PER AFFRONTARE IL MALE E PER GIUNGERE ALLA PACE

Sono necessari una più incisiva moralità e “coraggio” invitando tutti i combattenti a deporre le armi…  oggi e sempre

di Ernesto Bodini (giornalista e divulgare di tematiche sociali)

Da più parti, e soprattutto da voci autorevoli ancorché istituzionali, si sente dire ripetutamente di porre fine ai conflitti e invocando quindi la pace tra i popoli. È un ripetersi più che quotidiano: dai seggi di questo o quel Parlamento e dalla finestra di piazza San Pietro, ma non c’è verso che si venga ascoltati. Forse lor “signori” non hanno compreso, o hanno un altro modo di intendere che, finché esistono despoti e tiranni di qualunque etnia e fede religiosa, i conflitti non cesseranno; ma soprattutto non potranno aver fine finché non si inviteranno tutti i soldati a non imbracciare le armi ogni giorno: non è retorico affermare che imbracciare un’arma (qualunque essa sia) e andare al fronte, significa andare deliberatamente ad uccidere… per offesa o difesa. Ora, ipotizzando (e ciò non è totale utopia) che se tutti coloro che sono deputati a combattere dovessero depositare le proprie armi, d’incanto cesserebbero i conflitti e di conseguenza despoti e tiranni sarebbero isolati… se non addirittura esiliati. Del resto ben sentenziava Immanuel Kant (1724-1804): «La guerra è solo un triste espediente per affermare il proprio diritto con la violenza». Queste mie considerazioni, che sono sostenute da ancestrale convinzione, apparentemente possono apparire ideologiche o per certi versi volte all’estremismo, ma niente di tutto ciò, anche perché a nessuno sinora è venuto in mente (o non si ha notizia) di quanto poco sopra suggerito: personalmente se fossi Papa o Capo di Stato oserei suggerire quanto detto. Del resto chi non vuole la pace? Ma purtroppo bisogna fare i conti con un’altra realtà, ossia le lobby che fabbricano armi, una produzione alquanto assai redditizia e per certi versi “necessaria” per fornire le Forze dell’Ordine, oltre al fatto che la criminalità trova sempre il modo di procurarsele, ovviamente illegalmente ma che comunque da qualche ditta sono state prodotte… Ma oltre ai consistenti conflitti in Europa e in Oriente (e anche altrove), sono sempre più in ascesa i delitti comuni un po’ ovuque e, ad ogni tale evento, per contestare si organizzano cortei e fiaccolate seguite da striscioni con scritte che rasentano ogni volta la retorica e, ovviamente, nulla cambia: si continua a morire uccidendo in massa o individualmente. Ecco una società che si comporta come i gamberi: due passi avanti e tre indietro, un modo irrazionale per dare un senso alla vita di tutti noi, come se non bastassero i decessi a causa delle molte malattie e delle infinite calamità naturali! Dando per scontato che quelli che consideriamo Paesi civili ed evoluti anche culturalmente sono una moltitudine, tale evoluzione non trova spazio per tutto ciò che è razionale cominciando a considerare il valore della vita umana, un diritto-dovere che ci è stato donato e che certe “forma mentis” non concepiscono chissà per quale ancestrale ragione.

La mia passione di biografo mi ha portato a conoscere la filosofia e l’operato di alcuni filosofi e di qualche filantropo, i quali hanno cercato di entrare nel profondo dell’animo umano mettendo in primo piano la Persona come entità al di sopra dei beni materiali, ma senza  riuscire a spiegare sino in fondo ogni comportamento irrazionale: tra esseri umani, contro gli animali e contro i beni della Natura. A questo proposito il medico-filantropo alsaziano Albert Schweitzer (1875-1965) sosteneva: «L’uomo non troverà la pace interiore finché non imparerà ad estendere  la propria compassione a tutti gli esseri viventi». Vorrei concludere quanto sinora detto con una mia ulteriore personale considerazione in fatto di moralità. L’amara soddisfazione che si prova nel voler dimostrare che i nostri simili hanno sempre torto (specie quando promettono pace e non la garantiscono), è il primo sintomo che dà adito ad un inizio di stato immorale con effetti deleteri che si ripercuotono sul nostro modo d’essere; di conseguenza resta così poco spazio per le buone intenzioni ed i rapporti civili tra gli uomini si incrinano vicendevolmente, e questo, con la prerogativa di dover ammettere che l’umanità è irrimediabilmente “penalizzata” sotto l’aspetto della socializzazione. Le difficoltà aumentano e convivere diventa soltanto un fatto pressoché soggettivo: convivere con sé stessi, è questo l’inevitabile risultato che ne può derivare. Se quanto affermato venisse recepito dai suddetti al potere della comunicazione sociale forse, e ripeto forse, si potrà parlare di un valido contributo alla seria moralità… e alla sospirata pace.

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