Il digitale terrestre e l’illegittimità dei contributi pubblici per i decoder

Il processo di conversione dei segnali televisivi dal sistema analogico a quello digitale avrà termine – salvo ulteriori proroghe – entro il 30 novembre 2012 (giusto a ridosso della fine del mondo, secondo il calendario Maya!), ma nel frattempo il digitale terrestre continua a non darci pace: è dello scorso 15 giugno 2010 la sentenza T-177/07 con la quale il Tribunale di primo grado delle Comunità Europee ha confermato l’illegittimità dei contributi pubblici per l’acquisto dei decoder, ritenendo che gli stessi integrino un aiuto di stato, che l’Italia potrebbe ora trovarsi costretta a recuperare.
Ripercorriamo a grandi linee la vicenda.
Come tutti ben sappiamo, le leggi finanziarie 2004 e 2005 avevano introdotto un benefit in favore degli utenti del servizio radiodiffusione che intendessero acquistare o noleggiare un apparecchio idoneo a consentire la ricezione dei segnali televisivi in tecnica digitale terrestre.
Tali norme sono state sottoposte al vaglio della Commissione delle Comunità Europee, la quale ha avviato un procedimento di indagine formale nei confronti della Repubblica Italiana, conclusosi con la decisione 2007/374/CE: ritenuta la misura un aiuto di stato “a favore delle [sole] emittenti digitali terrestri che offrono servizi televisivi a pagamento e degli operatori via cavo di televisione a pagamento”, incompatibile con il mercato comune e i principi della concorrenza, la Commissione ha ordinato all’Italia il recupero degli aiuti versati.
Contro la summenzionata decisione ha proposto ricorso la Mediaset S.p.A., in qualità di emittente di programmi digitali terrestri: a suo dire, infatti, la misura statale non le avrebbe procurato alcun vantaggio rispetto alle emittenti satellitari, ma avrebbe piuttosto operato a profitto dei consumatori, unici reali beneficiari della sovvenzione.
Sarebbe stato interessante se gli utenti avessero potuto interloquire sui decantati vantaggi del nuovo sistema; in ogni caso, i Giudici europei non si sono lasciati ingannare da certe capziose giustificazioni, tanto di moda nel nostro Paese, confermando la decisione della Commissione.
In attesa che la pronuncia del Tribunale di Lussemburgo venga rimessa in discussione davanti alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee – secondo le già annunciate intenzioni della ricorrente – non ci resta che chiederci se anche in Europa si stia diffondendo quel “complottismo” che porta a vedere conflitti di interessi dove non ce ne sono …
Silvia Onnis

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