Le Strategie di Comunicazione Mafiosa in un saggio di Giusy La Piana


«La mafia italiana risulterebbe essere la sesta al mondo, ma guarda caso è quella più conosciuta, perchè c’è stato un supporto promozionale che l’ha portata ad essere un elemento molto negativo di giudizio per il nostro paese. Ricordiamoci le otto serie della Piovra programmate dalle tv di 160 paesi nel mondo e tutta la letteratura in proposito, Gomorra e il resto…». Lo ha detto il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, un po’ di tempo fa, a margine della presentazione dei dati sulla lotta alla criminalità organizzata.
Detta così sembrerebbe una critica al lavoro di autori cinematografici, di fiction e di libri, che affermano di essere grandi sostenitori della lotta alla mafia. Come sostengono gli ideatori di questi “prodotti mafiosi”, è solo parlando di mafia, divulgando ciò che accade ed è accaduto nel mondo mafioso, che si può estirpare questa piaga che attanaglia l’Italia.
Purtroppo, però, a volte, la divulgazione di tali “documenti” può portare ad un’errata visione di quello che è l’Italia e particolarmente la Sicilia. Tante volte da bambina mi è capitato di essere definita mafiosa, solo perché ero nata a Palermo. Purtroppo molto spesso ci si imbatte in un classico luogo comune: Sicilia=Mafia, e i media sicuramente hanno fatto la loro parte per far sì che questo parallelismo divenisse così comune.
A tal proposito abbiamo chiesto l’opinione della dott. Giusy La Piana, giornalista, comunicatrice e criminologa bagherese, che recentemente ha pubblicato il suo ultimo libro “Strategie di comunicazione mafiosa” (SBC edizioni – Pagg. 130 – Euro 12) nel quale ha dimostrato come la comunicazione della mafia sia molto più di un linguaggio. La Piana, che ha al suo attivo numerose pubblicazioni tra cui “L’impero dei pizzini: la carriera criminale di Bernardo Provenzano” (2007) e “Caro Presidente – Scuola e lavoro per battere la mafia”, nella sua ultima opera, afferma che la comunicazione mafiosa non è solo un codice, ma è ragionamento, combinazione astrusa fra delirio e implacabile logica, fra paranoia e lucida razionalità. Tutto ciò è stato dimostrato analizzando pizzini, intercettazioni, interviste, appunti, lettere, e tutta una serie di documenti d’archivio legati agli uomini di Cosa Nostra studiandone il linguaggio soprattutto sotto il profilo criminologico-comunicativo. L’autrice siciliana ha presentato il suo ultimo libro lo scorso 22 maggio a Borgo San Lorenzo (Fi), sostenuta dall’Associazione il Granello di Sale e dall’Associazione vittime della strage di via dei Georgofili. All’incontro, patrocinato dal Comune di Borgo San Lorenzo hanno partecipato Giovanna Maggiani Chelli dell’Associazione Vittime della Strage di via dei Georgofili, Francesca Lippi dell’Associazione Il granello di sale, Giusy Chiello de Il Mio Giornale e il sindaco di Borgo San Lorenzo Giovanni Bettarini. Proprio in quell’occasione l’autrice, durante il dibattito, ha risposto ad alcune domande sul tema mafioso presente nella sua opera.
-Dott.ssa La Piana, cosa pensa della divulgazione mediatica di “prodotti mafiosi” come le fiction, i film, i libri? Servono a far conoscere il problema o sono solo dei veicoli per denigrare la Sicilia?
Qualcuno vuol farci credere che di mafia non si debba parlare per una questione di marketing territoriale, quasi come se si trattasse di un’ invenzione letteraria o di un blando fenomeno limitato ai confini siciliani. Questo gioco alla sommersione e a voler negare l’evidenza dei fatti fa parte del DNA mafioso, ha funzionato per secoli e ad alimentarlo e fortificarlo sono stati anche i silenzi e la paura. Se non parlare delle organizzazioni mafiose servisse ad estirparle, sarei la prima a tacere. Ma sfido chiunque a voler portare avanti la lotta alla mafia a prescindere da un’approfondita conoscenza del fenomeno.
-Il suo nuovo libro affronta il tema della mafia da un punto di vista nuovo,
come mai ha fatto una tale scelta?
Ho iniziato a studiare le strategie di comunicazione mafiosa diversi anni fa, analizzando la carriera criminale di Bernardo Provenzano e mettendo a confronto il suo modus operandi con quello di altri boss del suo stesso ‘lignaggio’. Poi ho deciso di andare oltre l’analisi dell’impero di carta del boss corleonese e ho così intrapreso una ricerca in ambito accademico sulla cultura, scrittura e strategie di comunicazione mafiosa. Seguendo i preziosi consigli del Prof Vincenzo Mastronardi e del suo staff, ho presentato in anteprima i risultati in occasione dell’ultimo congresso nazionale della società italiana di Criminologia, nella sezione presieduta dal criminologo Francesco Bruno. A seguito del buon riscontro ottenuto, ha preso forza l’idea di scrivere un libro che contribuisse nel suo piccolo a colmare un evidente vuoto nell’ambito della sociologia cognitiva del fenomeno mafioso dal punto di vista comunicativo e criminologico.
-Lei nasce come comunicatrice e giornalista, cosa l’ha spinta ad addentrarsi
al mondo della criminologia?
Alla criminologia si arriva partendo da un’altra professione, in quanto si tratta di una specializzazione post-lauream: quindi c’è il giurista-criminologo, lo psicologo-criminologo, il sociologo-criminologo e così via. Io dopo la laurea magistrale in scienze della comunicazione ho vinto una borsa di studio e mi sono specializzata in psicologia investigativa, giudiziaria e penitenziaria. In quell’occasione, ho avuto modo di apprendere molto dalla polizia scientifica di Roma e di affinare lo studio delle strategie di comunicazione umana ed in particolare per l’intricato e avvincente ambito della comunicazione non verbale. Successivamente sono approdata alle scienze criminologico-forensi attraverso un percorso universitario internazionale.
Da giornalista a criminologo il passo non sembrerebbe breve…
In genere dicono che per approcciarsi con efficacia alla criminologia, oltre a uno stomaco forte, sia necessaria un’indole incline alla curiosità, al desiderio di conoscenza, possesso di ottime capacità deduttive ed empatia con gli altri: tutte caratteristiche , queste, utili anche nel mestiere di giornalista- comunicatore. Pertanto, almeno in linea teorica, il salto non è poi così rocambolesco.
-Nel suo libro lei ha analizzato le varie tecniche di comunicazione mafiosa,
dalle più rurali, alle più moderne e tecnologiche. Che differenze ha notato in
questi due diversi “modus operandi” di Cosa nostra?
La mafia, a prescindere dalle sue fasi storiche, è un’organizzazione criminale mirata al profitto e di conseguenza, a partire dalle cosiddette lettere di scrocco fino a Internet, ha sempre utilizzato i sistemi di comunicazione sia per garantire ai propri membri lauti introiti, sia per consolidare il mito della propria arroganza. Infatti, quello dei mafiosi è esercizio di potere gerarchizzato che modella le sue giustificazioni in relazione alle esigenze concrete del momento.
-Come mai la scelta di due grandi come Vincenzo Incenzo e Francesco Pira per
la realizzazione dell’immagine di copertina e della prefazione?
Direi che sono stati loro a scegliere di concedermi questo privilegio. Vincenzo Incenzo ha realizzato la foto di copertina riuscendo a fermare, da eccelso artista qual è, in un solo scatto l’essenza comunicativa del saggio. Francesco Pira, si sa, è uno dei più accreditati esperti di comunicazione del panorama nazionale. Tempo fa, mentre divoravo uno dei suoi libri, mi era venuto in mente che, se avessi scritto un saggio sulla comunicazione, gli avrei chiesto di curare la prefazione: quel momento è arrivato e il mio desiderio è stato avverato. La premessa criminologica è invece affidata alla psicologa-criminologa Antonella Pomilla che ringrazio sia per il suo contributo al mio libro sia perché il suo sostegno nel periodo di ricerca è stato fondamentale.
A chi dedica questo libro?
A chi non si lascia ingannare dal silenzio e tiene sempre alta la guardia per evitare che la mafia e il virus della mafiosità si propaghino ulteriormente .

Giusy Chiello

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