Calligrafia: arte raffinata e remota ma non… sepolta

Ricordando quei nostalgici pennini d’acciaio

Sino a cinquant’anni fa, o poco più, la bella scrittura costituiva motivo di preferenza per accedere nelle pubbliche amministrazioni. Infatti, la “calligrafia”, dal greco kalos: bellezza e grapho: scrittura, è l’arte del bel scrivere, ossia una disciplina che insegna a vergare con precisione ed eleganza i vari caratteri che si conoscono. Poiché è un’arte che appartiene alla classica antichità, come tutte le arti e le scienze ebbe non pochi valenti cultori. Fra i maestri che meglio si distinsero nell’arte di scrivere e che lasciarono buona ricordanza con le loro opere geniali, vanno annoverati Cresci, Carstairs, Decaroli, Fontanine, Pacioli, Quintilliano, Vespasiano ed altri ancora. Tralasciando quelle che sono le tecniche esecutive di questa raffinata disciplina olografa, mi pare interessante ripercorrere alcune tappe della sua evoluzione storica. Nel Medioevo la calligrafia fu sostituita dal volgare “corsivo” in gran parte indecifrabile per le sue varie versioni. Successivamente, Carlo Magno impose ai suoi sudditi una scrittura più chiara definita “carolingia” che, dopo quattro secoli, venne spodestata da quella “gotica”. Questa versione non attecchì in Italia. Da noi prese consistenza la scrittura “umanistica” soprattutto per merito di amanuensi fiorentini, dallo stile ornamentale dei manoscritti sia per nitidezza che per misurate proporzioni. Nel XV secolo, con l’invenzione della stampa, decadde questo tipo di scrittura ma non il merito e la preziosità degli amanuensi e dei copisti, la cui arte ed esperienza servì ai primi tipografi come Aldo Manuzio.

L’adozione di forme e dimensioni diverse delle singole lettere fu in gran parte merito degli italiani: dal trattato di Damiano Moile del 1749 alla Divina proporzione di Luca Pacioli, fin ad includere alcuni trattati scientifici dello stesso Leonardo da Vinci. In seguito, proprio per gli studi fatti per la stampa, nacque una nuova moda di scrittura manuale detta “cancelleresca italiana”. Questo tipo di calligrafia si diffuse in tutta Europa e restò in uso fino agli inizi dell’800, epoca in cui comparve la classica ma efficace penna d’oca. L’ultimo exploit in fatto di bella scrittura lo si ebbe con la rivoluzione industriale che invase il mercato di pennini d’acciaio. Chi non ricorda i coreografici svolazzi e le firme autografe dalle iniziali maestosamente elaborate? Questo modo di scrivere (rimasto in auge sino al secondo dopoguerra) fu coltivato in prevalenza da persone di mondo e di elevata cultura, divenendo nel contempo materia di insegnamento nelle scuole. Ma il progresso tecnologico è incalzante ed ecco apparire la macchina per scrivere, avvento questo che segnò la crisi definitiva (o quasi) della calligrafia. Infatti, è con la legge istitutiva della Scuola media unificata, varata nel 1962, che fu abolito in tutte le scuole l’insegnamento della calligrafia. Tuttavia, la stessa pareva resistere ancora negli uffici pubblici presso i tribunali, in quanto era prevista la stesura a mano degli atti processuali. Ma anche in questi pubblici uffici, in seguito ad una circolare del Ministero di Grazia e Giustizia (oggi Ministero della Giustizia) del gennaio 1973, gli atti dei processi potevano essere redatti anche con la macchina per scrivere.

Volendo trasporre questi arabeschi calligrafici in pensiero, è esplicativo il detto: “Molte cose il tempo cura che la ragion non sana…” Postulando, resta indelebile e coerente la verifica storica nella quale si specchia il nostro passato e ci permette di ricordare quanto andava affermando il pedagogista prof. P. Vecchia: «Una bella scrittura è l’ornamento di una buona educazione, poiché una lingua forbita è il decoro degli egregi pensieri». Pur restando oggi soltanto sinonimo di galateo, non va dimenticato che la calligrafia rappresenta un’opera d’arte la cui realizzazione costò fatica, fantasia e impegno e che il bello scrivere è l’espressione più viva di ogni concetto che, non di rado, si dimostra in figura esteriore il nostro pensiero interiore, ciò attraverso le lettere di un alfabeto. Quindi, al bando la frase “bella calligrafia”, espressione ancora in uso, non tanto perché la tecnologia ha preso il sopravvento, ma più semplicemente perché è una forma di pleonasmo.

Ernesto Bodini

(giornalista scientifico)

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