È DOVEROSO RICORDARE UN ESEMPIO DI EFFICIENTE SANITÀ IN ASCESA DAL DOPOGUERRA

L’Istituto Don Carlo Gnocchi di Parma precursore in Italia per il trattamento chirurgico-ortopedico e riabilitativo dei mutilatini e dei poliomielitici.

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico  e biografo)

In particolare nel collegio di Parma (nella foto lo storico ingresso ancora attaule) la parte ospedaliera inclusa assunse l’intestazione di “Centro chirurgico-ortopedico”, a indicarne ruolo e competenze. Lo specialista ortopedico, con i suoi atti chirurgici, non poteva non essere il primo artefice del lungo cammino che i piccoli mutilati dovevano compiere per il loro recupero. Don Carlo Gnocchi (1902-1956) aveva ben compreso questa esigenza, accostandosi al mondo scientifico che ben spiegava che un arto amputato in età di sviluppo necessitava di intervento per regolarizzare il moncone, seguito dalla applicazione di una protesi, con il fine di migliorare la qualità di vita del piccolo mutilato. Ecco allora il Centro chirurgico-ortopedico di Parma (siamo in epoca post-bellica) dotarsi con i fondi che don Gnocchi andava raccogliendo in giro, di impianti e apparecchiature all’avanguardia. Si arrivò ad avere due sale operatorie, una sala di preparazione all’intervento e una per il decorso post-operatorio, la centrale di sterilizzazione, un laboratorio analisi, una sala raggi, una sala gessi, un’officina per la confezione delle protesi. Il reparto di degenza aveva inizialmente una disponibilità di circa 40 letti. All’apertura ufficiale (1949) questo collegio ospitava 150 bambini, e ben presto ne sarebbero giunti altri: in meno di un anno  il loro numero si era raddoppiato, infatti furono 300  i mutilatini nel maggio 1950. Da notare che in questi primi anni don Gnocchi si prodigò per l’apertura di altri collegi: Roma, Salerno, Torino, Inverigo (Como), Pessano (Milano) e Pozzolatico (Firenze). In questa rete nazionale Parma mantenne sempre un ruolo centrale, essendo l’unico polo chirurgico della Fondazione. I mutilatini sparsi per la Penisola, infatti, venivano prima o poi fatti passare  al Centro di Parma per essere visitati e inseriti in un programma di trattamento. Ma era previsto che fosse lo stesso responsabile medico a fare il giro, in qualità di consulente, delle varie strutture su citate, con il compito di reclutare altri pazienti da indirizzare all’intervento e di controllare le condizioni di quelli già operati. Don Gnocchi non poteva non fare riferimento agli specialisti del luogo per avviare il suo Centro chirurgico. Nel luglio 1949, all’epoca dell’apertura del collegio per i mutilatini, lo specialista di riferimento a Parma era il prof. Enzo Marcer, primo direttore del Centro Cirurgico-Ortopedico e, dopo vari avvicendamento di carattere accademico e politico, il prof. Luigi Bocchi, senior (1906-2000), già direttore della Clinica Chirurgica all’ospedale Maggiore di Parma, invitato da don Gnocchi per occuparsi anche dei mutilatini che afferivano al Centro, a cui si dedicò per quasi un ventennio. Non meno significativo il contributo dei suoi collaboratori come i dott. Umberto Belledi e Cavazzini, particolarmete dediti alle cure fisiche. La presenza del prof. Bocchi era di circa due giorni alla settimana, quelle in cui era in programma la seduta operatoria, e solitamente iniziava ad operare alle 5 del mattino.

Nuove presenze al Centro: i poliomielitici

Gli anni del prof. Bocchi furono soprattutto quelli della progressiva trasformazione della tipologia di infermi ospitati in collegio: dal mutilatino al poliomielitico, compreso chi scrive. La guerra aveva provocato i suoi danni, ma si allontanava sempre più nel ricordo, e di ordigni sparsi nel terreno… I ragazzi privi di braccia o gambe si avviavano a superare l’età della crescita, al pari dei loro monconi, ormai definitivamente chiusi per i quali si poteva prevedere solo un cambio di protesi. Nel frattempo la ripresa post-bellica, sia pur con il miglioramento delle condizioni economiche, igieniche e nutrizionali, aveva dato nuovo campo libero per la diffusione del polio virus: si era di fronte ad un focolaio epidemico dopo l’altro, fino al picco del 1958 che registrò più di 8.000 casi, quasi tutti bambini. Don Gnocchi fu tra i primi a comprendere l’importanza e la portata sociale della nuova emergenza sanitaria. L’aveva prevista già dal ’49, parlandone nelle sue conferenze, sollecitando iniziative di sostegno, lasciando che qualche bambino paralitico entrasse nei collegi insieme ai mutilatini: l’infanzia mutilata stava per estinguersi, la gioventù malata no.

Pensando e agendo in anticipo, don Gnocchi (nella foto con alcun ospiti) aveva colto tutti di sorpresa, persino le stesse Istituzioni statali, che per un bel po’ rimasero li a guardare. Ai mutilatini di Parma si cominciò ad accogliere i poliomielitici nel 1952. Poche unità all’inizio, quasi in soggezione nei confronti dei compagni di sventura. Poi sempre di più, in certi periodi entravano addirittura a frotte. Nel dicembre 1954 il registro degli ospiti elencava 280 mutilatini e 230 poliomielitici; poco dopo il sorpasso tante che nel 1956 le corsie risultarono definitivamente sgombrate dai mutilatini, mentre erano più di 500 i poliomielitici che li occupavano. Tali dati trovano conferma  anche nella casistica operatoria: nel biennio 1949-1950, furono effettuati 335 interventi chirurgici d’amputazione dei monconi, appena 11 per gli esiti della polio; nel 1956-1957, rispettivamente 284 e 110, nel 1957-1958 i 247 atti operatori presentavano  un rapporto decisamente invertito: da 39 a 218. In seguito a questi dati fu cambiata l’intestazione del Centro che, da Chirurgico-Ortopedico diventò “Centro di Chirurgia Ortopedica per i poliomielitici”.

L’avvento dei vaccini antipolio

I vaccini contro la poliomielite arrivarono tardi: quello di Salk entrò in Italia nel 1958, quello di Sabin, inizialmente più efficace, solo nel 1964 (nella foto i due scienziati). Bisognò attendere altri due anni prima che lo “zuccherino” contenente le gocce del vaccino fosse reso obbligatorio dal Ministero della Sanità (Legge 51 del 4/2/1966). Nel frattempo il virus della polio era causa di molte paralisi e diversi decessi: la paralisi muscolare e le deformità conseguenti residuavano per tutta la vita. Non c’era una terapia risolutiva, si curavano i postumi, e non si vedeva mai la fine, la poliomielite andava affrontata per quello che era: una vera e propria malattia sociale, non solo per le sue dimensioni demografiche ma anche per quelle politiche. Sul territorio nazionale il Centro di Parma fu uno dei primi esempi di struttura sanitaria che seppe adeguarsi a queste nuove esigenze, e don Gnocchi si mostrò particolarmente sensibile e lungimirante esplorando il mondo scientifico alla ricerca di tutto quello che potesse servire ad alleviare la sofferenza dei suoi ragazzi. Comprese bene, ad esempio, come la poliomielite, molto più di una mutilazione, necessitava di un approccio multidisciplinare (ortopedici, neurologi, internisti, fisiatri, fisioterapisti, radiologi, tecnici ortopedici), di un’assistenza più precoce, attiva e continua; e soprattutto di ulteriori spazi e di attrezzature nuove. Gli specialisti ortopedici si rivelarono tra i più operosi nel trattamento della polio. Fra questi, storica la figura del prof. Luigi Bocchi che, con i suoi collaboratori, si profuse  affrontando il passaggio da una patologia all’altra: non più monconi da ridurre, ma interi arti deformi da “modellare”, una serie interminabile di interventi finalizzati a migliorare la postura e la residua capacità motoria. Anche in questo Centro si praticavano interventi sui tessuti molli (tenotomie, miotomie, capsulotomie, osteotomie, artrodesi, trapianti tendinei, etc.); a seguito di questi interventi per la fase riabilitativa era compito dell’ortopedico predisporre la protesi o l’ortesi (tutori e calzature ortopediche).; e il Centro di Parma anche da questo punto di vita fu uno degli esempi più apprezzati a livello nazionale. Ma non solo. Il reparto che più di ogni altro risentì dell’impulso creativo di don Gnocchi fu quello di fisioterapia, per il quale venne allestita una palestra nel 1954 e adeguata di volta in volta alle esigenze del soggetto da trattare. A tutto questo il sacerdote (proclamato Beato dal 2009) si prodigò anche per il supporto psicologico e morale: i bambini poliomielitici si sentivano, ancor più dei mutilatini, vittime di una ingiustizia che doveva essere riparata dalla società: si era di fronte ad un esercito di giovani menomati che andavano sostenuti, integrati nella società, inseriti nello studio e nel lavoro. Dall’Istituto di Parma, come da tutti gli altri da lui fondati, don Gnocchi voleva che uscissero uomini e donne in grado non solo di essere accettati dal mondo esterno, ma anche in grado di svolgere un ruolo attivo utile alla comunità. Sempre più convinto del ruolo fondamentale che rieducazione e riabilitazione potevano svolgere per tutte le patologie invalidanti (non solo per la poliomielite), don Gnocchi sognò la creazione di un Istituto di riferimento nazionale, ossia un “Centro Pilota”, che potesse disporre in maniera più ampia e completa per il trattamento anche di altre patologie. Un sognò che si concretizzò a Milano negli anni seguenti alla sua morte. Una realtà che oggi si è estesa ulteriormente sul territorio nazionale e anche internazionale. E la storia continua. Ma a complemento di questa doverosa rievocazione, ritengo altresì utile qualche considerazione. Se la Sanità sin dal dopoguerra, e per alcuni decenni, si è mostrata pionieristica e particolarmente efficiente per il trattamento di patologie invalidanti grazie all’opera di don Gnocchi, e di eminenti cattedratici, rapportandola ad oggi si può delineare un abisso grazie ai molteplici progressi tecnologici e strumentali, ma nello stesso tempo (anche con la Riforma 833/1978) credo sia altrettanto doveroso evidenziare notevoli lacune del SSN, che si possono riassumere in un’unica deduzione: la “volgare ed irresponsabile” tendenza dello stesso verso la sanità privata, e all’impoverimento (per l’evidente e costante carenza numerica) delle risorse umane, soprattutto se particolarmente efficienti. Ergo: un declino che penalizza sempre più molti pazienti, anche affetti dalle più gravi patologie… e questo non rientra nel progresso!

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