IMPRENDITORI PRIVATI E P.A. ANCORA PREVENUTI NEI CONFRONTI DEI DISABILI

Per l’assunzione obbligatoria delle categorie protette sempre più disattesi l’art. 4 della Costituzione e la Legge n. 68 del 1999

di Ernesto Bodini (giornalista e divulgatore di tematiche sociali)

Ci vuole proprio una ricorrenza annuale per far emergere ogni volta il problema dei diritti dei disabili che, nonostante una apposita Legge (n. 68/1999), sono ancora in gran parte disoccupati? In effetti siamo alle solite: questo Paese continua ad essere contraddittorio e “anti-costituzionale”, proprio perché emana Leggi avvalorate dalla Costituzione e poi non riesce a farle applicare. Quindi, si salva la faccia legiferando, ma poi, per la relativa applicazione è tutta un’altra storia. E, già che ci siamo, dicasi altrettanto in merito alla parziale applicazione per l’abbattimento delle barriere architettoniche in ambito pubblico e privato (Legge n. 13 del 1989 e suggestivi adeguamenti nazionali e regionali). Ecco che l’ipocrisia avanza di pari passo con la burocrazia oltre al senso di irresponsabilità, perché è inutile legiferare se poi non si hanno i mezzi e le competenze per dar corso a quanto si è emanato. I dati ufficiali dicono che al 31/12/2022 in Italia i disabili disoccupati registrati negli elenchi regionali del collocamento mirato, erano 46.164; nella sola Asl di Torino 107 le posizioni riservate ai disabili e rimaste scoperte: una su quattro su un totale di 160 posti. Da ciò si evince che anche nel settore della P.A. c’è scarsa considerazione “nell’accettare” i disabili da inserire nell’organico; alla Città della Salute la quota di “scopertura” arrivava al 18% (115 posti su 642), lo stesso accade alla Città Metropolitana di Torino (in Provincia): 10 su 55. Se poi volessimo analizzare nel dettaglio il problema in tutte le Regioni si sconfinerebbe in cifre ben più consistenti. È un quadro desolante che sta ad indicare che la mentalità di imprenditori privati e amministratori pubblici non è ancora matura, e che il senso di civiltà come quello del diritto di parità e uguaglianza non rientra nella loro forma mentis e, a fronte di tale realtà, non c’è politico che tenga in quanto non garantisce quanto ha predisposto, ossia la Legge impone a tutte le aziende con più di 15 dipendenti (anche pubbliche) un numero di posti riservati alle persone con disabilità; chi non si adegua (ad eccezione in caso di esoneri per crisi o cassa integrazione) deve pagare una penale: circa 200 euro per ogni giorno non lavorato da chi dovrebbe essere assunto. È evidente che attenersi alla legge costerebbe meno, ma ciò nonostante le aziende preferiscono pagare le sanzioni (potenza del denaro!). A questo riguardo mi sovviene quanto segue. Alcuni anni fa a Torino, si rileva da un comunicato sindacale del 19 ottobre 1988 (tuttora nelle mie mani), che nel corso delle trattative per il rinnovo del contratto integrativo aziendale, ai responsabili di una grande, ultra secolare e notissima azienda di assicurazioni (oggi estinta), il sindacato fece richiesta di una verifica dello stato di applicazione della Legge 482/68(Legge precedente analoga alla attuale 68/1999). Per tutta risposta, in ragione del fatto che sia le aziende pubbliche che private e gli Uffici di Collocamento (denominazione dell’epoca) “non sono tenuti” a rivelare a chicchessia la percentuale di invalidi in organico, il responsabile di quella azienda definì «questione di inciviltà» l’assunzione obbligatoria di inabili, che imponeva (e impone) alle aziende di farsi carico di persone negate al lavoro… «che dovrebbero dipendere esclusivamente dall’assistenza pubblica…», precisando inoltre che (testualmente) «sono persone che non rendono al cento per cento ma che le aziende sono costrette a pagare a stipendio pieno».

È evidente che la presa di posizione di quella azienda privata, avente il compito precipuo di conseguire un utile al fine di remunerare adeguatamente tutti i fattori produttivi che hanno concorso alla realizzazione del bene o del servizio, si riconnette a quella sorta di “coercizione” statale (che quasi tutte le aziende ritengono di subire) e, in questo caso, è stata l’osservazione conclusiva dei rappresentanti sindacali: «… a quella filosofia (esposta in trattativa) che, nell’ottica di una centralità esclusiva del profitto e della libertà d’impresa, teorizza la vita come competizione e quindi esclude dal mondo del lavoro quelle persone che per i più svariati motivi sono in grado di affrontarla». Le prospettive delle imprese pubbliche, invece, sono peraltro diverse (a parte alcune eccezioni) essendo sociali le finalità di codeste istituzioni. È evidente che l’handicap, proprio perché realtà di grande rilevanza sociale, in Italia è affrontato (ancora oggi) in gran parte solo a parole, non certo prive di propositi e di contenuti, molti dei quali sono però destinati a restare sulla carta per la non (o scarsa) applicazione delle leggi, anche se in parte volute e proposte dagli interessati… E anche se diverse associazioni hanno sempre fatto sentire la loro voce, il diritto al lavoro per molti disabili (soprattutto se affetti da patologia mentale o psicofisica) rimane ancora una chimera. Ma se è vero che la storia insegna, è altrettanto vero che non bisogna mai perdere di vista che il futuro lo compriamo nel presente, e per dirla con il cardinale Pierre M.J. Veuillot (1913-1968), «Una società si giudica dal posto che riserva ai suoi figli più bisognosi». Ergo, la cultura della società italiana (escluse ovviamente le eccezioni) non ha mai fatto quel necessario “salto di qualità”, e a quei refrattari imprenditori e pubblici amministratori vorrei sentenziare quanto segue: il datore di lavoro che non intende assumere una persona disabile, un giorno potrebbe ritrovarsi ad essere un suo dipendente! Per la Giornata internazionale delle persone con disabilità si è espresso il presidente della Repubblica Sergio Mattarella con un breve intervento recepito dall’Ansa il 3 dicembre scorso, affermando tra l’altro: «… è necessario cambiare la prospettiva con cui si guarda alla disabilità, superando pregiudizi e stereotipi di cui milioni di persone sono ancora vittime. Si tratta di persone sulle cui potenzialità dobbiamo investire per le loro abilità, la loro resilienza, creatività e forza di volontà sono una risorsa per tutti noi… le persone con disabilità chiedono di poter vivere in modo indipendente, di andare a scuola, lavorare, divertirsi. Semplicemente di poter vivere con dignità esercitando i propri diritti. È una questione che riguarda ciascuno di noi, personalmente e come comunità, per contribuire a costruire un presente più inclusivo e accessibile a tutti». Niente di più scontato di tali affermazioni, ma che nel concreto sono destinate a restare tali e, finché imprenditori privati e amministratori pubblici investiranno in pregiudizi, non ci saranno leggi o sanzioni per vedere un disabile equiparato ai cosiddetti normodotati. Ulteriore insulto alla dignità umana e un passo indietro di una Nazione pseudo democratica!

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