Alimentazione: quando l’arsenico e il piombo finiscono nel latte artificiale dei neonati e nel riso

L’arsenico si trova naturalmente sulla terra in piccole concentrazioni. L’arsenico nell’atmosfera proviene da varie fonti: i vulcani liberano circa 3000 tonnellate all’anno ed i microorganismi liberano metilarsine volatili nella misura di 20.000 tonnellate all’anno, ma l’attivita’ umana e’ responsabile di molto di piu’: 80.000 tonnellate di arsenico all’anno sono liberate dalla combustione dei combustibili fossili.
Il piombo natale e’ raro in natura, fra tutti i metalli è uno dei piu’ pericolosi, è presente nell’atmosfera, spesso nell’acqua potabile trasportata in vecchie tubature, contaminando i terreni.
Trovandosi nell’ambiente questi due veleni finiscono nella catena alimentare e quindi nella verdura, nei succhi di frutta, nel latte e nelle carni. Stessa cosa accade per i farmaci somministrati agli animali da allevamento che finiscono nei cibi consumati da tutti noi. Il piombo possiamo trovarlo anche nel latte in polvere per i neonati e l’arsenico nel riso (alimento base per buona parte della popolazione mondiale), per questo motivo il Codex Alimentarius, la Commissione mista della Fao (Organizzazione Onu per l’agricoltura) e dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) che gestisce gli standard alimentari, ha adottato limiti più rigidi nei livelli massimi di questi veleni che possono essere presenti senza minare la salute dei consumatori. Il Codex fissa dei paletti, ma poi gli Stati devono applicarli perché siano efficaci le precauzioni. Il problema è che possono anche non farlo. Ecco allora i nuovi limiti: non più di 0,01 milligrammi di piombo per chilo di prodotto negli alimenti per lattanti; 0,2 milligrammi di arsenico per chilo di riso.
I rischi per lo sviluppo
I neonati e i bambini piccoli sono particolarmente vulnerabili agli effetti tossici del piombo, che possono causare conseguenze negative permanenti a livello cerebrale e minare le capacità cognitive. Ma come mai c’è questo piombo? Spiega la Fao: «Esiste nell’ambiente e tracce possono finire negli ingredienti che sono utilizzati nella produzione di latte artificiale. Occorrerebbe utilizzare solo materie prime provenienti da zone in cui il piombo è meno presente». O del tutto assente. E l’arsenico nel riso? Questo elemento si trova a livelli elevati nelle acque sotterranee. Passa nel terreno e finisce nelle colture del riso che ne assorbe più di altri prodotti. Un’esposizione prolungata del consumatore all’arsenico è sicuramente dannosa: può causare tumori e lesioni della pelle. È stato anche associato a problemi di sviluppo, a malattie cardiache, al diabete, a danni neurologici. Non va dimenticato che il riso è piatto base per milioni di persone. Entra nel merito la Fao: «La contaminazione da arsenico è particolarmente preoccupante in alcuni Paesi asiatici, dove le risaie sono irrigate con acque sotterranee contenenti sedimenti ricchi di arsenico, pompate da pozzi tubolari poco profondi. Migliori sistemi d’irrigazione e pratiche agricole più efficienti potrebbero contribuire a ridurre la contaminazione, per esempio coltivando il riso in letti rialzati piuttosto che in campi allagati». Paesi asiatici che esportano riso (meno costoso) anche in Italia, a discapito dei nostri coltivatori, ma anche (come si può intuire dalle raccomandazioni) dei consumatori.
Farmaci negli allevamenti
Il Codex, infine, raccomanda una riduzione dell’uso dei farmaci veterinari negli animali destinati al consumo alimentare, per evitare che residui di medicinali rimangano nella carne, nel latte, nelle uova e nel miele. In particolare, indica otto farmaci (cloramfenicolo, malachite verde, carbadox, furazolidone, nitrofural, cloropromazina, stilbene e olaquindox), compresi gli antimicrobici e i fattori di crescita, come possibile causa di effetti negativi sulla salute umana. Anche perché contribuiscono allo sviluppo di ceppi batterici farmaco-resistenti. Vera futura piaga in assenza di nuove molecole antibiotiche. Le norme del Codex servono in molti casi come base per le legislazioni nazionali e forniscono i parametri di riferimento per la sicurezza del commercio alimentare internazionale. Ma non sempre è così, e questo è altamente rischioso in un’epoca di commercio senza confini.

Fonte: http://www.ing.unitn.it/ e Corriere della sera

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