Le “Neoplasie civili” di Lorenzo Spurio viste da una lettrice

copertina del libro Neoplasie civili di Lorenzo Spurio

copertina del libro Neoplasie civili di Lorenzo SpurioRiceviamo e pubblichiamo:

“La copertina! Sì, la copertina! Osservate bene la copertina, quando scegliete un libro da leggere. Nella composizione dell’immagine ponete attenzione ai colori, alle geometrie, al dinamismo delle linee e poi ricercate il contenuto, la forma, il punto di interesse e le linee di forza che attraversano l’immagine stessa. Leggete bene il titolo, soppesatelo, immergetevi in quelle parole e lasciatevi trasportare dall’onda emotiva che sono capaci di suscitare. Non dimenticate di guardare il tipo di carattere usato e la dimensione con cui è scritto e la disposizione nello spazio della pagina.
Trattate il libro con cura e sfogliatelo con delicatezza. Leggetelo e gustate parola dopo parola”.
Era la solfa che ogni giorno propinavo agli alunni per indirizzarli alla lettura.
Ed è il medesimo criterio che ho seguito io stessa, quando mi sono trovata a leggere il testo “Neoplasie Civili”, “prima prova poetica” di Lorenzo Spurio, edito nelle Edizioni Agemina.

Nella dominante paesaggistica della copertina “l’aria (è) dura e avara” si erge e circonda un binario con le traversine di legno e il fondo dissestato, la massicciata intrisa di catrame come lo è l’arenile in cui si insinuano le acque di un pelago che non è certo un locus amoenus e, similmente ad “Alice nel paese delle meraviglie”, potrebbe anche configurarsi nel lago creato con le lacrime dell’Umanità, per i troppi affanni diventata ad un tratto minuscola, e che adesso affoga con spasmi e dolori. È un luogo- soglia con quella costa scura e il tramonto offuscato da nuvoloni neri.

Quello che si vede è un fotomontaggio e il binario, ripreso con la lente di un grandangolo spinto, più che di rette che vanno a due a due, si assimila a rette divergenti che possono avvicinarsi o allontanarsi, secondo l’idea, al rimestare cupo delle acque. Però, se si pone il libro su quello che è il lato minore del rettangolo, allora quel binario può anche dare la sensazione di una “Stairway to heaven” che magari non giunge fino alle Stelle fisse, ma è pur sempre paradiso, e i colori foschi sono soltanto le scorie lasciate sul terreno dalle anime ormai vestite di bianco che si elevano verso il sublime. Dualità vita- morte in questa rappresentazione per immagini, un inno alla vita che si snoda nell’intero percorso dei versi che Spurio scrive con sincerità d’animo e di cuore. E poi il titolo con tutte le implicazioni di senso a non lasciare spazio ad altro e quel colore di fiamma ardente che richiama passioni e deliri a dire tutto il disagio esistenziale dell’Umanità, evocato dalla precisione lessicale che in un attimo trafigge gli occhi e il pensiero.

“La poesia è la vita che abbiamo dentro”, dice Alda Merini, ma per scrivere serve anche l’ispirazione. In questo caso il movente che porta Spurio a comporre questi versi è riconducibile a finalità di ordine sociale e, attraverso “Quelle che sono le frasi motrici del libro”, riuscire a trasmettere “Un messaggio di speranza e la necessità di unione e di perseverare anche se si naviga in cattive acque in un mondo in cui tutto è cupo e appestato”, dimostrando impegno e coraggio nel dire cose che nessuno vuol sentire, facendo del testo uno strumento di analisi di un’esperienza emotiva vera e complessa.

Spesso “a las cinco de la tarde” in questo mondo che si fa arena, si consumano eventi tragicamente imprevedibili che non destano ansie in coloro che, per apatia indifferenti a quanto succede, nei pressi della plaza si limitano a consumare coda con patate. Non a caso a pagina 5 si evidenziano i versi di Franco Matacotta, conterraneo dell’autore, insegnante, poeta, scrittore, saggista, da sempre impegnato nelle varie problematiche sociali, conosciuto ai più per la relazione con Sibilla Aleramo, la venerata “Alma Mater” che gli permise di studiare i Taccuini inediti campaniani, da lui poi pubblicati in “Prospettive” e “Taccuini”.

“La verità è un’accetta che spacca il bue per la spina dorsale”, dice lo stesso Matacotta nelle pagina di “Neoplasie civili” e Spurio ben sa che la verità non la vuol sentire nessuno e sa anche, come lui stesso scrive, che “La battaglia si vince solo intentandola”. Ecco quindi che “al cominciar de l’erta”, come duca prende per mano il lettore, lo guida nel solco dei versi, lo fa girare, lo modella, lo plasma, lo rende muto, malleabile, lo sorprende, lo confonde  e lo inganna; alla fine, novello Ulisse, scalda l’arco alla fiamma, lo lavora, lo ammorbidisce e poi deciso lancia la freccia attraverso le scuri allineate, qui ravvisate nei versi a tirar “Giù la serranda” del componimento, facendo “tremare le vene e i polsi” per indurre il lettore a districare quel groviglio di emozioni che si impossessano dei sensi. “Le lacrime di una madre non trovano fine”, “La gente piangeva, stringendo una bandiera rossa”, “ I bambini rubavano il mare/con gli occhi bagnati”, “E le oche spargevano merda sul prato”, “l’abito del torero/non aveva luccicato”, “Dio piangeva a fiumi, /genuflesso su carboni ardenti,” versi che fanno trasalire, che lasciano gli occhi umidi e il singhiozzo a fior di labbra.

Non difettano tali componimenti di riferimenti allusivi a quelli che sono gli animali infernali onde connotare superbia, avidità e lussuria, mali che attanagliano la società in una morsa neoplastica di indifferenza etico-morale. Nella connotazione evocativa delle immagini ci sono il leone, la lonza e la lupa, basta cercarli che spuntano tra le righe a mordere e a graffiare con rinnovata avidità come pure si riscontrano in quelle “oche cignoidi starnazzanti” che altro non sono che le opulente matrone di campaniana memoria, i cui stridii per altro sono annullati dalla pietas amorevole che prende forma in un “quadrifoglio/che poi in realtà era un trifoglio”, raccolto e donato a colei che “era stata una di noi”, sempre costretta ad indossare “mise scafandriche” da chi per inveterata abitudine usava indossare soltanto mise “più austere”.

Ma davanti alle figure infernali Spurio non si lascia intimorire, non indietreggia, ricerca “una via unica”, la ricerca nelle piazze, nei “torok di polvere”, nel fiore giallo raccolto “al margine di un marciapiede”, nei “trucioli incastrati/ nella suola di gomma” e gli alberi abbattuti nel cuore verde di Istanbul, nei barconi e nelle navi che affondano tanto nel canale di Sicilia come nell’Oceano Pacifico. E mentre rivive “una vecchia ballata di Battisti”, ricerca verità nel desiderio di dare poesia agli uomini e alleviare le pene di molti proprio come dice Pavese in una bella pagina di diario, ben consapevole di sporcarsi “le punte delle scarpe” e darsi in pasto a quanti del verso poetico fanno mero strumento di notorietà e non matrice di sentimenti riflessi in impegno e percezione profonda del reale. Pertanto lo straniamento che l’autore ricerca non è mai dettato dall’angoscia, bensì dalla presa di coscienza fino a giungere alla protesta e allo sdegno. La prosa poetica di Spurio può definirsi quale scrittura antropologica, un saggio in versi, un trattato di etica e di ecologia civile, disseminata qua e là da eccezioni lessicali in forma diversa dall’italiano come agemine ad impreziosire il tessuto lessicale di ciascun componimento.

Versi mai banali, in cui talvolta il lemma si fa ardito, affilato, pungente, quasi dissacrante, ma mai irriverente nella ricerca della verità che rende liberi, consapevoli, smuove coscienze, distrugge armonie e ne crea altre e recupera il senso dello stupore, della bellezza, del pudore, del dialogo e del confronto con la vita, costringendo Atropo ad appoggiarsi “ad un fuso impolverato”, stanca e sfinita per il suo incessante e continuo recidere fili. Versi mai usuali che inchiodano l’individuo alle proprie responsabilità, forse invisi a chi ha l’orecchio delicato, sotto una “pioggia acuminata” di sentimenti veraci che rigenerano dentro un paesaggio di identità in uno scenario metaforico in cui la tassonomia delle metafore rivela tipi di immagine, analogie, comparazioni, al fine di  creare  un contatto con la sensualità emotiva del lettore.  In questo un inferno che è solo dei viventi, “città invisibili” si assimilano con i paesaggi interiori di ciascuno di noi, proiettati verso l’esterno mentre l’autore con gran maestria di rabdomante scopre acqua chiara anche dove il pantano si fa denso di fango.

Le poesie di Spurio “grattano dentro” a tal punto da grattare via tutta la crosta fino a far sanguinare l’anima, in maniera intensa, profonda, sensibile e puntuale, attraggono e proiettano verso dimensioni paraboliche di intensa umanità.

Alla maniera di M. V. Llosa mi sento di dire che leggere, come scrivere, è protestare contro le ingiustizie della vita, quindi attuare “Live, travel, adventure, bless, and dont’ be sorry”, seguendo quel sentiero “On the road” che si dipana anche attraverso  le pagine di “Neoplasie civili” e che già si profila come esperienza privilegiata di lettura nell’esperienza del reale.

Ad maiora.

 

Lucia Bonanni

San Piero a Sieve, 2/11/2014

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