Ai professori Palma, Ruotolo e Ceretti: diritto di replica tra le sbarre

Riceviamo e pubblichiamo.

 

Dopo l’invio, la scorsa settimana, di una lettera/articolo di Carmelo Musumeci sugli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, i Prof.   Mauro Palma, Marco Ruotolo e Adolfo Ceretti hanno così risposto:

www.ristretti.org/Le-Notizie-di-Ristretti/gli-stati-generali-dellesecuzione-della-pena-e-la-partecipazione-dei-detenuti

Ora Carmelo Musumeci chiede con questa ulteriore lettera il diritto di replica:

 

 

Ai professori Mauro Palma, Marco Ruotolo e Adolfo Ceretti: diritto di replica tra le sbarre


Il mondo cambia non a poco a poco, ma uno a uno (Giuseppe Ferraro)

 

uomo seduto per terra e rannicchiato su se stessoEgregi Professori ho letto la Vostra risposta pubblicata sulla “Rassegna Stampa” di “Ristretti Orizzonti” del 18 luglio 2015 sul mio precedente articolo dove, sostanzialmente, lamentavo la mancanza, anche formale, della presenza in questi tavoli di lavoro dei prigionieri (o ex prigionieri) per rappresentare, in modo democratico e simbolico, la popolazione dei detenuti.

La mia non voleva essere assolutamente una critica distruttiva, ma piuttosto costruttiva e propositiva per cercare di capire insieme, se e come, era possibile un coinvolgimento più completo e partecipativo di tutti i detenuti per dare entusiasmo e farli sentire per una volta protagonisti del loro destino e non trattarli solo come corpi parlanti.

Sono ancora convinto che i motivi da me presentati siano giusti, anche se forse li ho esposti in modo sbagliato. Lo so, sono un sognatore e, per l’appunto, sognavo che in questi Stati Generali dell’Esecuzione della Pena i prigionieri sarebbero stati messi nelle migliori condizioni per esprimersi in prima persona.

Sul rimprovero che mi avete sollevato circa il fatto che sul mio articolo non avete trovato nessuna notizia (o parole di ringraziamento) della Vostra visita alla redazione di “Ristretti Orizzonti”, non vi nascondo che mi sento colpevole… di essere innocente perché il mio articolo era stato scritto e spedito molto prima di sabato 11 luglio 2015 all’amministratrice che cura il sito che porta il mio nome (lo può testimoniare lei stessa e per amore di verità la inviterò a farlo). Solo in un secondo tempo la “Rassegna Stampa” di “Ristretti Orizzonti” ha avuto il mio articolo (sempre per amore della verità, inviterò la dottoressa Ornella Favero a testimoniarlo. Provo rammarico che non l’abbia fatto prima di pubblicare la vostra lettera).

Credo che anche questa tematica potrebbe essere un argomento di discussione presso uno dei tavoli di lavoro per tentare di migliorare la comunicazione tra il dentro e il fuori perché può capitare che una lettera ci metta mesi ad arrivare a destinazione (sicuramente questo può accadere anche nel mondo libero, però la differenza è che i detenuti hanno solo questo mezzo per comunicare).

Al di là dell’incomprensione che si è verificata a causa della mancata tempestiva pubblicazione del mio articolo – cosa per la quale chiedo nuovamente venia pur da incolpevole! – sento la necessità di replicare all’accusa di vittimismo da Voi mossami con la lettera pubblicata il 18 luglio.

Ritengo corretto precisare che il vittimismo costituisce, come ben sapete, una modalità infantile e regressiva del comportamento umano, l’inclinazione – cito la Treccani – a fare la vittima, cioè a considerarsi sempre oppresso, perseguitato, osteggiato e danneggiato da persone e circostanze, e a lamentarsene (ma a volte anche a compiacersene). Nel mio caso, mi ero semplicemente permesso di segnalare una modalità di gestione nei lavori degli Stati Generali dell’Esecuzione della Pena che non mi è sembrata corretta né rispettosa delle reali esigenze di espressione dei detenuti, specie di coloro che vivono nei “bracci della morte nascosta”, cioè gli ergastolani ostativi. Mi permettevo di annotare l’esigenza forte e pressante di poter far udire la propria voce all’interno di un dibattito dal vivo che consentisse ad almeno una nostra seppur ristretta rappresentanza di essere parte attiva e consapevole nel corso di questi lavori. Voi mi insegnate, illustri Professori, che un conto è la lettura di una relazione scritta, forse rimaneggiata e mediata da altre voci, e un conto è la dialettica, il dibattito, il confronto dinamico presso lo stesso tavolo di discussione da parte dei reali interlocutori capaci di intendere, di volere, di esprimersi compiutamente.

La prode accusa di vittimismo mi sembra un modo forse elegante, ma poco rispettoso, per mettere il tappo in bocca a chi desidera esprimere la propria opinione e, magari, contestare un percorso che potrebbe tener conto, più apertamente e democraticamente, della voce di chi, in carcere, deve trascorrere ancora i suoi anni di “vita”.

Come ho già affermato in diverse occasioni, nel percorso di revisione che il detenuto è chiamato a compiere scontando la propria pena, l’assunzione di responsabilità passa anche attraverso il riconoscimento dei propri diritti oltre che dei propri doveri. Questo è un modo per crescere e migliorarsi come cittadini attivi e coscienti. Rivendicare questa consapevolezza mi sembra ben lontano da un atteggiamento vittimistico.

Subito dopo il vostro incontro, la direttrice Ornella Favero mi aveva incaricato di coordinare un numero speciale di Ristretti Orizzonti sugli Stati Generali invitandomi a raccogliere le testimonianze dei miei compagni sparsi nei vari carceri per dare loro voce e luce. La provocazione della Vostra lettera mi offre ulteriori motivazioni per impegnarmi in questo incarico, per far risuonare la voce dei miei compagni, per segnalare iniziative importanti e significative che, purtroppo, per molti di noi, sono ancora ideali troppo lontani.

Per esempio, in questi giorni, ho sentito la notizia che il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, ha commutato la pena a 46 detenuti per reati di droga cominciando, con questo atto di clemenza, la riforma della giustizia. Mi sono domandato – Vi assicuro, senza alcun vittimismo! – perché il nostro Ministro della giustizia Andrea Orlando non fa la stessa cosa inaugurando, con un atto di clemenza, i lavori degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale.

Potrebbe emanare, infatti, una circolare ministeriale esplicativa per ampliare da subito (come sta già facendo l’illuminato direttore del carcere di Padova) il numero delle telefonate, almeno per quei detenuti che scontano la pena in carceri lontani dai luoghi di residenza dei loro familiari. Si tratterebbe semplicemente di un atto di sensibilità sociale in favore dei familiari dei detenuti, vittime incolpevoli – e non vittimisti! – che, con noi detenuti, sono condannate a condividere le conseguenze della nostra pena.

Vi chiedo scusa se le parole del mio precedente articolo vi sono sembrate irrispettose e irriguardose. Vi auguro buona vita e buon lavoro. Un sorriso fra le sbarre.

Carmelo Musumeci

Carcere di Padova, luglio 2015

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