L’angolo di Full: “L’esecuzione”

due avvoltoi appollaiati sui rami di un albero

Il nostro giornale si prefigge di dare spazio ai diversi orientamenti in campo religioso, per questo oggi che si celebra la Santa Pasqua abbiamo scelto un brano di Full a tema sì, ma ben lontano dal sentire cristiano. Lo facciamo con la speranza che i lettori credenti non scambino la sua aspra ironia per irrispettosità, ma la interpretino piuttosto come stimolo alla riflessione: la fede vera è tale quando ha saputo attraversare indenne il dubbio.

 

due avvoltoi appollaiati sui rami di un alberoL’esecuzione

«Guarda quello, l’hanno combinato per le feste.»
«Non compiangerlo troppo. Ē messo meglio di noi. Con quelle ferite si dissangua subito.»
«Io non lo invidio. Sai chi è?»
«Non è dei nostri, è un condannato politico. Così appeso, le ferite gli buttano tutto il sangue. Gli dò un’ora. Per noi, invece saranno cazzi.»
«Perché? Cosa ci faranno? Tu lo sai?»
«Niente ci faranno. Ecco il guaio. Ci lasceranno morire e basta. E saranno cazzi amari.»
«Non riesco a tenere gli occhi aperti. Non credevo si potesse dormire legati a un palo.»
«Dormire! Sarebbe la tua ultima stronzata perché domani, quando il sole ti cuocerà il cranio, sarai fin troppo riposato e cosciente. Invece dobbiamo mantenerci svegli e sforzarci di rompere i legacci.»
«A che scopo? Serve la forza di un bufalo e poi ci sono le guardie.»
«Non è questo il punto. Dobbiamo fare di tutto per ridurci allo stremo. Se sei uno straccio e hai un po’ di culo, domani il sole e la sete ti mandano subito in delirio.»
«Non riesco a seguirti, sto crollando… non ce la faccio…»
«Invece dobbiamo aiutarci a stare svegli. Ce l’ho io qualcosa che ti terrà sveglio, che ci terrà svegli tutti e due. Ascolta, devi sapere di Giò: questo lo devi proprio sapere. Giò era quasi un padre per me. Una notte ci sorprendono in un casolare a rubare, ma riusciamo a tagliare la corda. Io mi libero del sacco con la roba, ma il peso più grosso l’ha in groppa lui e non può mollarlo…»
«Cosa s’era ingroppato?»
«Quarant’anni più di me, s’era ingroppato. Così lo beccano. Tempo una settimana, lo condannano e lo issano su questo palco, proprio come noi adesso. Allora avevo solo dodici anni. Avevo dodici anni e Giò: nient’altro. Così non riuscivo ad allontanarmi di un solo metro.»
«Me ne stavo aggrappato allo steccato e lo guardavo. Giò era legato in modo da poter muovere solo la testa. Mi scongiurava di andarmene. Diceva che il giorno dopo sarebbe accaduto qualcosa di terribile che io non dovevo vedere. Vai! Fammi quest’ultimo favore, implorava. Tanto la mena che mi allontano.    Ma non sapevo proprio dove cazzo andare così torno sui miei passi e mi nascondo dietro un masso. Non l’avessi mai fatto! Ehi! Ehi! Non dormire! Mi ascolti?»
«Ti ascolto», biascicò il secondo condannato.
«Non ne potevo più, proprio come noi adesso, così m’addormento come un somaro. Quando mi sveglio è l’alba, con il sole già sull’orizzonte. Subito guardo verso l’impalcatura e vedo Giò. Era tormentato dalle mosche e muoveva la testa stancamente per scacciarsele dagli occhi e dalla bocca. Una pena. In quel momento, una grande ombra copre il sole e ondeggia sulla mia testa.»

Il condannato tacque per passarsi la lingua sulle labbra aride. Poi riprese a voce più bassa come a garantirsi una più lunga autonomia vocale:
«L’ombra passa, e si tratta di un grosso rapace, non saprei dirti cosa, forse una cornacchia. Fa un paio di giri sopra Giò e si posa sull’impalcatura. Giò urla come un matto per scacciare l’uccello e quello si alza. Ma torna a posarsi subito dopo. Intanto arriva un altro rapace e un altro ancora. Ehi! Sei sveglio?»
«Cazzo! Ti ascolto.»
«Tre, quattro uccellacci si piantano lì appollaiati per una buona mezz’ora. Stavo tenendo d’occhio le guardie quando sento un urlo pazzesco, mai sentito prima. Guardo verso l’impalcatura e vedo Giò senza più un occhio. Subito un fiotto di sangue gli copre la faccia e sembra un segnale. Gli sono addosso. Due uccelli, quattro, e cominciano a scarnificarlo. Vivo, capisci? Usavano i becchi come arpioni. Giò urlava come un animale… non riconoscevo più le sue urla da quelle degli uccelli! Lo capisci?»
«Perdio… è pazzesco!»
«Non ce la facevo ad ascoltare. Non devo rimanere, mi dicevo, Giò merita un ricordo migliore. Insomma, volevo ricordarlo con la sua dignità di persona. Non ce la facevo proprio. Allora scappo con le mani sulle orecchie e corro fino a quando mi scoppiano i polmoni.»

Ci fu un breve silenzio poi, come un tuono inatteso, esplose lo sfogo rabbioso del secondo condannato: «Allora non verremo cotti dal sole! Era una balla. E adesso perché mi racconti queste stronzate? Brutta carogna. Non ti sembro abbastanza punito? Non sono abbastanza disperato? Vuoi che mi caghi addosso? Maledetto sadico!»
«Bene, adesso che ti sei svegliato devi cercare di perdere acqua e forze. Cerca di parlare, sudare e pisciare tutto quello che puoi e vedrai che domani, quando il sole ci cucinerà, saremo subito cotti.»
«E piantala con le tue stronzate! Hai appena detto che le bestiacce erano arrivate all’alba, altro che svenire sotto il sole! Non credo più a una sola parola. Lo caverei a te un occhio, maledetto depravato».
Ormai vacillava in lui anche l’ultimo barlume, fatto di rabbia e di paura, che si spense in un sospiro amaro:
«Almeno, lasciami morire, bastardo.»
Il primo condannato, temprato da chissà quali altre terrificanti vicende, proseguì come se nemmeno l’avessero interrotto:
«Ti dico un’ultima cosa che ti chiarirà come stanno i fatti: Giò finì come un animale perché era solo, sul palco. Ma per noi è diverso. Sarà il prigioniero politico a salvarci. Domattina i rapaci si butteranno su di lui per due ragioni: perché attratti dal sangue e perché si scarnifica meglio un cadavere che un vivo. Si sazieranno per alcuni giorni e intanto noi saremo entrati nell’ultimo sonno.»
La nuova prospettiva recuperò, all’altro, la ragione:
«Vuoi dire che lui ci salverà il culo?»
«Ci farà morire da esseri umani e non da bestie.»

Il primo ladrone voltò il capo verso il condannato politico che penzolava, esanime, da un’impalcatura a croce.
«Grazie Gesù», disse. E, per un attimo, considerò quell’uomo capace di morire per un’idea.
«Gesù chi? Il nazareno? Io non lo ringrazio», protestò l’altro, «uno che butta la vita per una fissazione e ha tanto culo da crepare subito, ci deve almeno questo servizietto.»
Poi infierì con sguaiata baldanza a mascherare la disperazione di poco prima: «Domattina ci godremo il nostro ultimo spettacolo e… in prima fila! Sarà uno spasso. Scommettiamo sul primo organo che gli strapperanno di dosso?»
«Su questo non ho dubbi», fece l’altro lasciandosi prendere dalla disperata euforia del compagno, «è un predicatore, e gli strapperanno la linguaccia.»
Una risata sgangherata sconcertò la paura.
Poi, una marea nera e densa prese a montare nei sensi torpidi dei due ladroni sino ad allargarsi in un grande mare calmo che affogò ogni loro impulso e distese il loro respiro.

primo piano di Fulvio Musso      A tarda notte, i due uomini erano scivolati nell’abisso di un sonno pesante e senza sogni, quando venne una donna di nome Maria a farsi consegnare, come suo diritto, il cadavere del figlio.
Non chiedevano che una morte per sete e per sfinimento come si conviene a degli esseri umani, ma nemmeno quel Cristo li aiutò perché i miracoli, si sa, sono un mistero.

Il mattino seguente, mezzo miracolo lo compì la natura.
Programmati per assolvere al proprio bisogno col minor danno, i rapaci si accanirono su di un solo sventurato. All’altro, come si conviene a degli esseri umani, non resse il cuore.
Dei due condannati, era quello che più meritava la clemenza dei predatori. Era il più magro.

Fulvio Musso

3 thoughts on “L’angolo di Full: “L’esecuzione”

  1. incisivo, crudo e brutale come la morte cruenta che la storia è la religione tramanda… Non parole ma attenta riflessione mentre il cuore “piange”…

  2. I rapaci sono sempre pronti a ghermire, in ogni epoca!
    La clemenza, si fa per dire, la esercitano soltanto dove non c’è niente da spolpare.
    Auguri, Full, geniale come sempre.
    Ritorno dopo a ri-commentare.
    ciao, Lucia

  3. Un acrostico a commento di questo racconto che esalta e stordisce per le verità che riesce ad esprimere con un linguaggio graffiante, fortemente incisivo e veritiero. Grazie, Full!

    Certezza di
    Rinascita e
    Orizzonte di Luce in
    Candida veste di
    Eternità trascendente.

    A presto, Lucia

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