Pasqua: Chiamati per nome, provocati dall’amore

 

 

 
 

 

L’ icona pasquale che particolarmente mi affascina per l’interiore forza di coinvolgimento modulata al femminile, è quella contenuta nell’episodio narrato da Giovanni al capitolo 20 : Maria, di buon mattino, si reca al sepolcro per un estremo gesto di amore al suo Signore (porta gli aromi per l’unzione del corpo) e non lo trova …. sconvolta e disperata corre a chiamare i discepoli ( sembra che se la prendessero un po’ comoda …)  I discepoli fanno la loro ispezione. Prendono atto di un fatto da investigare. Rimangono sconcertati come prima e più di prima, e se ne tornano a casa.

Durante tutto l’iter di sopralluogo ed accertamento del fatto, Maria sembra restare in disparte. Nessuno fa caso a lei..

A verifica conclusa, Pietro e Giovanni tornano a casa (l’avranno almeno salutata?).

Maria resta. È sola. E piange. Non si rassegna. Neanche gli angeli riescono a consolarla. E si aggira inchiodata dall’incertezza (certezza?) in un luogo di tombe. Improvvisamente qualcuno le chiede ancora, dopo che già lo hanno fatto gli angeli, il perché del suo irrefrenato lacrimare.

Lei non guarda il volto di colui che le parla.  È atterrata e sconcertata nel suo orizzonte di  personale impotenza al punto che può solo scagliare  verso quella voce tutto il suo grido di dolore e la sua preghiera: “… lo hanno preso …  hanno preso il corpo del mio Signore … ed io non so dove l’abbiano portato”.  È il custode. Così pensa. E sembra così gentile e premuroso. Certamente saprà qualcosa. Poterebbe sapere dove lo hanno portato. E potrebbe dirglielo. Come la sposa dei Cantici, se glielo avesse indicato, sono sicura, avrebbe affrontato ogni  rischio pur di riaverlo. Lo avrebbe fatto. Da sola. In ogni modo. Niente l’avrebbe fermata.

Per contrappunto mi concedo l’ozio di immaginare quale potrebbe essere stata la reazione maschile all’interno dello stesso contesto. Cosa avrebbe fatto un uomo. Si sarebbe girato. Avrebbe guardato in faccia il supposto custode e con ostentata complicità virile, forse solo inizialmente deferente, e gli avrebbe chiesto: scusi lei … è il custode?… sa mica … non ha per caso visto qualche malintenzionato …

Il linguaggio di Maria è esigente. Diretto. Essenziale. Bypassa le parole e va dritta al cuore del problema. È il linguaggio dell’amore. Dell’amore ferito. Ed ecco che avviene l’impensato. Quella stessa voce (oso pensare un po’ divertita …) ora la chiama per nome. E lei si gira. Non ha incertezze. Non ha dubbi.  È Lui. È il suo Maestro … il suo amato. Ed è vivo. Gesù Cristo l’ebreo crocifisso è vivo. E Maria è essa stessa in questo nuovo orizzonte di vita nuova conquistato e donato. Ora lei sa chi è veramente.  È l’amata.

Siamo dinanzi ad una meravigliosa icona della fede. Icona dell’amore credente.

Per inciso: non sarà mica quella stessa Maria di cui parla Marco (14,1-15) la quale, a Betania, in casa di Simone il lebbroso, in un convito di soli uomini (pare), quando mancavano appena due giorni alla Pasqua, spezza un vaso di puro nardo ed ha l’ardire profetico di cospargerlo sul capo di Gesù? (Maria, la sorella di Lazzaro, fa lo stesso gesto durante un banchetto, a soli sei giorni dalla Pasqua ma, a differenza dell’altra, sparge il profumo sui piedi di Gesù e poi li asciuga con i suoi capelli …..) E le parole di Gesù dinanzi alla generale e maschile indignazione per lo spreco?  “…. Lasciatela stare … non la importunate …..ha compiuto verso di me un’opera buona … ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura ….”

Mirabile sfrontatezza dell’amore femminile. E commovente, avvincente e convincente determinazione e lucidità sofferta e solitaria di Gesù per quanto gli sta per succedere …

Pasqua è riscoprire di essere personalmente chiamati. Appellati. Cercati. Amati. Amati di un amore immenso. Eterno. Geloso.  È sapere che Dio tiene a noi infinitamente di più di quanto noi stessi possiamo per  noi.  “… Di un amore immenso ci hai amati”- pregavano gli ebrei anche nei campi di sterminio.

Marco quasi a scusare l’incredulità dei discepoli circa la notizia della resurrezione di Gesù, sottolinea, con un po’ di malignità che, dopo tutto, sarebbe stato azzardato dar credito ad una notizia portata da donne visionarie ..  e poi … poi quella Maria di Magdala … non era forse quella tal persona dalla quale Gesù aveva scacciato ben sette demoni?  Eh! Beh! Andiamoci piano ….. non si sa mai …. Che figura ci facciamo …

Ed, anzi, chiarisce, con un pizzico di indisponenza: “Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non vollero credere.”  (Marco, 16,11).  E Luca fa lo stesso. Anche lui (..ahi..ahi …) proprio non riesce a trattenere una certa dose di malevolenza, ( Luca 24,9-11) a differenza di Matteo che, preso da altro intento catechetico, sorvola. È così. Se hai una marchio addosso non c’è niente da fare: te lo ricuciono a vita …. succede … noi siamo fatti così.  Ma Gesù è risorto per ogni creatura sotto i cieli. Per rendere luminosa la nostra casa terrena. E svelarci che sui nostri piccoli, discutibili, spesso irritabili ritratti umani, da sempre si è posato lo sguardo dell’amore fedele ed incondizionato di Dio che ci conosce e ci chiama per nome. In ogni istante. In ogni situazione. Al di là e nonostante le nostre piccole e grandi storie di fragilità, incomprensioni e fallimenti.  E vede e ci insegna a vedere la meraviglia dell’amore tenace, e spesso nascosto, che lui può far sprigionare e ruscellare dal cuore delle Marie e dei supponenti giusti di tutti i tempi .

La resurrezione di Gesù ci comunica la certezza che questa nostra avventura umana, pur segnata inevitabilmente da fragilità e sofferenza, è avvolta, trasfigurata e resa bella dall’amore di Cristo al punto che ora, già da ora, ogni creatura sotto i cieli, ogni credente che volge a lui lo sguardo risvegliato e stupito, è già reso partecipe della sua Pasqua.

Buona Pasqua

 Emanuela Verderosa

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