DIABETE E INSUFFICIENZA VENOSA: DUE PATOLOGIE QUASI SEMPRE PREVENIBILI

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)

 

In tema di salute l’informazione non è mai troppa, specie quando si tratta di prevenzione di una o più patologie. È anche questo il modo di intendere del dott. Roberto Rey, fondatore a Torino dell’associazione “Più Vita in Salute” che ogni anno realizza con la disponibilità di clinici una serie di conferenze, coadiuvato dal dinamico organizzatore Giovanni Bresciani che ne ha condiviso lo spirito volontaristico e le finalità. Tra i recenti interventi: Si possono prevenire le complicanze del diabete?, a cura del prof. Massimo Porta (nella foto), direttore della S.C. di Medicina Interna all’ospedale Molinette, e direttore della Scuola di Specialità; e Insufficienza venosa cronica: prevenzione e nuove tecniche di trattamento mininvasivo, a cura della dott.ssa Ilaria Visentin, specialista in Chirurgia Vascolare. Il diabete, ormai noto a tutti, è una malattia quasi comune che in Italia, ad esempio, interessa circa 3 milioni di persone; è cronica e consiste nella presenza di elevati livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia) dovuta a un’alterata quantità o funzione dell’insulina. L’insulina è l’ormone, prodotto dal pancreas, che consente al glucosio l’ingresso nelle cellule e il suo conseguente utilizzo come fonte energetica. Quando questo meccanismo è alterato in modo relativo o assoluto, il glucosio si deposita nel vasi e nelle arterie e non entra nelle cellule, le complicanze sono inevitabili. «Il diabete può essere di tre tipi. Il tipo 1 – ha spiegato il clinico – interessa soprattutto i giovani e talvolta anche i bambini, e ciò è dovuto al fatto che le cellule del pancreas vengono distrutte (per effetto di una sorta di rigetto, ndr); pertanto tale processo patologico richiede la somministrazione di insulina sin dall’inizio… per sopravvivere. Il diabete di tipo 2, che colpisce le persone di età media (adulti e oltre), è la forma più comune spesso associata all’obesità e al sovrappeso e rappresenta circa il 90% dei casi. La causa è ancora ignota, e anche se è certo che il pancreas è in grado di produrre insulina, le cellule dell’organismo non riescono poi a utilizzarla. Poi vi è il diabete gestazionale che insorge in gravidanza, ma che tende a dissolversi con il termine della stessa». Questa patologia è in aumento in tutto il mondo soprattutto nei Paesi in via di sviluppo (India, America Latina, Cina, Indonesia, etc.), ma meno in Europa e negli USA. Quindi, quando si ha un elevato tasso glicemico (e non controllato) le conseguenze si manifestano a carico della retina (retinopatia), dei reni (nefropatia), dei nervi periferici (neuropatia), del cuore (cardiopatia) e del cervello (cerebropatia: ictus). «La retinopatia diabetica – ha ricordato il relatore – è la seconda causa di cecità in tutti i Paesi industrializzati, e prima causa in età lavorativa (20-64 anni). Tale patologia può essere proliferante o non proliferante; quest’ultima è meno grave della prima; ma un’altra delle conseguenze è l’edema maculare diabetico, ossia un accumulo di liquidi nella macula, la parte centrale della retina, quella più sensibile alla luce e che permette una visione fine dei dettagli. I due terzi delle persone con diabete non hanno retinopatia, mentre il 15% sono affette da forme lievi-moderate, un altro 15% sono affette da forme più gravi, e il restante 20% sono colpite da forme… irrecuperabili». Il cattedratico ha poi descritto la nefropatia diabetica, sottolineando che il diabete è la prima causa di insufficienza renale, e le cui conseguenze portano il paziente alla dialisi e al trapianto renale; la neuropatia, invece, è una ulteriore espressione del diabete a causa dell’eccessivo glucosio (zuccheri) nel sangue, tale da danneggiare i nervi periferici (degli arti), ma anche quelli dell’organismo in genere, i cui sintomi possono essere vari; e la forma più comune di neuropatia è la polineuropatia motoria con varia sintomatologia. Ma come prevenire questo complesso quadro patologico? «Alla base – ha spiegato il clinico – in gran parte c’é l’alimentazione che deve essere moderata così come una dieta basata sul consumo di frutta, verdura, pesce e grassi non animali; oltre ad una costante attività fisica (camminare regolarmente ogni giorno), possibilmente stimolati dalla motivazione di questa necessità comportamentale. Con questi accorgimenti l’incidenza del diabete in questi ultimi anni è andata diminuendo, soprattutto nei Paesi “disagiati”; inoltre la Rete Diabetologica e Medici di Famiglia sta diventando sempre più attiva, offrendo maggior informazione e assistenza, tanto che sono diminuite anche alcune complicanze come la retinopatia, la neuropatia e la nefropatia». Per valutare la presenza del diabete si rileva il valore dell’emoglobina glicata, un ormone che evidenzia la media del tasso glicemico negli ultimi tre mesi e che viene indicato in percentuale: 6,5% con il nuovo sistema, e 48% con il vecchio sistema; mentre i valori della glicemia devono essere: a digiuno e prima dei pasti 70-125 mg/dL, e due ore dopo i pasti più bassi di 160-180 mg/dL; nel caso il valore superi i limiti (125 mg/dL) e quando sono presenti fattori concomitanti come famigliarità, età (oltre i 55 anni), ipertensione, sovrappeso, obesità e vita sedentaria, potrebbe essere utile effettuare il test da carico di glucosio, ossia la misura della concentrazione ematica di glucosio prima e dopo la somministrazione orale di una soluzione standard di glucosio. E la pressione arteriosa P.A.) non deve superare il 140/80 mmHg. «Inoltre – ha concluso il prof. Portautile è lo screening della retinopatia diabetica, una procedura costo-efficacia più nota in Medicina, che risulta essere giustificato se rappresenta un problema sanitario importante, ne è nota la storia naturale, se esistono forme di trattamento efficaci, e gruppi a rischio; se la procedura è costo-efficace, e se sono disponibili test facili da eseguire, affidabili, innocui, ripetibili e accettabili dai pazienti».

 

Relativamente alla seconda relazione la dott.ssa Visentin (nella foto), nel fare cenno all’anatomia e fisiologia del sistema circolatorio, ha ricordato che la circolazione del sangue è stata descritta nel 1628 dal medico inglese William Harvey (1578-1657), determinando una delle più grandi rivoluzioni nella storia della Medicina, ponendo le basi delle attuali conoscenze della circolazione sanguigna. Entrando in merito al tema ha ben chiarito la funzione del sistema venoso degli arti inferiori e, in particolare, che il sistema profondo è satellite del sistema arterioso, con un rapporto arterioso/venoso di 1:2 per le vene di piccolo e medio calibro e di 1:1 per le grandi vene (poplitea, femorale, iliaca); mentre il sistema superficiale si identifica con i due tronchi safenici, ossia la grande e piccola safena confluiscono nel precedente a livello, rispettivamente, della crosse safeno-femorale e safano-poplitea. Le vene cosiddette perforanti rappresentano invece una importante via di comunicazione dei distretti venosi dell’arto inferiore, garantendo un flusso diretto della superficie in profondità. Ma cos’é l’insufficienza venosa cronica? «È una condizione – ha spiegato – di alterato ritorno venoso che talvolta provoca un senso di disagio agli arti inferiori e alterazioni della cute. La conseguente sindrome postflebitica, definita anche post-trombotica, è una insufficienza venosa cronica sintomatica a seguito di una trombosi venosa profonda. Le cause di questa patologia sono le affezioni che determinano l’ipertensione venosa, in genere attraverso un danno venoso o un’incontinenza delle valvole venose come avviene, per esempio, dopo una trombosi venosa profonda. La diagnosi si basa sull’anamnesi, sull’esame obiettivo e sull’esame di ecodoppler duplex. Il trattamento comprende la compressione, la cura della ferita e, di rado, l’intervento chirurgico. La prevenzione richiede un adeguato trattamento della trombosi venosa profonda e l’uso di calze elastiche». La relatrice si è poi soffermata sulle varici, spiegando che sono vene superficiali, dilatate tortuose in cui il sangue circola “controcorrente”, e che sono di due tipi: primitive e secondarie. Nel primo caso quasi tutti i pazienti hanno varici primitive (o essenziali) a causa della famigliarità, e tra questi in particolare ne soffrono coloro che di mestiere sono cuochi, parrucchieri ed altri costretti ad alla stazione eretta prolungata; le varici secondarie sono più rare e interessano solitamente soggetti che hanno avuto episodi di trombosi venose profonde di una certa entità, il cui trattamento è diverso rispetto alle varici primitive. Ma perché certe varici giungono ad uno stadio esteso? «A volte per inerzia – ha spiegato – ma soprattutto perché le varici sono asintomatiche anche se evidenti perché aumentano di volume… Tra i motivi che inducono il paziente a ricorrere al chirurgo vascolare sono la manifestazione di una varicoflebite, una infiammazione acuta che si forma intorno a una varice (vena varicosa) dell’arto inferiore che causa dolore e alterazioni cutanee (rossore, aspetto rugoso) lungo il tratto venoso, che talvolta si associano alla trombosi dovuta alla scarsa circolazione del sangue negli arti. Ma si possono manifestare anche episodi di emorragia, talvolta dopo aver “irritato” (per prurito) la cute, che si arresta solitamente tenendo sollevati gli arti inferiori». La diagnosi delle varici si basa sull’esame obiettivo e strumentale dell’eco-doppler venoso, esame peraltro non invasivo, indolore e senza effetti collaterali che viene eseguito in stazione eretta; quello arterioso, invece, lo si effettua con il paziente in posizione supina (sdraiato). Ma quale la prevenzione delle varici? «Dal punto di vista chirurgico – ha spiegato la dott.ssa Visentin – si tratta dell’asportazione della vena safena (safenectomia) e flebctomia, le cui serie complicanze sono praticamente nulle (meno dell’1%); mentre qualche complicanza sia pur di grado minore si manifesta con l’infezione della ferita, ematoma, pigmentazione, linforrea, etc. Il trattamento prevede l’eventuale ablazione (chiusura) della vena con l’ausilio del laser o della radiofrequenza; scleroterapia per le varici ma non per la safena. Si possono inoltre trattare tutti i tronchi safenici, considerando che le varici di notevoli entità sono più problematiche da trattare in quanto soggette a recidive. Utile il follow-up (controllo a distanza) in quanto i pazienti vanno rivisti periodicamente». Ma un altro aspetto patologico di competenza del chirurgo vascolare riguarda le ulcere cutanee, un vero e proprio problema sociale in termini di spesa pubblica assistenziale e di perdita di giornate lavorative: è stato calcolato che la spesa per l’assistenza domiciliare di un paziente con ulcera non complicata è di circa 1.800 euro all’anno. «Questa patologia – ha concluso la relatrice – interessa 1%-3% della popolazione, percentuale che è destinata ad aumentare in relazione all’allungamento della vita media, in quanto patologia più comune nell’anziano. Inoltre, le ulcere cutanee rappresentano un problema di lunga durata: dai dati della letteratura emerge che il 20% di esse è ancora aperto dopo 2 anni, e addirittura l’8% non è guarito dopo 5 anni. Altra caratteristica che rende tale patologia particolarmente importante è la tendenza alle recidive: il 70% delle ulcere cutanee è recidivante».

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