Abolire il carcere? Fattibile. Pensarci? Doveroso

di Marcella Onnis

I tempi sono oltremodo maturi per affrontare alla radice il nodo carceri. A chiederlo dovrà essere la società civile, visto che questa richiesta dell’Europa non è suonata così perentoria da essere recepita nella riforma della Giustizia. Anche noi governati, del resto, non scalpitiamo perché si migliori realmente la condizione dei detenuti. E sono ancora meno quelli che chiedono che detenuti non ve ne siano (quasi) più. Tra questi, Livio Ferrari e Giuseppe Mosconi , che con il saggio “ Perché abolire il carcere ” illustrano le ragioni del manifesto/movimento No Prison.

IL CARCERE HA FALLITO

È sotto gli occhi di tutti che il carcere ha fallito clamorosamente la sua missione di rieducare il condannato: «I detenuti risocializzati alla legalità sono ovunque pochi e lo sono “nonostante” il carcere e non “in virtù” del carcere. La recidiva, in quasi tutto il mondo, supera il 70% . La stragrande maggioranza di chi oggi è in carcere non lo è per la prima volta e non lo sarà per l’ultima. Non esiste Paese al mondo che a questa regola faccia eccezione». E, aggiungono gli autori, non è solo l’art 27 della Costituzione a essere stato violato, ma pure il suo art. 3: «[…] la pericolosità criminale è distribuita equamente in tutte le classi sociali, ma ad essere puniti e a finire in carcere sono prevalentemente coloro che godono di minore immunizzazione dal sistema penale, cioè coloro che sono economicamente, culturalmente e socialmente più deboli »; «[…] la stragrande maggioranza della popolazione reclusa, circa i 2/3, è costituita da soggetti tossicodipendenti, piccoli spacciatori, immigrati per lo più irregolari, autori di microcriminalità, più espressione dell’area del disagio e della marginalità sociale che manifestazione di un’elevata pericolosità».

EDUCARE ALLA LIBERTÀ CON LA LIBERTÀ E IL RISPETTO

Gli autori partono dal presupposto che «Per educare le persone alla legalità ed al rispetto delle regole è necessario che anche le regole siano rispettose delle persone» e ne traggono la conclusione che «[…] il carcere – per quanto riformato – non sarà comunque una risposta soddisfacente al delitto, perché mai il carcere potrà effettivamente favorire l’inclusione sociale di chi ha commesso un delitto, perché mai il carcere potrà essere in assoluto rispettoso della dignità umana del condannato ». Il carcere, dunque, deve essere abolito e sostituito con soluzioni totalmente diverse perché «La risposta al delitto non può che essere un intervento volto ad educare ad una libertà consapevole attraverso la pratica della libertà ». Sulla stessa linea troviamo, peraltro, anche voci autorevoli come quella dell’ex magistrato Gherardo Colombo , che, per esempio, in un’intervista pubblicata su “Il dubbio” lo scorso anno , sostiene che «l’inflizione di un castigo, se qualcosa fa, induce all’obbedienza; e una democrazia non ha bisogno di obbedienza , ma ha bisogno di capacità di gestire la propria libertà».

PROCEDERE PER GRADI PENSANDO A TUTTI

È comprensibile che la proposta di abolire il carcere incontri resistenze anche nei più garantisti e sensibili: tutti sapremmo formulare obiezioni. Ferrari e Mosconi lo sanno perfettamente e controbattono alle più frequenti. Né invocano un cambiamento repentino: sono consapevoli che​ questa soluzione radicale richieda tempo e gradualità in quanto si tratta di sostituire un sistema fallimentare ma collaudato con uno totalmente nuovo e, quindi, abbastanza sperimentale. Questa concretezza – che depone a favore della fattibilità delle loro proposte – appare evidente anche nella presa d’atto che «[…] in questa società è da ritenersi impossibile un’inclusione effettiva senza il lavoro » e che la realizzazione di questo obiettivo debba inserirsi in un quadro di riforma generale: «Bisogna pensare il problema del lavoro dei detenuti all’interno di politiche generali che garantiscano il diritto al lavoro alla popolazione, per evitare che si contrappongano un’altra volta il lavoratore “buono” disoccupato e il carcerato che lavora».

“È NECESSARIO CAPIRE CHE COS’È VERAMENTE IL CARCERE”

Il dibattito in questione non è certo di nascita recente e resiste strenuamente alla premeditata incuranza di chi orienta i riflettori e, di conseguenza, alla tendenziale indifferenza nostra. Vengono, inoltre, da esperienze di vita molto diverse i partigiani dell’abolizione del carcere: varie sono le professionalità e internazionali le provenienze dei membri del movimento No prison; variegate sono anche le voci esterne al movimento, tra cui si possono nominare l’ex brigatista Vincenzo Guagliardo , autore di “Dei dolori e delle pene” (1997), e l’anarchico Pippo Gurrieri , autore de “L’anarchia spiegata a mia figlia” (2018). C’è poi, come già detto, Gherardo Colombo, il cui monito ben si presta a rafforzare questo invito all’azione: «Secondo me per mettere una persona in carcere devi aver provato cosa è il carcere . Ma dovresti averlo provato per davvero, non averlo visto da turista, da operatore che arriva interroga e se ne va. […] È necessario capire che cos’è veramente il carcere. Oggi la stragrande maggioranza delle persone che sono in carcere non è pericolosa ». Parole che fanno idealmente eco agli interventi parlamentari che, su questo tema, fece circa 60 anni fa Piero Calamandrei, recentemente ricordati sempre dal quotidiano “Il dubbio” .

questa soluzione radicale richieda tempo e gradualità in quanto si tratta di sostituire un sistema fallimentare ma collaudato con uno totalmente nuovo e, quindi, abbastanza sperimentale. Questa concretezza – che depone a favore della fattibilità delle loro proposte – appare evidente anche nella presa d’atto che «[…] in questa società è da ritenersi impossibile un’inclusione effettiva senza il lavoro » e che la realizzazione di questo obiettivo debba inserirsi in un quadro di riforma generale: «Bisogna pensare il problema del lavoro dei detenuti all’interno di politiche generali che garantiscano il diritto al lavoro alla popolazione, per evitare che si contrappongano un’altra volta il lavoratore “buono” disoccupato e il carcerato che lavora». “È NECESSARIO CAPIRE CHE COS’È VERAMENTE IL CARCERE” Il dibattito in questione non è certo di nascita recente e resiste strenuamente alla premeditata incuranza di chi orienta i riflettori e, di conseguenza, alla tendenziale indifferenza nostra. Vengono, inoltre, da esperienze di vita molto diverse i partigiani dell’abolizione del carcere: varie sono le professionalità e internazionali le provenienze dei membri del movimento No prison; variegate sono anche le voci esterne al movimento, tra cui si possono nominare l’ex brigatista Vincenzo Guagliardo , autore di “Dei dolori e delle pene” (1997), e l’anarchico Pippo Gurrieri , autore de “L’anarchia spiegata a mia figlia” (2018). C’è poi, come già detto, Gherardo Colombo, il cui monito ben si presta a rafforzare questo invito all’azione: «Secondo me per mettere una persona in carcere devi aver provato cosa è il carcere . Ma dovresti averlo provato per davvero, non averlo visto da turista, da operatore che arriva interroga e se ne va. […] È necessario capire che cos’è veramente il carcere. Oggi la stragrande maggioranza delle persone che sono in carcere non è pericolosa ». Parole che fanno idealmente eco agli interventi parlamentari che, su questo tema, fece circa 60 anni fa Piero Calamandrei, recentemente ricordati sempre dal quotidiano “Il dubbio” . Marcella Onnis

questa soluzione radicale richieda tempo e gradualità in quanto si tratta di sostituire un sistema fallimentare ma collaudato con uno totalmente nuovo e, quindi, abbastanza sperimentale. Questa concretezza – che depone a favore della fattibilità delle loro proposte – appare evidente anche nella presa d’atto che «[…] in questa società è da ritenersi impossibile un’inclusione effettiva senza il lavoro » e che la realizzazione di questo obiettivo debba inserirsi in un quadro di riforma generale: «Bisogna pensare il problema del lavoro dei detenuti all’interno di politiche generali che garantiscano il diritto al lavoro alla popolazione, per evitare che si contrappongano un’altra volta il lavoratore “buono” disoccupato e il carcerato che lavora». “È NECESSARIO CAPIRE CHE COS’È VERAMENTE IL CARCERE” Il dibattito in questione non è certo di nascita recente e resiste strenuamente alla premeditata incuranza di chi orienta i riflettori e, di conseguenza, alla tendenziale indifferenza nostra. Vengono, inoltre, da esperienze di vita molto diverse i partigiani dell’abolizione del carcere: varie sono le professionalità e internazionali le provenienze dei membri del movimento No prison; variegate sono anche le voci esterne al movimento, tra cui si possono nominare l’ex brigatista Vincenzo Guagliardo , autore di “Dei dolori e delle pene” (1997), e l’anarchico Pippo Gurrieri , autore de “L’anarchia spiegata a mia figlia” (2018). C’è poi, come già detto, Gherardo Colombo, il cui monito ben si presta a rafforzare questo invito all’azione: «Secondo me per mettere una persona in carcere devi aver provato cosa è il carcere . Ma dovresti averlo provato per davvero, non averlo visto da turista, da operatore che arriva interroga e se ne va. […] È necessario capire che cos’è veramente il carcere. Oggi la stragrande maggioranza delle persone che sono in carcere non è pericolosa ». Parole che fanno idealmente eco agli interventi parlamentari che, su questo tema, fece circa 60 anni fa Piero Calamandrei, recentemente ricordati sempre dal quotidiano “Il dubbio” . Marcella Onnis​

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