CONTINUANO I LUNEDÌ DELLA PREVENZIONE AL MBC TORINESE

L’intensa attività organizzativa per la diagnosi e la terapia dei tumori e delle cardiopatie infantili al “Regina Margherita” della Città della Salute

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)

Prof.ssa F. Fagioli

Agli incontri dei lunedì pomeriggio della Prevenzione e della Salute, a cura della Associazione “Più Vita in Salute”, il 16 scorso sono intervenuti la prof.ssa Franca Fagioli, direttore della S.C. di Oncologia Pediatrica all’spedale infantile Regina Margherita, sul tema “I tumori pediatrci: curare la malattia e avere cura del bambino e della sua famiglia”; e il dott. Carlo Pace Napoleone, direttore della S.C. di Cardiochirurgia, allo stesso ospedale torinese, sul tema “Convivere con una cardiopatia congenita: un viaggio senza fine”. Va da sé che la problematica oncologica all’interno del proprio nucleo familiare, quella in ambito pediatrico può essere un modello anche per quello dell’adulto, soprattutto vista come una possibilità concreta di guarigione sia per piccoli pazienti che per gli stessi adulti. «È bene ricordare – ha esordito la relatrice – che i tumori in età pediatrica sono un evento assai raro: in Italia si ammalano ogni anno, 1.400 bambini tra zero e 14 anni, e circa 900 adolescenti tra 14 e 18 anni. Sono numeri relativamente stabili, oggetto di incremento negli ultimi anni (fermi al 2019), ma sino a prima della pandemia si è notato un lieve incremento delle forme tumorali, sia in età padiatrica che adolescenziale. Per contro, l’80% dei nostri pazienti (bambini e adolescenti) guarisce». Le patologie riguardano essenzialmente leucemie, linfomi, tumori cerebrali, tumori solidi, ma anche altre forme tumorali come le leucemie linfoblastiche acute la cui probabilità di guarigione, per alcuni bambni, è superiore al 90%. «Sono pazienti – ha precisato – che hanno un percorso di cura “facile” che dura però due anni in quanto sottoposti a chemioterapia; peraltro ad elevata complessità. Patologie come l’osteosarcoma in cui nel corso degli ultimi vent’anni non si è avuto nessun incremento della sopravvivenza, sono sempre ferme al 70% e non abbiamo farmaci nuovi… Oggi si amputa meno del 2% dei nostri bambini, grazie alla chemioterapia pre e post operatoria. Ed confortante poter affermare che la sopravvuvenza ha raggiunto il 70% dei casi». Quindi, patologie che per la maggior parte guariscono molto bene come ad esempio la forma di leucemia linfoblastica acuta, ed altre forme di linfomi, tumori di Wilms (o nefroblastoma), ossia patologie che hanno avuto incremento della sopravvivenza proprio come gli osteosarcomi, e patologie per le quali sino ad oggi non vi era nessuna concreta possibilità di guarigione. Ma che cosa si fa per questi pazienti? «Nonostante il progresso dell’Oncologia pediatrica – ha spiegato il clinico – c’è bisogno di cambiare strategia, ossia di realizzare nuovi farmaci per i quali si richiede un opportuno iter per essere approvati, che è diverso per quello del paziente adulto. Tale percorso prevede una fase pre-clinica (con le cavie), per poi proseguire con le successive fasi della sperimentazione sino ad ottenere la commercializzazione del farmaco, tenendo però presente che i farmaci che sono efficaci nell’adulto non lo sono nei bambini». A questo riguardo è in corso un recente programma europeo  (“Accelerator”), al fine di realizzare nuovi farmaci anche per i bambini, con i quali si cerca di curare il maggior numero di pazienti. Va da sé l’importanza dell’ottenimento della guarigione e, in tal senso, si riscontra che ogni anno tra i pazienti giovani-adulti aumenta il numero di quelli guariti da tumore in età pediatrica: sono i cosiddetti survival (lungosopravvissuti). In Europa è dato a sapere che sono da 300 mila a 500 mila nella fascia di età tra i 15 e i 39 anni; in Italia sono circa 44 mila (dato del 2017), e si prevede un incremento del 3% ogni anno. Il problema di queste persone, che fanno parte del nostro sistema sociale, è che possono morire prima rispetto a quelle che non hanno avuto il tumore in età pediatrica. Ma perché muoiono? «Anzitutto – ha spiegato la cattedratica – perché si può ripresentare la malattia anche dopo molti anni, inoltre per le cause di tossicità tardive, e per cause esterne… Per contro, nel corso degli anni si è ridotta la mortalità tardiva, e quindi è importante considerare che i pazienti guariti hanno delle sequele tardive provocate dal trattamento, oltre che dal tumore stesso a discapito anche della qualità di vita… Nel nostro ospedale è disponibile un ambulatorio separato per i pazienti guariti, quindi fuori terapia, e di conseguenza seguiti in modo particolare. Oltre al monitoraggio vi è da tener presente la tossicità gonadica che causa problemi di infertilità sia nei maschi che nelle femmine, e questo vale a seconda del tipo di trattamento chemioterapico prescritto. In ogni caso, per quanto possibile, la fertilità deve essere preservata attraverso tecniche consolidate». Altro aspetto da considerare ed evidenziato dalla relatrice, per il quale non si può fare molto, riguarda la diagnosi delle malattie tumorali, e la paura di morire e l’ansia fanno parte  del percorso di questi bambini e delle loro famiglie; tuttavia notevole è l’impegno degli psicologi e psiconcologi in particolare. Contestualmente è da notare pure che i pazienti guariti sono più soggetti all’ansia e alla depressione, disordine da stress post-trumatico, di non autonomia  famigliare, minore probabilità di ottenere un lavoro stabile e una adeguata posizione sociale. Inoltre si va delineando il diritto di non dichiarare informazioni sulla propria malattia e, a riguardo, si è in attesa di un apposito disegno di legge per tutti i pazienti oncologici. «La presa in carico di questi pazienti – ha concluso la prof.ssa Fagioli – richiede la sinergia di più figure professionali sanitarie, sociali e di volontariato. E va da sé che il primo impatto con la famiglia e il paziente avviene sin dal primo colloquio, nel corso del quale viene comunicata la diagnosi, la possibile terapia e di come è strutturato l’ospedale con tutte le sue componenti organizzative ed assistenziali, a “conforto” di un’accoglienza mirata che, unitamente all’operatività e alla qualità dell’ambiente, costituisce la centralità del bambino-paziente e della sua famiglia».

Dott. C.P. Napoleone

Sempre in ambito pediatrico non meno importante la realtà relativa all’attività di cardiologia e cardiochirurgia, per la quale l’ospedale infantile torinese  dispone di ampi spazi  ed attività pensate proprio a misura di bambino; peraltro attualmente in ulteriore fase di ristrutturazione a cominciare dall’ampliamento degli ambulatori, che comprendono tutte le specialità, in particolare il reparto di cardiochirurgia. L’attività comprende la diagnosi e la cura delle cardiomiopatie congenite, che vengono trattate dalla gestazione in poi, ossia sino all’età adulta (massimo 18 anni). Questo settore collabora con diverse realtà esterne (pazienti provenienti anche dall’estero, ed anche riferimenti per associazioni di volontariato come Amici dei Bambini Cardiopatici e la Fondazione FORMA che nello specifico, supportano le famiglie dei piccoli pazienti ricoverati, oltre all’assistenza diretta in reparto. «I punti di forza di questo reparto – ha spiegato il clinico – è la correlazione delle patologie in epoca neonatale, compreso il trattamento dello scompenso cardiaco definitivo, impianti di cuore artificiale e trapianti di cuore. In Italia le cardiopatie congenite sono circa 4.500 all’anno (lo 0,8% dei nati vivi); il 40% se non viene trattato muore entro il primo anno di vita, e circa il 30% costituisce un’urgenza clinica. Su un totale di 1.800 interventi si sono avuti risultati decisamente apprezzabili: la mortalità è risultata inferiore alla metà della media europea, in particolare  riferita alla fascia di età neonatale».La Cardiochirurgia pediatrica nasce nel secolo scorso per merito del francese Alexis Carrell (1873-1944), premio nobel per la Medicina nel 1912, che ha ideato la metodica di suturazione insieme di due arterie, e il cui percorso negli anni ha consentito di curare la prima cardiopatia congenita per merito del cardiochirurgo svedese Clarence Crafoord (1899-1984); seguito dal trattaento della Tetralogia di Fallot, malformazione nota come il “morbo blu”. Inolttre, la realizzazione della circolazione extracorporea ha permesso ulteriori progressi per interventi a cuore aperto, e successivamente i trapianti cardiaci neonatali. «A questo riguardo – ha rammentato il relatore – dal 1982 negli USA sono stati eseguiti 15.000 trapianti, il 9% dei quali in pazienti pediatrici, e i risutati sono in costante miglioramento… Nel nostro ospedale dal 2002 sono stati eseguiti 57 trapianti ad un’età media di 6 anni». Tutti questi risultati, per quanto riguarda la cardiochirurgia pediatrica torinese, oltre all’esperienza sono da evidenziare la composizione della S.C. e l’organzzazione della stessa. Essa consta per la degenza di 4 stanze con due posti letto, 1 stanza singola di isolamento, 4 posti letto di alta intensità, 4 posti letto di media intensità, 2 posti letto di isolamento, 5 sale operatorie, 10 posti letto di addormentamento e risveglio. L’équipe è composta da 5 cardiochirurghi, 11 cardiologi, 8 cardioanestesisti, 3 coordinatori infermieristici, 60 infermieri e 4 tecnici perfusionisti. L’esperienza di questo complesso di Cardiochirurgia, oltre alla correzione di difettici cardiaci in epoca neonatale, si interviene con la chirurgia dell’arco aortico in perfusione cerebrale e miocardiaca selettiva, chirurgia della trachea, assistenza cardiocircolatoria e, ovviamente impianti di cuore artificiale e trapianti di cuore. «Per noi – ha concluso il dott. Napoleone – la prevenzione è la diagnosi prenatale, ossia durante la gravidanza con tecniche sofisticate si possono fare diagnosi per la maggior parte di queste patologie. Nel nostro Centro ogni anno vengono diagnosticate circa 110 cardiopatie congenite, e la prima diagnosi solitamente viene fatta tra la 18ª e la 20ª settimana di gestazione; inoltre l’80% delle patologie vengono diagnosticate senza la possibilità di errore, il cui iter prevede la preparazione ad un percorso tanto per la famiglia quanto per noi clinici». In buona sostanza, i due clinici hanno fatto conoscere le rispettive realtà, i cui progressi sono dati non solo dai numeri, ma anche dalla elevata professionalità degli operatori, e dalla solidità strutturale ed organizzativa sempre più in evoluzione… nonostante la “zoppia” del nostro SSN, e qualche incertezza del futuro dello stesso.

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