragrande maggioranza dei casi e a differenza dalle persone affette da altre patologie, si riappropria della sua vita.

Ad assicurare aspettative di vita alte, ha evidenziato Moroni, contribuiscono anche i trattamenti personalizzati, sempre più diffusi perché «ogni paziente è un universo a sé». Ma, ha ribadito, per arrivare a questi risultati è necessario rispettare quelle buone abitudini, quali la pratica dell’attività motoria o sportiva, che garantiscono una buona qualità di vita dopo il trapianto.

 “CON LO SPORT IL TRAPIANTATO SI CURA DA SÉ” – E che un trapiantato possa praticare attività sportive lo ha ampiamente ribadito la dott.ssa Valentina Totti, membro dell’ANED (Associazione nazionale dializzati e trapiantati) Sport e del gruppo medico Isokinetic-Bologna. Per supportare quanto affermato si è avvalsa di esempi celebri (quali il rugbista Jonah Lomu, il calciatore Eric Abidal e il gruppo di cinque trapiantati di fegato che hanno scalato il Kilimanjaro) e di accurati dati scientifici. L’Isokinetic-Bologna, infatti, si occupa di riabilitazione medico-sportiva e porta avanti il progetto “Trapianto… e adesso sport”, nato nel 2008 con il duplice obiettivo di dimostrare l’importanza dell’attività fisica dopo l’intervento e di sostenere la ricerca scientifica in questo ambito. Il progetto, ha spiegato la dott.ssa Totti, si basa su tre messaggi fondamentali: “più sport meno farmaci”, “con lo sport il trapiantato si cura da sé”, “il trapiantato ha una marcia in più” (ossia testimonia che la terapia del trapianto è stata efficace, promuovendo così anche la donazione degli organi). «L’esercizio fisico è fondamentale e va considerato come un farmaco, una terapia, come tale prescrivibile sia dal Centro trapianti che dal medico dello sport» ha spiegato la dott.ssa Totti.

Una ragazza parla durante un convegno
Valentina Totti

Uno dei filoni di ricerca dell’Isokinetic riguarda gli effetti dell’attività fisica sui pazienti che hanno subito un trapianto di organo solido e si concentra, in particolare, sul numero di trapiantati che fanno sport, sulle discipline praticate e sui risultati ottenuti. Dati che il centro medico raccoglie nel corso di manifestazioni sportive per trapiantati (quali, ad esempio, i Giochi nazionali per dializzati e trapiantati o i World transplant games), monitorando le prestazioni degli atleti. Ad oggi hanno studiato 157 persone, di cui solo il 17% donne, e ben otto discipline: atletica leggera, ciclismo, nuoto, sci nordico e alpino, volley, calcio e trekking.

In base alle loro ricerche, i trapiantati più anziani sono di norma i meno attivi. Quanto alle prestazioni ottenute, spicca il caso di un gruppo di sei trapiantati di rene che ha fatto trekking nel deserto dell’Algeria per cinque giorni, con una media di 10 km al giorno, e che ha riportato valori (dispendio energetico, affaticamento muscolare, idratazione…) equiparabili a quelli dei “compagni d’avventura” non trapiantati. Stesso discorso vale per lo sci di fondo e per il ciclismo (dove i valori della funzionalità renale hanno dimostrato l’idoneità dei trapiantati a compiere uno sforzo fisico intenso e prolungato), mentre nell’atletica i valori si sono rivelati decisamente peggiori, anche se in buona parte dovuti a un allenamento non costante. Particolarmente interessanti i dati relativi al calcio che, in quanto sport di contatto, è spesso sconsigliato dai medici ai trapiantati: i valori rilevati dall’Isokinetic sono paragonabili a quelli dei non trapiantati; inoltre, nei casi di infortunio non è stato riscontrato alcun danno all’organo trapiantato.

Altro dato emerso da questi studi è che l’attività sportiva regolare:

garantisce migliori condizioni di salute rispetto ai trapiantati sedentari e una miglior percezione del proprio stato di salute psico-fisico, come accade agli sportivi non trapiantati;
riduce i fattori di rischio cardiovascolare.

Accertato, dunque, che i trapiantati possono (e dovrebbero) praticare sport, resta da capire come debbano allenarsi. Sicuramente, un valido aiuto può darlo il “Manuale per l’allenamento dello sportivo trapiantato d’organo” (ed. Calzetti & Mariucci), redatto dalla dott.ssa Totti e dal dott. Giulio S. Roi, acquistabile on line, nelle librerie (su ordinazione) o anche tramite l’ANED Sport.

un uomo parla al microfono seduto tra un altro uomo e una donna al computer
Marco Borgogno, Stefano Dedola e Silvia Talana

UNO SPORT PER TUTTI: IL NORDIC WALKING – C’è poi uno sport che è davvero alla portata di tutti, anche di chi non ne ha mai praticato alcuno: la camminata sportiva, alla quale la Prometeo AITF Onlus vorrebbe dedicare un progetto specifico, aperto non solo ai trapiantati, ma anche ai diabetici e ai loro familiari. Ad annunciarlo è stato il dott. Stefano Dedola, consulente scientifico dell’associazione, introducendo l’intervento di Silvia Talana dell’Asd SensOrizzonte. «Ognuno ha un potenziale genetico che influenza anche i risultati sportivi» ha esordito il tecnico federale di camminata sportiva, ma «il nostro corpo è progettato per muoversi» e «non è mai troppo tardi per cominciare un’attività fisica». Certo, ha ammesso, conciliare la pratica sportiva con il lavoro e gli altri impegni che ognuno di noi ha è una sfida, tuttavia il gioco vale la candela perché i benefici che il movimento offre sono davvero tanti: minor rischio di ammalarsi di diabete di tipo 2; riduzione dei livelli della pressione arteriosa e del colesterolo; diminuzione del rischio di malattie cardiache e di tumori, quali quelli del colon e del seno; prevenzione dei comportamenti a rischio, come l’uso di tabacco e alcol; aumento del benessere psicologico; diminuzione del rischio di obesità; potenziamento del sistema immunitario; miglioramento della forza, della mobilità articolare, della coordinazione, dell’equilibrio e della postura.

La camminata in particolare, ha confermato Silvia Talana, è uno sport alla portata di tutti ed è possibile farne un metodo allenante. È il caso del nordic walking, che affianca alla camminata sportiva l’uso di un paio di bastoncini appositi. In sostanza, ha spiegato, è una sorta di sci di fondo senza sci. L’uso dei bastoncini consente di migliorare la postura, di aumentare il consumo energetico (in media del 20% rispetto alla normale camminata) e di distribuire lo sforzo muscolare su tutto il copro, coinvolgendo la muscolatura della parte alta. In questo modo la camminata diventa più completa e dinamica.

L’istruttrice ha poi spiegato che è possibile allenarsi con diverse frequenze e intensità (leggera, fitness o sportiva), anche in base all’età, e che gli studi effettuati hanno mostrato che anche con un allenamento intenso lo sforzo percepito non è maggiore. I vantaggi offerti da questa disciplina sono molteplici e allettanti: la possibilità di stare all’aria aperta e a contatto con la natura, di incontrare persone nuove, di muoversi in compagnia, di divertirsi e di avere nuovi stimoli per una vita sana e attiva.

Due cose, però, non bisogna dimenticare: «la regolarità dell’allenamento è fondamentale per ottenere risultati dall’attività fisica» e il riposo deve essere previsto perché anch’esso «è una seduta di allenamento da calendarizzare».

LE TESTIMONIANZE DEGLI ATLETI TRAPIANTATI – Se i dati emersi dagli interventi tecnico-scientifici non bastassero a convincere sulla veridicità di quanto affermato, prova vivente ne sarebbero comunque gli atleti trapiantati, a partire dal presidente onorario dell’AITF Carlo Maffeo che, come ha ricordato Marco Borgogno, «incarna veramente lo spirito di questa manifestazione, in quanto ha 85 anni e ha sempre praticato lo sport».

Preziosa, pertanto, la testimonianza portata al convegno da diversi trapiantati e dializzati che praticano attività sportiva, a partire dall’ex calciatore Beppe Tomasini che, nella stagione 1969/70, con i suoi compagni guidò il Cagliari alla conquista del suo primo e unico scudetto: «Ho continuato a fare sport anche dopo il trapianto [di fegato, ndr]» ha raccontato, per poi aggiungere che «le difficoltà ci sono per tutti, per cui il trapiantato deve ritenersi uguale agli altri: l’importante è crederci. Tutto il resto verrà da sé e la vita ci sorriderà».

Nell’introdurre gli altri atleti, Giuseppe Canu, presidente dell’Asnet (Associazione sarda nefropatici emodializzati e trapiantati) e di Forum Sport Italia, ha evidenziato come queste persone, «pur avendo attraversato un periodo difficile che li aveva demotivati, si sono rimesse in gioco», riuscendo per di più a raggiungere grandi obiettivi nello sport. Scopo delle associazioni come l’Asnet, l’ANED e l’AITF o di organismi come Forum Sport Italia, ha spiegato, è proprio motivare i trapiantati che hanno perso le speranze, soprattutto perché «questo aiuta non solo loro ma tutta la famiglia a ritrovare il sorriso». «Anche se abbiamo delle difficoltà per via della salute, dobbiamo sorridere e ritrovare il piacere di vivere» ha concluso.

Così insegna anche la storia di Walter Uccheddu, dializzato: campione di ciclismo e ciclocross, ha abbandonato lo sport quando si è ammalato perché, ha raccontato, «nessuno mi sapeva dire se potessi o meno praticarne». Nel 2011 ha iniziato la dialisi e, «forse per orgoglio», ha ripreso ad andare in bici, quindi si è rivolto all’Asnet per sapere se esistessero competizioni per gli atleti trapiantati. «Volevo fare agonismo, per cui ho chiesto l’idoneità, ma i medici erano titubanti ed ho lasciato perdere», quindi «mi sono allenato da solo con intensità, pur con qualche timore, e ho notato che i miei valori miglioravano». Una volta ripreso l’allenamento, ha ricominciato pure a gareggiare, ottenendo numerosi successi e avendo la possibilità di conoscere altri campioni come Stefano Caredda. «Sono felicissimo di fare sport in attesa di un trapianto» ha affermato, annunciando il suo nuovo obiettivo: realizzare il record dell’ora su pista, «ovviamente non per battere il record dei professionisti» ha specificato. L’impresa è ardua, ma lui è molto determinato: «è un po’ da pazzi, perché nessun medico mi sta allenando, ma spero di battere almeno me stesso, perché devo arrivare a 40 Km/h».

un gruppo di atleti parla durante un convegnoGià chiamato in causa dal “collega”, dopo di lui ha preso la parola Stefano Caredda, ciclista trapiantato di fegato e Vicepresidente della Prometeo AITF Onlus. «Non nasco atleta e in bici ci andavo, già prima del trapianto, per divertimento» ha raccontato e, successivamente, ha ringraziato la dott.ssa Totti per aver esposto i risultati di alcuni studi dell’Isokinetic per i quali lui stesso ha, per così dire, fatto da cavia: «Mi ha convinto ancora di più a praticare l’attività sportiva, che serve sia come terapia che come aggregante, anche perché ti fa riprendere possesso della tua vita». E poi ha aggiunto che «fare attività sportiva, come ha affermato Silvia Talana, non significa necessariamente farlo a livelli agonistici. Sono convinto che aiuti anche chi il trapianto non l’ha fatto». Ma per quelli che come lui hanno vissuto quest’esperienza lo sport «è anche un modo per ringraziare le famiglie dei nostri donatori, perché vedono persone che hanno ripreso la loro vita, stanno bene e hanno meritato ciò che è stato loro donato. Dobbiamo giocarci questa seconda opportunità, cercando di non piangerci addosso».

Stesso entusiasmo l’ha manifestato Giuseppe Faa, anche lui trapiantato di fegato oltre che responsabile della Prometeo Sport: «Ero uno scarsissimo giocatore di calcio, poi sono stato “contagiato” da Stefano». L’illuminazione per lui è arrivata a Orosei dove, nel 2012, si era recato per promuovere la donazione degli organi e supportare con il tifo Stefano Caredda, il suo chirurgo trapiantatore Fausto Zamboni e Roberto Fois, altro trapiantato di fegato, impegnati in una gara  a staffetta di triathlon  nell’ambito della manifestazione internazionale “X-Terra Italy”: «Vedendoli, mi è venuta voglia di fare sport». E dalle parole è passato ai fatti: oggi, ha affermato con autoironia, «mi ritengo non un atleta, ma un praticante ruspante di sport». Non accontentandosi di nuoto e ciclismo – discipline in cui ha gareggiato a Zagabria per la 7^ edizione dei Campionati europei per trapiantati e dializzati e, da ultimo, ai XXIV Giochi nazionali ANED -, di recente ha debuttato ufficialmente pure nel calcio, entrando nella Rappresentativa sarda dei trapiantati di organi e midollo. Anche Faa ha ribadito quanto affermato dai “colleghi”: «Lo sport ci fa bene. Noi possiamo fare tutto e lo dobbiamo al nostro donatore. In più, dobbiamo cercare ogni modo utile per far parlare di donazione e lo sport è un buon veicolo per farlo».

Della Rappresentativa sarda dei trapiantati fa parte anche Daniela Medda, da 16 mesi trapiantata di cuore, che è intervenuta dopo di lui. Prima dell’intervento, non aveva mai fatto sport perché i suoi problemi di salute sono cominciati quando aveva solo 14 anni e, pertanto, aveva potuto praticare come unico sport il calcetto. Solo ora, a 36 anni, ha iniziato a fare seriamente attività sportiva, in particolare calcio (in cui ha ripreso il ruolo di portiere che le spettava da ragazzina) e ciclismo. «Vivere da grande l’esperienza sportiva è molto bello e la si vive bene» ha affermato a chiusura della sua testimonianza.

Altro membro di questo team è Massimo Carta, che ha raccontato di aver «sempre avuto la cultura dello sport», tanto che, oltre al calcio, praticava trekking e nuoto. Dopo aver subito un trapianto di cuore, si è dovuto fermare per un anno ma, trascorso questo periodo, ha ripreso a praticare sport a livello amatoriale, frequentando palestra e piscina. Poi, ha aggiunto, «il 7 marzo, dopo cinque anni, ho ripreso a giocare a calcio ed è stata un’emozione grandissima», così grande da accogliere col sorriso anche un infortunio ai danni del crociato: «sono incidenti che rendono la sfida più bella».

Un vero veterano è, invece, Nino Satta, trapiantato di rene e tennista con all’attivo numerosi successi: «Ho sempre praticato sport a livello agonistico da quando avevo 25 anni e ora ne ho 71» (portati davvero bene). Purtroppo, cinque anni fa, quando iniziò a fare la dialisi, dovette smettere con le gare perché gli allenamenti necessari («il tennis si gioca tutti i giorni», ha spiegato) erano incompatibili con la frequenza delle sedute di dialisi. Tuttavia, non hai mai smesso del tutto di allenarsi e questo non solo gli ha consentito di ottenere ottimi risultati nelle competizioni per dializzati e trapiantati, ma anche di considerarsi perfettamente sano.

Una testimonianza importante l’ha data anche Marina Cotti, trapiantata di rene e pancreas, che è anche presidente dell’AIDO di Cagliari. Pratica sci e nuoto, ma si considera una finta atleta: per lei lo sport, oltre che un modo per stare bene e divertirsi, è un’occasione di arricchimento umano. In particolare, considera bellissima in questo senso l’esperienza della sua partecipazione ai Giochi mondiali per trapiantati organizzati nel 2013 a Durban.

foto di gruppo di una squadra di calcio a cinque
La rappresentativa sarda dei trapiantati

Significativa è stata anche la testimonianza di Gianni Mascia, ex arbitro di calcio e presidente della Rappresentativa sarda dei trapiantati, unica squadra regionale presente in Italia: «Mi sono imbarcato in quest’avventura e, non essendo un trapiantato, all’inizio mi sono trovato in difficoltà», poi però sono arrivate le soddisfazioni. Come ritrovare Carlo Garbarino, che aveva conosciuto anni fa sui campi di calcio e che ora, da trapiantato di fegato, ha ripreso a praticare questo sport. Questi atleti trapiantati, ha affermato, sono guariti ma «hanno un’altra malattia: la passione per lo sport. Una passione che non vedevo nelle altre categorie». Concludendo il suo intervento, il presidente Mascia ha chiesto espressamente la collaborazione delle associazioni del settore per “assoldare” altri giocatori per la rappresentativa regionale. Un invito che, senz’altro, non cadrà nel vuoto.

A chiudere questa carrellata di storie vissute è stato il presidente dell’AITF nazionale Marco Borgogno, anche lui amante dello sport. Nel 1986, ha raccontato, gli fu diagnosticata quella che allora era chiamata “epatite non A non B”, in quanto ancora non era nota l’epatite C. Fino al 2006, i problemi di salute causati dalla malattia e gli effetti collaterali dell’interferone, con cui la curava, lo hanno costretto a limitare l’attività sportiva, Dopo 5 anni dal trapianto di fegato, però, ha ripreso i vecchi ritmi e le vecchie abitudini, tra cui le sciate, le corse in moto e le scalate. «La nostra di trapiantati è una sfida con noi stessi prima di tutto» ha affermato. Una sfida che considera un dovere morale: «Dobbiamo farlo per rispettare il dono della vita. Non sentirsi malati e convincere di questo gli altri che si sentono tali è il significato che possiamo dare a questa manifestazione», anche perché «chi ha avuto questo Dono deve rendere qualcosa a qualcun altro».

 

Foto Prometeo AITF Onlus

 

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