Simona e il superamento dell’handicap

Un esempio di vita, ma soprattutto di filosofia della vita
Oggi la parola handicap, e chi la rappresenta, non dovrebbe più costituire un tabù, anche se in realtà nel nostro Paese è un processo culturale ancora in salita… Ma chi è in qualche modo prevenuto dovrebbe leggere l’autobiografia di Simona Atzori “Cosa ti manca per essere felice?” (Mondadori editore, 2011, euro 17,00). Per la verità oltre al titolo sarebbe “sufficiente” soffermarsi per pochi istanti sulla copertina del libro per condividere la filosofia di questa autrice, di origine sarda ma nata a Milano nel 1974. Alta, capelli lunghi e ricci (e se dico anche bella è più una constatazione che un mero complimento), un corpo flessuoso e slanciato da far invidia a tante show girls, Simona è nata senza braccia, ma per lei non è mai stato un dramma; anzi. «Ogni volta che penso al mio corpo, – ha scritto sul suo sito internet – lo immagino in movimento nello spazio e nel tempo. Questo è l’unico modo che conosco per esprimere me stessa completamente e per sentirmi veramente libera».
Accettata amorevolmente dai genitori e dalla sorella Gioia, sin da bambina ha saputo superare paure o vergogne frequentando l’asilo, un debutto “in società” sempre più in ascesa grazie a quella spontaneità intimistica e gestuale che, nel corso degli anni, ha determinato il suo carattere e la sua personalità tanto da raggiungere la massima autonomia… Dotata di un grande talento artistico, ancora in tenera età ha seguito come autodidatta corsi di danza classica che, con la pittura, segnerà in modo tangibile il suo percorso professionale e culturale. Mentore il pittore e scrittore Mario Bazon che ha scoperto il suo talento tanto da sostenerla dal punto di vista artistico. Nel 1983 ha superato brillantemente gli esami di ammissione all’Associazione dei Pittori che Dipingono con la Bocca e con il Piede (V.D.M.F.K.); nel 1996 la decisione di dedicarsi completamente all’arte, iscrivendosi alla Facoltà di Visual Arts presso l’Università of Western Ontario (Canada) dove si è laureata nel 2001.
Diverse le rappresentazioni a livello internazionale. Nel 2000 è stata ambasciatrice per la danza nel Grande Giubileo portando, per la prima volta nella storia, la danza in Chiesa con una coreografia che è stata inserita nella Grande Enciclopedia Multimediale del Vaticano, ottenendo nello stesso anno il Premio Michelangelo per l’Arte e in particolare per la danza; vincitrice del secondo premio al Concorso di Pittura “L’arte di Essere” dell’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma. Ha danzato la parte di “Colomba” nella versione moderna del Requiem di Mozart al Teatro di Bolzano, al Festival di Szeged in Ungheria e al Festival di Bergen in Norvegia; e con non poca emozione nel 2006 ha danzato alla cerimonia di apertura delle paralimpiadi di Torino. Molti altri riconoscimenti fanno da contorno a questa artista dalla “sinuosità angelica” e dal “poetico e volteggiante pennello”, ma imponendosi soprattutto per la profondità del suo credo esistenziale che nulla ha di retorico, bensì di una carica spirituale ed umana che, a mio avviso, ha pochi eguali… nonostante tutto.
Alla luce di queste considerazioni molti potrebbero essere i quesiti e le “incertezze” da parte dell’osservatore e del lettore, come quello posto dalla stessa Simona: perché identificarsi con quello che non si ha invece di considerare ciò che esiste anche se … non si vede? «Dobbiamo fermarci in tempo, – risponde nella seconda di copertina del libro – prima di diventare quello che gli altri si aspettano che siamo. È nostra responsabilità darci la forma che vogliamo, liberarci di un po’ di scuse e diventare chi vogliamo essere, manipolare la nostra esistenza perché ci assomigli…”.
Oggi Simona Atzori è una ballerina e una pittrice di successo a livello internazionale, particolarmente impegnata nel sociale: conduce seminari e incontri motivazionali presso aziende, scuole e associazioni. Recentemente con la Fondazione Fontana è stata in Kenia dove ha danzato per i bambini disabili, malati di Aids, detenuti e ragazzi di strada. Se è da considerarsi significativo e condivisibile quanto sosteneva la scrittrice francese Èmilie Châtelet marchesa du Châtelet (1706-1749): «L’uomo più felice è colui che non vuole cambiare il proprio stato», altrettanto condivisibile, e perché no, anche realistica, la convinzione della Atzori che afferma: «Non importa se hai le braccia o non le hai, se sei lunghissimo o alto un metro e un tappo, se sei bianco, o nero, giallo o verde, se ci vedi o sei cieco o hai gli occhiali spessi così, se sei fragile o una roccia, se sei biondo o hai i capelli viola o il naso storto, se sei immobilizzato a terra o guardi il mondo dalle profondità più inesplorate del cielo. La diversità è ovunque, è l’unica cosa che ci accomuna tutti. Tutti siamo diversi, e meno male, altrimenti vivremmo in un mondo di formiche». Una filosofia di vita che dovrebbe accomunare noi tutti per il superamento dell’handicap, una sorta di “lasciapassare” per un’esistenza che è sempre degna di essere vissuta, anche per chi è nato senza una parte fisica in quanto rimasta in Cielo, e quasi certamente nessuno farebbe tragedie…
Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)