QUANDO LA MALATTIA COLPISCE PERSONAGGI FAMOSI

Kinsella

Il “dovere” etico e spirituale di far sapere ai propri beniamini e dimostrare riconoscenza per il loro sostegno

di Ernesto Bodini (giornalista e divulgatore di tematiche sociali)

Ogni volta che il destino si “accanisce” sugli esseri umani, infierendo sul loro corpo con malattie importanti come un tumore, generalmente anche chi non ne è colpito viene coinvolto emotivamente e, taluni, cercano in qualche modo di essere “partecipi” con chi ha avuto questa sventura… Anche questa realtà, come tante altre, fa parte dei drammi umani e farvi fronte talvolta è un’impresa ardua che, oltre a soffrire, getta nello sconforto anche più estremo. Un male come un tumore non guarda in faccia nessuno, siamo tutti vulnerabili, ma non tutti (credo) hanno quella forza d’animo (stoicismo a parte) di accettare con lucidità ma non rassegnazione la tremenda diagnosi, ancor peggio se si è giovani e magari con famiglia. Ma vi sono casi (come le persone note al pubblico) in cui consapevolezza, lucidità e determinazione compongono la triade “necessaria” per accettare in qualche modo questo sgradito ospite, tanto da parlarne pubblicamente, una sorta di sfogo-liberatorio se non anche di “dovere” verso chi è stato sostenuto nel corso della propria carriera professionale e sociale. È il caso della scrittrice britannica Sophie Kinsella, pseudonimo di Madeleine Sophie Wickham, classe 1969 (diventata famosissima con il romanzo I Love Shopping), recentemente colpita da glioblastoma, una forma aggressiva di cancro al cervello; la quale ha voluto comunicarlo al suo amato pubblico coinvolgendolo non solo dal punto di vista emotivo, ma anche da quello che lei riteneva essere forse un “dovere” etico e magari anche spirituale… È inutile dire che i suoi lettori e i suoi fan hanno apprezzato questo gesto spontaneo, creandosi probabilmente una “simbiosi” come a voler condividere questa esperienza, manifestandole espressioni di simpatia ed affetto, che tanto hanno commosso questa autrice di famosi successi letterari, al punto da sentire l’ulteriore dovere di ringraziarli pubblicamente attraverso i vari social (come Instagram) e il cui testo, tratto dagli stessi, ripropongo integralmente.

«Salve a tutti. Ho sentito la necessità di dirvi un grande grazie. Sono stati un paio di giorni surreali da quando ho fatto il mio annuncio sul cancro al cervello. E in realtà, sapete, è ancora un po’ strano dirlo ad alta voce: dire “cancro al cervello”. Non ci sono ancora abituata. Ma quello che mi fa sentire molto meglio è questa incredibile ondata d’amore che ho sentito da tutti voi, amati lettori. Mi ha veramente lasciata senza fiato. Non me lo aspettavo, sono stata davvero travolta dalla vostra generosità, dall’affetto per me e per la mia famiglia: significa veramente molto per me. Mi sento molto fortunata per questo. Bene, prima di tutto voglio dirvi che sono abbastanza in salute, come mi vedete (in online, ndr). Mi sento in forma e sto bene in questo momento. E poi mi sento doppiamente fortunata ad essere circondata da tanto amore: solo così posso chiamarlo. So che alcuni di voi stanno attraversando una malattia simile, o voi o una cara persona; oppure state attraversando delle difficoltà in questo momento. E allora voglio condividere questo con voi tutti. Insieme ce la faremo. Quindi, dal profondo del mio cuore, ancora grazie. Molte delle vostre risposte mi hanno commosso fino alle lacrime». Questa esperienza ricorda, tra diverse altre, quella che ha colpito Nadia Toffa (1979-1919), giornalista e famosa conduttrice televisiva, nota per il ruolo di inviata e conduttrice del programma “Le iene” (su Italia Uno). Anch’essa colpita da un tumore cerebrale ma che sin dall’inizio non ha mai rinunciato a combattere contro il male, in un continuo alternarsi di brevi periodi di “pausa clinica”, tanto da aver fatto ritorno seppur brevemente davanti alle telecamere con messaggi di ottimismo, ma anche di riconoscenza per il suoi telespettatori… che l’hanno sostenuta. Esempio, questo, di manifestata sofferenza che la giovane bresciana ha affrontato con l’aiuto dei medici, ma nel contempo con moti di speranza che preludevano se non la guarigione, momenti più accettabili…

Volendo azzardare qualche riflessione su eventi come questi, che per la verità non sono dissimili da tanti altri tipi di sofferenza, si corre il rischio di rasentare la retorica, ma in merito al concetto di ottimismo ritengo utile rammentare quanto sostiene Jerome Groopman, ematologo, oncologo e prolifico scrittore di Boston, autore tra l’altro del fortunato volume Anatomia della speranza – Come reagire davanti alla malattia (Ed. V&P, 2006), il quale fu affetto da una malattia che necessitò trattamenti per molti anni, e con difficoltà di ripresa. «La speranza – scrisse, tra l’altro – non deve venire meno in quanto rappresenta il sentimento confortante che proviamo quando scorgiamo con l’occhio della mente il cammino che può condurci a una condizione migliore…». Una ulteriore e analoga esperienza ha coinvolto anni fa la dottoressa trentina C. D., colpita da neuroblastoma in tenerissima età e negli anni successivi  anche da altre patologie, per le quali sino all’età di 22 anni si è dovuta sottoporre a pesanti terapie e controlli periodici. In seguito, guarita, ha poi affermato: «Vivere con il cancro da dentro, viverlo da professionista (come medico), lottando insieme ai miei pazienti per sconfiggere i loro tumori, mi ha sempre dato una visuale molto complessa… Non arrendersi mai e non sentirsi mai più sfortunati. E, dopo essersi abituati all’idea poter convivere  con la malattia, rimboccarsi le maniche, fidandosi del proprio medico, e convincersi che se ne può venir fuori. Solo così si può sperare di vincere la lotta».

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