Quando la frutta suscita fascino e arte

Torino capitale dei musei per originalità e rarità
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
Fine anno è anche tempo di relax ma anche un momento opportuno per dedicare qualche momento all’arte, alla cultura e riscoprire gli angoli più “suggestivi” di una città. Tra questi, a Torino, i musei che fanno da cornice alla capitale sabauda. Quello dedicato alla Frutta rientra tra i dieci musei più “strani” del mondo, ed è situato nel Palazzo degli Istituti Anatomici (Via Pietro Giuria 15 – tel. 011/670.81.95; www.museodellafrutta.it ), che ospita anche quelli più noti di Anatomia Umana “Luigi Rolando” e di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso”, che vanno ad arricchire la preziosa storia della nostra era post-risorgimentale. Il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, un intraprendente ed estroso artista, e a suo modo anche un po’ scienziato, è sicuramente il più originale sia per la tematica che per la fantasiosa realizzazione.
Nato a Giaveno (Torino) nel 1808, ben presto si dedica all’arte del confettiere. Nel 1830 giunge a Torino per intraprendere l’attività di modellatore di fiori ornamentali in cera. Nel 1840 si reca a Milano dove viene apprezzata la sua abilità di “ceroplasta”, tanto che comincia a realizzare anche frutti in cera. Da qui in poi è presente alle Corti di Vienna e San Pietroburgo per poi tornare a Torino specializzandosi in pomologia artificiale, arrivando a produrre 1.200 varietà di frutti e 600 di sole uve. Una cospicua produzione che il Garnier Valletti ha realizzato sempre con una tecnica (da lui stesso ideata e continuamente perfezionata) che così descrive: «I frutti artificiali si fanno con polvere d’alabastro sciolta nella cera e nella gomma damar i quali restano duri come pietre bianchissimi nel spacarli cioè facendoli in due ed inalterabili anche al calore. Scoperta del 5 marzo 1858 in un sogno nella stessa notte… così che spero poco per volta ritrovare il metodo d’imitarli che reiscirano inconoscibili dai veri». Anche se la ceroplastica e il modellismo pomologico avevano illustri precedenti in Italia e in varie parti d’Europa sin dalla metà del ‘700, le novità del nuovo procedimento messo a punto dall’artista piemontese, consistevano nella materia resistente, ma anche nella tecnica che consentiva di utilizzare più volte lo stesso stampo e di produrre così oggetti in serie. Il geniale pomologo nel tempo continuò a perfezionare la formula che mantenne sempre segreta, e che fu divulgata a due anni dalla sua morte, avvenuta a Torino nel 1889.
Ma perché proprio un museo così originale e sicuramente unico nel suo genere almeno in Italia? Indubbiamente perché con il tempo la ricca collezione è diventata un simbolo nazionale dei beni storici della Stazione Chimica Agraria. L’ampia esposizione contenente i preziosi “reperti” (moltissime varietà di mele, pere, pesche, albicocche, susine, uve e persino ortaggi), la strumentazione di laboratorio per le analisi chimiche, una ricca biblioteca, di quasi mille volumi di interesse internazionale, diversi disegni acquerellati di prova e studio, e arredi ben conservati fa di questo museo il culto della scienza agraria e della cultura contadina e artigianale, ammirato sino ad oggi da molti visitatori, compresi allievi di scuole di ogni ordine e grado.