Da sempre si dice che il cane è l’amico fedele dell’uomo, ma quando quest’ultimo si ammala, la fedeltà intensifica il rapporto uomo-animale
di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)
È ormai molto tempo che il progresso ci ha fornito potenti mezzi di comunicazione, specie online, come i cosiddetti social media. Tra questi il tanto amato e criticato facebook (FB) attraverso il quale spesso si diffondono messaggi e informazioni (solitamente brevi) assai discutibili, sia per la non attendibilità delle stesse che per gli effetti di sfogo degli stessi autori; molto più di rado invece notizie di una certa utilità. Anche per queste ragioni, dopo aver provato ad attivarmi con questo social media, mi sono imbattuto in esperienze del tutto negative tanto da rimuovere tale attivazione. Ma con mia sorpresa mi è stata segnalata una foto-immagine messa in rete da TuPugliaTV (a firma di Miki De Ruvo) il 15 aprile 2017 ma comparsa in questi giorni su FB, che reca l’esaustiva didascalia: “Aspettando di entrare dai bimbi malati per dar loro un sorriso e un buon pomeriggio”. Tanto il titolo quanto la scena della stessa immagine sono a dir poco eloquenti, in cui si deduce benissimo che l’animale è in paziente attesa di poter entrare nella stanza del suo piccolo padrone ricoverato in un ospedale. Ma cosa porta l’animale, il cane in particolare, ad avere una spiccata sensibilità-intuito tanto da rendersi conto di una realtà simile? Mi piacerebbe azzardare qualche cenno di ipotesi, ma prima preferisco rievocare un passo dell’autorevole saggezza dello zoologo viennese (e premio Nobel per la Medicina nel 1978) Konrad Zacharias Lorenz (1903-1989): «Noi diciamo a noi stessi che abbiamo bisogno di un cane perché faccia la guardia alla nostra casa. È vero, ma non soltanto per questo. Ho spesso sentito il bisogno della compagnia del mio cane, e il solo fatto che fosse lì, accanto a me, mi ha dato un profondo senso d’intima sicurezza. Nel ritmo fuggevole e vertiginoso della vita moderna, l’uomo ha bisogno di qualcosa che gli dice, di tanto in tanto, che lui non cambia, e niente può rassicurarlo quanto le quattro zampe che gli trotterellano dietro». Niente di più vero di quanto affermava, sia pur nella sua semplicità, e a parer mio anche ovvietà, tanto che unitamente alla immagine in questione, nell’ambito della sofferenza la presenza del cane si riconnette alla ormai consolidata “Pet therapy” (dall’inglese pet che indica appunto gli animali da compagnia), un approccio per chi soffre di qualche disturbo fisico o psichico, in quanto la presenza di un animale può essere considerata una vera e propria cura. In tal senso sono stati utilizzati gatti, cavalli e anche i delfini, ma è soprattutto il cane, per le sue caratteristiche relazionali, il più studiato e applicato. Ritornando alla foto su riprodotta, si può immaginare che i cani in corridoio di una corsia d’ospedale siano abbinabili a quei piccoli pazienti che attendono con ansia di poterli abbracciare, coccolare e farsi coccolare. Una scena filmica? Non direi proprio, anzi, si tratta della reale attesa di un incontro con la sofferenza da alleviare, quasi da considerare un rapporto affettivo e doveroso che, purtroppo, diciamolo pure, non sempre avviene tra gli esseri umani. Quest’ultima è una cruda realtà e non tanto insolita, che deve (o dovrebbe) far riflettere soprattutto in questo periodo di pandemia, i cui ricoverati in terapia intensiva, o in reparto, non possono essere avvicinati da alcuno se non dagli operatori sanitari; mentre come da più parti si sollecita, si potrebbero attivare le cosiddette “stanze degli incontri” tra pazienti e famigliari.
Stellina
Ovviamente in questi casi l’animale è fuori luogo, ma al tempo stesso è bene valorizzare al meglio quanto ci insegnano i nostri amici a quattro zampe, a mio avviso una vera e propria “scuola di vita” che la Medicina moderna riconosce sotto il nome, appunto, di pet therapy, i cui effetti terapeutici contribuiscono al recupero della salute (talvolta favorendo anche la guarigione) sia del paziente pediatrico che dell’adulto. Ma le mie considerazioni vanno oltre e, in tal senso, intendo sottolineare (anche perché è un mio credo) che Dio non ha dato la parola agli animali per preservarli dalla gravosa responsabilità di giudicare l’uomo… Ciò nonostante sanno meglio esprimersi, riconoscere i propri ruoli e meglio dimostrare la loro fedeltà… Il loro insegnamento è sempre incondizionato e non ha eguali: la loro anima deve essere la nostra. In buona sintesi, coloro che soffrono e che hanno la fortuna di avere un animale come compagnia, hanno maggiori possibilità di combattere il male o di mitigarne il dolore e la sua evoluzione, e sarebbe cosa saggia ed umana se la pet therapy potesse essere considerata un supporto terapeutico per combattere il coronavirus… almeno nei casi più facilmente praticabili.
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