PER COMBATTERE IL FEMMINICIDIO…

Se in tutte le Scuole superiori si citasse l’esempio dell’unione tra Albert Schweitzer e Hélène Bresslau, forse l’amore tossico si ridimensionerebbe…
di Ernesto Bodini (giornalista e biografo)
Questa ecatombe di femminicidi pare non abbia età tra gli autori e, c’è da scommettere che costoro anche avessero un minimo di istruzione e/o cultura, non si sono sognerebbero di leggere qualche vera storia d’amore quale esempio di reali sentimenti da considerare e rispettare. Anche se, purtroppo, non c’è da pretendere, a quelli che sostengono l’amore e il rispetto per l’altro/a tali sentimenti non vengono impartiti dalla famiglia e dalla scuola, comunque non a sufficienza, a mio avviso si saranno accorti che finora questo “orientamento” non ha ancora fatto presa; pertanto, sarebbe bene che i loro suggerimenti includessero la menzione di esempi di vite vissute e, senza andare troppo indietro nel tempo per citare gli amori tra Romeo e Giulietta, tra Petrarca e Laura o tra Dante e Beatrice, piuttosto che tra Söeren Kierkegaard e Regine Olsen, sarebbe sufficiente riportare alla memoria l’amore tra Albert Schweitzer (1875-1965) e Hélène Bresslau (1879-1957), i due protagonisti che tra l’800 e il ‘900 si dedicarono ad opere umanitarie in Africa. Di questi due fantastici personaggi il sentimento dell’amore fu tra i più puri e, per conoscerne a fondo i particolari basterebbe leggere l’epistolario “La storia d’amore del grande Nobel per la pace. Lettere dal 1901 al 1913 tra Albert Schweitzer e Hélène Bresslau” (Ed. Città Nuova 1992, pagg. 404), un corposo carteggio curato dalla figlia di Schweitzer, Rhena Miller (1919-2009). Scorrere queste pagine significa scoprire e capire cosa significa manifestarsi l’un l’altra, dal cui esempio non emergono tanto le effusioni quanto invece il modo di esprimere per iscritto quale forma particolarmente delicata, che oggi per i più suonerebbe fuori luogo e oggetto di derisione e struggente ironia. A titolo di esempio riporto uno stralcio di due lettere (dell’uno e dell’altra) della fitta corrispondenza, che tanto determinò un legame non solo passionale ma soprattutto spirituale, ricco di poesia e di grande rispetto… oltre che di condivisione, in procinto di partire per il Gabon (1913), dove avrebbero dedicato la propria vita alla assistenza di quelle popolazioni. Ecco i due brani.
“… sorridendo ti faccio gli auguri per il tuo compleanno. Vengano pure, gli anni… li impiegheremo: lavorando, attendendo, preparandoci, valutando il grande compito che ci attende e non potranno nuocerci in nulla! E vivremo ciascuno di essi come fosse l’ultimo, ameremo la vita per ciò che vogliamo fare, sorrideremo della morte come d’un destino che ci chiama a ritornare quando il tempo è compiuto e proprio per questo ameremo la vita appassionatamente, come coloro che sanno cosa sia vivere! Voler vivere: ecco cos’è ciò che, malgrado tutta la fatica, io continuo a sentire e tu pure. Mi piace che tu sia un po’ più giovane di me, ma non troppo, così che ogni mia sensazione e sentimento possano rivolgersi a una personalità compiuta. Amo questa tua serietà come alla pur bella primavera preferisco i primi mesi d’estate quando già si intuisce che i fiori si trasformeranno in frutti… E poi tu per me sarai giovane per sempre. Non ti preoccupare degli anni che passano, dei capelli che si fanno via via più grigi, di nulla; ciò che aleggia sempre sul tuo volto, conferendogli la freschezza e la bellezza che lo contraddistinguono. Il nostro Dio ti protegga. Il tuo Albert” – Strasburgo – Venerdì mattina, 25 gennaio 1907
“Caro Albert, sono così triste d’essere così sciocca – tu aspetti una mia risposta, e la mia testa è confusa e non riesco più a ritrovare il filo dei miei pensieri. È l’una, e so soltanto che si trattava di dolore e compassione – che amica sciocca, povero caro, che si trascina attraverso la propria vita. Durante la notte m’era tornato in mente, e non lo so esprimere di nuovo. Pensavo alla fedeltà nelle piccole cose, nel soffrire come nel sacrificarsi, che le grandi cose si sopportano facilmente, quasi in una sorta di estasi, e che sono le piccole, invece, a risultare davvero difficili e a sfinire. E al fatto che spesso, senza volere e senza accorgersene, feriamo e facciamo soffrire coloro che ci stanno intorno con delle piccolezze: cattive abitudini, una natura che non si sa dominare, e che quando i nostri sono irritabili e intolleranti nei nostri confronti, dovremmo per prima cosa domandarci: non li abbiamo forse fatti soffrire senza rendercene conto? Perché nulla ci fa soffrire più che vedere affetti da debolezze umane coloro che amiamo e stimiamo profondamente, e che vorremmo perfetti. (Per i bambini, scoprire che anche i loro genitori hanno dei difetti è una grande sofferenza). E poi, in genere, l’intensità della nostra sofferenza è proporzionata alla nostra capacità di amare. Ogni sensazione vera e forte è un dolore. Sta a noi soffrire non in modo passivo ma attivo, non subire la sofferenza con “rassegnazione” (!), senza esserne intimamente toccati e trasformati, ma viverla come un’esperienza , afferrarla nelle proprie mani, trasformarla in valore. Soffrire consapevolmente – senza risentimento – attivando nuove risorse, e perciò capaci di soffrire per e con gli altri.. Héléne” Strasburgo – Giovedì 21 febbraio 1907
La fitta corrispondenza nel corso degli anni si è fatta più intensa insinuandosi un tenero affetto a cominciare da quel delicato appellativo di “Gentilissima Signorina, lui, “Mio caro amico”, lei; per poi proseguire con “Mia cara compagna” e Amico mio”. A conclusione, cito ancora un breve passaggio di Hélène: «… io conosco il mio destino, so qual è: un destino di donna in tutta la sua pienezza, in un altro senso, però, e senza quello che usualmente costituisce la piena felicità d’una donna. Un’attrazione continua verso – e una lotta incessante contro – il desiderio, con il proposito cosciente di riuscire a smorzarlo, ma anche di riuscire a conservarlo. Amico mio, la cosa migliore che sia stata posta in cuore a noi donne, il meglio che abbiamo da dare all’uomo che amiamo, è la nostra abnegazione; privandosene la donna si rivivrebbe di ciò che costituisce la quintessenza della femminilità. E l’unico timore che ho è quello di poter smarrire questo senso di abnegazione…». È evidente che la profondità di questi sentimenti rispecchiano un’epoca assai lontana, in cui modernità e distrazioni non esistevano, e ciò che contava di più era la Persona in quanto tale, i suoi valori nel considerare la propria vita (ed altrui), un credo e un dovere inalienabili, favorendo così l’amore reciproco, per il prossimo e per la Natura. Chissà se il ministro dell’Istruzione vorrà far inserire nei programmi scolastici l’esperienza di questi due protagonisti come lezione di Educazione morale… forse i femminicidi potrebbero cominciare a diminuire.