L’angolo di Full: “Proposta indecente”

Un giorno, verso le undici del mattino, mentre cercava un paio di forbici, Ettore incontrò se stesso. Sapeva che, seppure rari, avvenimenti simili possono accadere. S’erano conosciuti da bambini, il giorno del suo ottavo compleanno.
Era salito su di un albero per recuperare la palla e, ramo dopo ramo, era già ad una bella altezza quando, spostando una frasca, lo vide avvinghiato al tronco. Il se stesso gli sembrò terrorizzato ed infatti gli confidò piangendo che non sapeva assolutamente come ridiscendere. Ettore cercò inutilmente di infondergli coraggio: «T’aiuto io: aggrappati». Macché.
Dovette salire la sorella Giovanna con la scala, sacramentando ad ogni piolo. L’altra sorella, Clara, decisamente più buona, era giù che teneva la scala e quando atterrarono rifilò un’unica, imprecisa zoccolata che beccò lui anziché il se stesso.
Lo incontrò poche altre volte in occasioni che ricordava perfettamente, come quel giorno al supermercato, ognuno col proprio carrello. Quello del se stesso conteneva un unico ciuffo di sedano bianco di Verona. Ad Ettore apparve come un signore distinto, dall’animo delicatamente tormentato che cercava confusamente fra i banchi Amore e Sincerità, rimediando quell’unico ciuffo di sedano bianco.
Tuttavia, gli capitava più spesso di udirlo senza vederlo. Come quindici giorni prima quando, riordinando gli indumenti appartenuti alla sua povera Elvira, da poco scomparsa, l’aveva sentito singhiozzare.
Ettore si stupiva delle suggestive proiezioni e del diverso spessore che avevano caratterizzato quegli ultimi quindici giorni perchè, come la maggior parte delle persone, non aveva mai sperimentato un così lungo e solitario periodo col televisore spento.
Questa volta, il se stesso si trattenne una mezz’oretta rifiutando cortesemente l’invito a pranzo. Finalmente conversarono da buoni amici assentendo o dissentendo su questo e quello, e ripromettendosi visite più frequenti.
E, via via, i loro incontri si normalizzarono. “Lui” arrivava un paio di volte la settimana, a giorni imprecisati, portando sempre un cartoccio con qualcosa di cui Ettore era ghiotto: il salame cotto di Mantova, una bottiglia di Zibibbo, i ciccioli freschi…
Quella piacevole abitudine si trasformò pian piano in qualcosa di più profondo. Un rapporto a due senza convivenza, ognuno libero in casa propria, ma con incontri frequenti e mai programmati per evitare che divenissero un noioso menage.
Poi, improvvisamente quella proposta, del tutto inaspettata e… indecente… si, indecente! Una cosa che non avrebbe funzionato comunque… una cosa che non funzionava nemmeno nella sua forma più canonica, cioè fra uomo e donna… figuriamoci col se stesso! Già era cosa rara quella loro armonia ritrovata… come immaginare di poterla avvilire in schemi, in regole e obblighi!
Successe mentre languiva un pomeriggio dolce di mezza primavera ed Ettore era seduto sotto il faggio insieme al se stesso. Ognuno leggeva il libro avuto in regalo dall’altro.
“Lui” chiuse improvvisamente il proprio, aspettò dolcemente che Ettore distogliesse gli occhi dalla lettura e guardandolo di sotto in su, fra le ciglia, gli propose piano: «Ormai è certo; a breve, anche da noi sarà lecito il matrimonio fra uomini… che ne diresti se… tu ed io… anche per legittimare certe nostre intimità…»
Ettore umettò l’indice con l’interno del labbro, voltò pagina e riprese la lettura, senza dire nulla.
Il silenzio era sempre stato il modo migliore per mettersi in pace col se stesso.
Fulvio Musso
Liberamente tratto dal romanzo di Full “Il galletto amburghese”