LA CHIRURGIA DEI TRAPIANTI… SENZA CONFINI RICORDO DEI LUMINARI ITALIANI E STRANIERI

Affinché coloro che sono in attesa di un trapianto non perdano la speranza: è sempre utile ricordare i protagonisti della scienza trapiantologica.
di Ernesto Bodini (giornalista scientifico e biografo)
Se la storia della Cardiochirurgia ha fatto dei progressi lo si deve certamente ai suoi pionieri, e con essi (per dovere di informazione) chi si è prodigato a far conoscere il loro operato, le loro caratteristiche e soprattutto la loro umanità. Tra questi “Maestri” di una delle discipline più impegnative, che hanno reso storico l’evento del 1967, ossia il primo trapianto di cuore ad opera, il sudafricano Christian Barnard (1922-2001). Come pure è da ricordare il prof. Lucio Parenzan (1924-2014), scomparso a 90 anni nel gennaio del 2014. Il mio primo ed unico incontro con il cattedratico, nativo di Comeno (l’attuale Slovenia), bergamasco di adozione, avvenne a Novara tra il 31 ottobre e il 1 novembre del 1997, in occasione del congresso per il “XXX anniversario primo trapianto di cuore – Incontro con i protagonisti”, del quale egli ne era il presidente, organizzato dalla sezione piemontese dell’A.I.D.O. (presidente provinciale Novara – VCO e consigliere nazionale Pietro Pesare, deus ex machina dell’evento) della quale fui l’addetto stampa come pure del congresso. Il prof. Parenzan era un uomo di elevato valore accademico. Laureatosi nel 1948, diresse la Divisione di Cardiochirurgia pediatrica e di Cardiochirurgia di Bergamo dal 1964 al 1994; una intensa carriera preceduta da lunghi periodi di studio a Stoccolma e a Pittsburg, e in seguito fu docente di Chirurgia pediatrica all’Università di Milano. Ma la tappa “più storica” è del 1985, e precisamente la notte tra il 22 e il 23 novembre agli Ospedali Riuniti di Bergamo, quando con la sua équipe eseguì il primo trapianto di cuore (il terzo in Italia dopo quelli di Padova e Pavia); ma fu anche il primo ad eseguire interventi a cuore aperto su neonati, e il primo ad intervenire su pazienti (sotto i tre chili di peso) affetti da Tetralogia di Fallot, i cosiddetti “bambini blu”. Inoltre, sotto la sua guida il Centro di Bergamo divenne il più grande Centro di Cardiochirurgia di importanza internazionale; nel 1989 fondò l’International Hearth School, Fondazione di Bergamo per la formazione medica continua (onlus), dalle cui fila uscirono venticinque primari in Italia e all’estero. L’anno prima ricevette la medaglia d’oro per la Sanità pubblica dal Ministero della Sanità italiano. Ma la sua esperienza e la sua “vocazione” per il sociale e quindi fine conoscitore delle tematiche della medicina umanistica, lo hanno visto quale direttore del Progetto internazionale di prevenzione e cura delle malattie cardiache nei paesi africani nell’ambito del Centro Internazionale di Cultura Scientifica di Losanna, e a capo di una équipe chirurgica al Mater Misericordiae Hospital di Nairobi in Kenya; oltre ad essere stato direttore scientifico di Humanitas Gavazzeni. Tralasciando i trascorsi per così dire, più giovanili, che da fonti bibliografiche non sono stati tra i più semplici considerando soprattutto l’epoca del conflitto mondiale, del prof. Parenzan rammento la maestria nel moderare quel congresso novarese, del quale mi incaricò di fornirgli in seguito la relativa rassegna stampa, cosa che feci con non poca fatica nel giro di qualche mese (a quei tempi non c’era internet e tanto meno i cellulari… e purtroppo nemmeno troppa collaborazione di colleghi giornalisti, ma ciò nonostante il congresso ebbe ugualmente un discreto successo). Ho voluto ricordare questo luminare della scienza medica e chirurgica non solo per il trascorso decennale della sua scomparsa, ma anche per dovere di biografo. E sempre come tale nel contempo la figura dello statunitense prof. Thomas Starzl (1926-2017), pioniere dei trapianti di fegato in essere umano, scomparso a Pittsburgh (Pensylvania) all’età di 91 anni. Conobbi il prof. Starzl il 27 maggio 1997 a Milano in occasione del conferimento del Premio internazionale “Chirone” che gli fu assegnato dall’Accademia Nazionale di Medicina, al termine del quale lo avvicinai per una breve intervista per il periodico La Voce dell’A.i.d.o. Piemontese, che qui ho il piacere di riproporre.
Prof. Starzl, è sempre un problema etico la scelta dei candidati al trapianto?
“Più che una scelta etica deve essere etico-clinica: di tutti i malati si tratta il più grave e questo, non è quello che avviene in tutti i Centri… In alcuni di questi la scelta è “condizionata”, tanto che si sottopone a trapianto di fegato pazienti che non ne hanno bisogno, o quasi! C’é quindi un unico modo per fare la scelta giusta: il malato più grave deve avere la priorità assoluta nel ricevere l’organo a disposizione; in caso contrario, o si trovano più soldi, oppure si economizza al massimo in modo da ridurre il numero dei trapianti o, peggio ancora, non si fanno trapianti…”
Ma a chi competono i problemi di carattere etico?
“Da un certo punto di vista il medico non potrebbe avere la facoltà di prendere decisioni etiche perché entra in un conflitto di interessi e quindi perché direttamente coinvolto, anche se, tuttavia, è l’unico che conosce fino in fondo le problematiche di cui si tratta. A mio avviso, invece, i Comitati etici di qualsiasi genere non ne sono coinvolti e spesso, sono loro a conoscere i veri problemi del malato”
Il problema del rigetto presenta ancora qualche difficoltà nel trapianto di organo umano?
“Oggi, con i farmaci a nostra disposizione, come la Ciclosporina, il rigetto rappresenta un evento controllabile; anzi, ritengo che non sia il rigetto la causa dei trapianti non riusciti”
Quali sono le risposte cliniche nel trapianto in età pediatrica rispetto all’adulto?
“Sono forse migliori nei bambini, rispetto agli adulti”
Quanto passerà prima che lo xenotrapianto entri nella pratica chirurgica?
“Non è possibile poterlo stabilire, soprattutto perché, nonostante i progressi sinora raggiunti, il problema del rigetto è ancora da risolvere. La scienza può giungere improvvisamente a nuove scoperte e cambiare tutto”
In due parole, qual è il futuro dello xenotrapianto?
“È qualcosa dietro l’angolo, ma che rischia di star sempre dietro l’angolo!”
LE STORICHE TAPPE DEI TRAPIANTI DEI VARI ORGANI
Si narra che nel 1821 fu eseguito il primo innesto documentato in ambito oculare ad opera dell’oftalmologo tedesco Philipp Franza von Walther (1782-1849), si è trattato di un intervento all’occhio di un suo paziente; in seguito, nel 1958 avvenne il primo trapianto di cartilagine, mentre nello stesso anno il trapianto di una testa d’omero ad opera del cecoslovacco M. Jaros. Ma bisogna risalire al 1902 per il primo esperimento su un cane e del 1933 il primo trapianto su una donna, che però rigettò l’organo e morì 4 giorni dopo. Nel 1950 i medici Huffnagel Landsteiner e Hume trapiantarono e rimossero dopo due giorni un rene a una donna allo stato terminale dell’insufficienza renale, collegandolo ai vasi del braccio al fine di stimolare la produzione di urina nei reni con esito positivo. Nel 1954, l’americano Joseph Muraay (1919-2012) portò a compimento l’intervento a Boston tra due gemelli monozigoti. Il primo trapianto di polmone fu eseguito nel 1963 da James D. Hardy (1918-2003) a Jackson in Mississippi, sul paziente John Russel di 58 anni, affetto da gravi problemi polmonari e renali, e in quanto ergastolano gli fu proposto uno sconto della pena nel caso l’intervento fosse riuscito, a patto di offrirsi come cavia. L’intervento fu portato a termine sia pur non privo di complicanze, ma il paziente sopravvisse solo 18 giorni a causa di un’infezione renale. Risalgono alla fine dell’800 i primi tentativi, su cani e pecore, per il trattamento del pancreas, favoriti in seguito con la scoperta nel 1921 dell’insulina; ma è nel 1966 che si giunse al primo trapianto di questa ghiandola ad opera di Richard Lillehei (1927-1981) e William Kelly in Minnesota, e solo verso gli anni ’80 si riuscì a mettere in atto una metodologia più sicura e utilizzabile. Ed è forse il trapianto di cuore che ha riscosso maggior successo mediatico ad opera del prof. Chrstian N. Barnard, che effettuò il 3 dicembre 1967 sul 53enne Louis Washkansky, donatrice una giovane di 25 anni deceduta a causa di un incidente stradale. Ma il paziente morì dopo 18 giorni a causa dei farmaci immunosoppressori utilizzati che ne avevano indebolito il suo già compromesso sistema immunitario. Da notare che l’organo trapiantato sino ad allora aveva funzionato molto bene. Parecchi anni dopo, ossia nel 2005, fu una donna francese di 36 anni Isabelle Dinoire, ad essere stata sottoposta al trapianto di gran pate del volto, deturpato dai morsi di un cane. L’intervento fu eseguito dall’équipe guidata dai proff. Bernard Devauchelle (1950) e Jean-Michel Dubernard (1941-2021). L’intervento sulla paziente francese si risolse con successo, la quale visse altri 11 anni, ma i molti farmaci anti-rigetto che assumeva ne indebolirono il sistema immunitario sino a causarne il decesso per tumore. Nel 1998 il prof. Dubernard eseguì a Lione il primo trapianto della mano; dell’équipe fece parte anche l’italiano prof. Marco Lanzetta al quale si deve, tra l’altro, il primo trapianto della mano in Italia effettuato nel 2000. Nel 2008 Karl Merk, un contadino tedesco di 54 anni fu il primo paziente al mondo ad essere stato trapiantato delle due braccia, “prelevate” da un giovane deceduto in un cidente stradale. Questo intervento, come altri, coinvolse più specialisiti in una clinica di Monaco di Baviera guidati dai chirurghi plastici Edgar Biemer (1940) e Christoph Hoehnke. Il paziente aveva perso entrambi gli arti superiori sei anni prima in un incidente agricolo. L’ultimo trapianto “innovativo” dal punto di vista cronologico risale al 2021, e si tratta del primo trapianto di trachea al mondo, eseguito su Sonia Sein, una 56enne di New York che, da quando subì nel 2014 danni estesi nel corso di un’intubazione d’emergenza, respirava attraverso un foro praticato nel collo. Dopo 18 ore di intervento che ha visto all’opera circa 50 specialisti, la paziente ha ripreso a respirare in modo autonomo, sia pur sottoponendosi alla terapia di farmaci antirigetto e immunosppressori.
In merito a questi notevoli progressi della scienza e della tecnica nell’ambito delle donazioni per i trapianti d’organo a scopo terapeutico, non si può non rievocare la vicenda che ha coinvolto la famiglia americana Green. Nel 1994 Nicholas Green, di 7 anni, era in vacanza in Italia con il padre Reginald, la madre Margaret e la sorellina Eleanor, di 4 anni. Il 29 settembre, mentre la famiglia viaggiava sull’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria diretta in Sicilia nei pressi dell’uscita di Soriano Calabro (vicino a Vibo Valentia), la loro Autobianchi Y10 fu scambiata da alcuni “Ndranghetisti” per quella di un gioielliere locale e crivellata di colpi. Colpito alla testa mentre dormiva sul sedile posteriore, Nicholas fu ricoverato al centro neurochirurgico del Policlinico di Messina, dove morì due giorni dopo, il 1º ottobre. Alla sua morte, i genitori con un gesto di estrema spontaneità, autorizzarono il prelievo e la donazione dei suoi organi: ne beneficiarono sette italiani, di cui tre adolescenti e due adulti, mentre altri due riceventi riacquistarono la vista grazie all’innesto delle cornee. Da allora la famiglia Green divenne il simbolo per lo stimolo alla donazione degli organi, tanto che mister Reginald Green fu invitato un po’ ovunque per raccontare questa sua esperienza, trasmettendo l’esempio del perdono e della generosità affinché la donazione potesse diventare “continuità di vita” per tutti i pazienti in attesa di un organo. E quando mister Green venne in Piemonte nell’ottobte 1998, invitato dall’Aido regionale, ebbi occasione di incontrarlo ed intervistarlo. Alla domanda: in alcuni casi il dramma è visto con indifferenza o pseudo partecipazione. Sono esempi di egoismo o, peggio, di inciviltà? Rispose: «Di fronte al problema delle donazioni di organi, alcuni pensano che la loro scarsità sia dovuta al rispetto per il proprio corpo; altri invece non vengono “sollecitati” a chiedere informazioni e nessuno si prodiga di informarli. Vi sono anche altre ragioni che frenano le donazioni, per esempio, in ospedale e trovarsi di fronte ad una persona che, poco prima, stava bene e ora giace morta, allora l’emozione ha il sopravvento, soprattutto se si deve prendere in poco tempo una decisione così importante come quella di acconsentire (in modo irreversibile e magari senza potersi consultare) al prelievo di organi».