Le ombre degli scacchi (ri)raccontate da Paolo Maurensig

teoria delle ombre di paolo maurensig

fabio stassi e paolo maurensigdi Marcella Onnis

Da tempo leggo Paolo Maurensig e lo considero uno degli scrittori italiani contemporanei più talentuosi; con piacere, quindi, l’ho potuto ascoltare lo scorso 11 settembre a Mantova durante la XX edizione del Festivaletteratura. Dopo aver letto – e amato – le sue storie cupe, passionali e folli, è stato un po’ strano scoprirlo così composto e pacato, anche nel fare una battuta, ma in qualche modo, forse, la chiave di questo contrasto sta nella suggestiva presentazione che, a inizio incontro, ne ha fatto lo scrittore Fabio Stassi: «La tradizione mitteleuropea in Maurensig vive, ma come una geografia del sangue». Seppure un po’ timido e impacciato, il giovane scrittore ha saputo presentare molto bene il collega, unendo l’entusiasmo del lettore appassionato alla competenza tecnica dello specialista del settore, come quando ha affermato che «la qualità della sua scrittura è terapeutica, è particolare. La definisco in levare perché provoca un movimento, ti suscita qualcosa». A suo parere, inoltre, leggere il suo ultimo romanzo, “Teoria delle ombre”, «aiuta a curare l’egocentrismo e a relativizzare le reazioni».

GLI SCACCHI COME ALLEGORIA DELLA VITA – Ad accomunare i due scrittori c’è la passione per gli scacchi e, in particolare, per due acerrimi rivali: il cubano Jose Raul Capablanca e il russo Alexandre Alekhine, rispettivamente protagonisti di uno dei romanzi di Stassi (“La rivincita di Capablanca”) e dell’ultimo di Maurensig. “Ma davvero gli scacchi sono il gioco delle responsabilità?” ha chiesto lo scrittore-presentatore. Lo scrittore-ospite ha ricordato, innanzitutto, di aver già trattato questo tema ne “La variante di Lüneburg”, presentata proprio a Mantova ben 20 anni fa, poi ha aggiunto: «Tutti quanti, anche chi non lo conosce, sono affascinati dal gioco degli scacchi perché simboleggia la vita, la lotta tra il bene e il male, tra il bianco e il nero, e ha delle figure mistiche: cavalli, re, regine…». Quanto al nuovo romanzo, ha spiegato di averlo scritto «pensando a quelli che non sanno giocare a scacchi, riportando questo mondo, che ha precise regole e precisi personaggi».

E COME ARMA POLITICA – Ne “La variante di Lüneburg” toccava, inoltre, un altro tema: quello «dell’utilizzazione degli scacchi a livello propagandistico, politico», ossia l’idea per cui una Nazione dovesse primeggiare in questo gioco per dimostrare la propria superiorità sulle altre. I nazisti, in particolare, cercarono di evidenziare la contrapposizione tra il loro gioco – da loro considerato nitido, bello, raffinato – e quello ebreo, dipinto come «un gioco che pescava nel torbido, finalizzato solo a vincere». Quella stessa ideologia, ha aggiunto, ha fatto sì che gli scacchi finissero con il simboleggiare le armi durante la Guerra fredda. Dunque, a suo parere, questo gioco è «un mondo affascinante, ma lo era di più nel passato perché oggi non esiste un contrasto forte tra le nazioni». Questo vecchio scenario è determinante anche per “Teoria delle ombre” in cui Paolo Maurensig, basandosi su fatti reali, narra gli ultimi giorni di vita di Alexandre Alekhine, che «fu per quasi vent’anni campione mondiale» e che fu trovato morto nel marzo del 1946 a Estoril, all’epoca «porto franco di tutte le spie, sia naziste che degli Alleati».

A CAVALLO TRA LETTERATURA E PROBLEMISTICA – Con un’altra delle sue argute osservazioni, Fabio Stassi ha tracciato un parallelo tra scacchi e letteratura: la mossa di apertura nel gioco, per esempio, corrisponde all’incipit di un brano letterario, anche per il rischio di fare un passo falso che comprometta l’esito; entrambi hanno inoltre una chiusa, così importante nel gioco – ha rimarcato – che le hanno dedicato interi libri  e che alcuni maestri insegnano a dare scacco al re prima ancora di insegnare tutto il resto. Jose Raul Capablanca diceva “Se non sai come chiudere una partita, non iniziarla neppure” e per Stassi questo può forse valere anche in letteratura.

teoria delle ombre di paolo maurensigA suo parere «un romanzo è un’autopsia» e «i titoli di Maurensig sono molto indicativi: «Variante e Teoria», a suggerire che «la realtà è la realtà, ma il romanzo è il territorio delle possibilità». Per questo, ha aggiunto, «i suoi romanzi li vedo come una partita a scacchi: cerco di individuare le mosse». Per Maurensig gli scacchi sono più prossimi alla problemistica che alla letteratura, tuttavia la sua visione è in armonia con quella del collega: «Scrivere un libro per me è un po’ come comporre un problema che ha varie possibilità, ma la soluzione è una sola ed è il lettore che alla fine deve trovarla». Il che vale anche per questo libro che, ha spiegato, «è un giallo: c’è un morto, un’indagine e una possibile soluzione». La morte di Alekhine, infatti, è realmente avvenuta in circostanze misteriose: «Molte incongruenze mettono in dubbio che sia stata una morte per cause naturali» ha affermato Maurensig, ricordando che secondo l’autopsia morì soffocato per via di un pezzo di carne conficcato nella trachea.

CHI ERA ALEXANDRE ALEKHINE? – Se per Capablanca gli scacchi erano una questione di tecnica, per Alekhine erano una forma d’arte, ha ricordato Stassi, per poi passare a descrivere il campione russo come un «un personaggio oscuro, ambiguo» (era, infatti, amico di Hans Frank – efferato nazista noto come il Macellaio della Polonia – e scrisse anche articoli antisemiti), ma «anche una figura romantica, perché gli scacchi erano la sua passione, cui ha dedicato la vita». «E questa è stata anche la sua difesa: “Mi interessava solo giocare a scacchi”» ha proseguito Maurensig, rincarando la dose: «Il carattere di Alekhine era pessimo, repellente». Era, infatti, superstizioso fin da bambino (a sentirgli descrivere certe sue abitudini viene da pensarlo pure ossessivo), aveva abitudini rozze ed era un voltagabbana: fu comunista nell’URSS, lavorò nella polizia segreta russa, poi scappò in Francia e giocò per i francesi, quindi passò a giocare per i nazisti… Tuttavia, per Maurensig non era antisemita: «Non odiava gli ebrei, ma gli scacchisti ebrei perché per lui avevano un gioco “sporco”». Interpretazione che, ha evidenziato, sembrerebbe confermata dal fatto che una delle donne che sposò era un’ebrea americana (alcolista come lui, tra l’altro). E fu proprio lei a conservare il quadernetto in cui Alekhine aveva scritto i famosi articoli antisemiti: «Viene da pensare che i due si siano divertiti a scriverli, calcando la mano affinché fosse evidente a tutti che non erano seri» ha affermato Maurensig. Insomma, «Alekhine ruota intorno al disonore, a tutte le sue possibilità» ha sintetizzato Stassi.

paolo maurensigUn altro pregio, però, oltre al talento negli scacchi, l’aveva: era poliglotta, circostanza che ha consentito ai due scrittori di fare una parentesi sulle lingue. Per Stassi «si cresce in una lingua, non si cresce in un luogo: è la lingua la nostra madre». Maurensig, dal canto suo, è cresciuto in un ambiente plurilingue: essendo nato a Gorizia, a casa sua si parlava sloveno e anche dialetto friulano, ma frequentò una scuola italiana e ha «scelto questa lingua per scrivere perché era la più bella e completa di tutte».

Alexandre Alekhine è anche un classico esempio di talento inteso come maledizione, idea che torna spesso in “Teoria delle ombre”, ha rimarcato Stassi, introducendo il tema, connesso a questo, del fallimento: «Si sa che si è destinati a fallire e nessuno vuole restare imbattibile». Vero o non vero che sia, per Maurensig una cosa è certa: «Ciò che scrive lo scrittore è sempre un fallimento perché la perfezione non si può raggiungere».

 

Foto Silvia e Marcella Onnis

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