“Bling Ring”, Sofia Coppola rivolta “Somewhere”

Regista di film amatissimi come “Lost in traslation” e “Maria Antonietta”, il premio alla

regia Sofia Coppola l’ha preso per “Somewhere”, forse il meno riuscito (Venezia 2010).

Girato con le stesse lenti utilizzate dal padre-monumento Francis Ford, quel film parlava di solitudine e spleen delle stelle del cinema, utilizzando un linguaggio frammentato e realista indigesto al pubblico più giovane. Per riconciliarsi con i fan senza scendere troppo a compressi, ecco dunque “Bling Ring”, con un plot che sposta l’attenzione dalle star al loro pubblico: una gang di liceali entra nelle ville di Hollywood in assenza dei proprietari (Paris Hilton, Megan Fox) per fare incetta di vestiti e gioielli da rivendere sul mercato nero.

Le star, insomma, svaniscono. Rimangono le loro splendide case, gli oggetti e le auto di lusso e la formidabile presa su questo gruppo di giovani viziati, affetti da smisurate sindromi emulative.

Rispetto a “Somewhere” cambia anche lo stile registico, che si fa incalzante e di forte impatto estetico: immortalando abiti griffati e abitazioni moderniste, Sofia Coppola sale in cattedra con quell’uso del montaggio e del suono da videoclip di cui è fuoriclasse (strabilianti tracce disco ma anche inattesi silenzi).

“Bling Ring” è veloce dove “Somewhere” zoppicava, luccica di bellezza dove l’altro era tetro, infanga il jet set che il suo predecessore edificava. In comune, invece, i due film hanno cast al di sotto delle aspettative (e per sopperire sono entrambi farciti di camei) e significati tutto sommato vacui. Anche se “Bling Ring” è tratto da una storia vera le ville senza guardiani, cani o videosorveglianza e il finale di castigo per questi teen-ager senza valori danno al tutto un sapore di caricaturale shutdown.

 

Andrea Anastasi

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