L’informazione nell’era della pre-mediazione

di Marcella Onnis
Tutti fruiamo di informazioni e tutti, consapevolmente o meno, informazioni ne forniamo. Come rinunciare, dunque, a seguire l’incontro “L’informazione nell’era della mediazione radicale”, inserito nel ciclo degli “Accenti” del XXI Festivaletteratura di Mantova? [Segnalo che, anche per l’edizione 2017, sul sito del Festival sono disponibili tutti i video degli “Accenti”.]
Ad affrontare questo tema è stato l’esperto di new media Richard Grusin, intervenuto in teleconferenza via Skype, affiancato in loco dall’interprete Peter Mead e da Massimo Cutugno e Angela Maiello per le due riviste on line La Balena Bianca e Lavoro culturale, che hanno curato l’incontro in collaborazione con il Festival.
Per Grusin – ha spiegato Maiello – a partire dall’11 settembre si è fatta largo «una nuova logica mediale che non opera sul presente ma sul futuro, anticipandolo» e che lui ha chiamato “pre-mediazione”. A spiegare meglio questo concetto è stato il suo stesso ideatore: «Prima i notiziari erano concentrati sul passato immediato: la mediazione in quest’ottica si riferiva al passato. Successivamente, con la tv in diretta la notizia acquisiva carattere di immediatezza (il cosiddetto breaking news). Invece, con la chiusura dell’era della breaking news e l’avvento dei social media la preoccupazione non è più tanto sapere cosa sta accadendo ma cosa sta per accadere». Ed è proprio questo l’approccio informativo che lui definisce “pre-mediazione”, che non è un fenomeno degli ultimi anni, peraltro: Grusin ne ha citato un esempio risalente al 2002-2003, quando i media iniziarono a concentrarsi sull’imminente guerra in Iraq. E, a suo parere, c’è una ragione precisa per cui c’è stata quest’evoluzione: «Era una risposta, in un certo modo, all’attacco alle Torri gemelle, a quel momento in cui il mondo aveva visto in diretta le Torri bruciare. Per prevenire lo shock che eventi del genere possono generare, i media si sono preoccupati di prevedere quegli eventi stessi». I social media sono entrati in ballo dopo, intensificando la pre-mediazione, ha spiegato Grusin. Come? Molto semplice: quando usiamo i media come Twitter, Facebook, Instagram, Tumblr… non ci interessa tanto l’immediatezza del nostro messaggio, ma «l’immediata risposta a questo messaggio: retweet, like, condivisioni… Vogliamo avere una risposta emotiva. È come se stessimo vivendo in due momenti distinti: fisicamente nel presente e in anticipo sul futuro» E un esempio attuale di pre-mediazione è la discussione sul possibile conflitto con la Corea del Nord.
Ovviamente, nel suo intervento non è mancato un riferimento a Trump e anche qui Grusin ha espresso un interessante (e condivisibilissimo) punto di vista: la campagna condotta dai media contro di lui è responsabile della sua vittoria. Quest’ultima è stata per lui «una pubblicità gratuita del valore di miliardi di dollari perché ci si è occupati solo di lui e non degli altri 15 candidati!». Non solo: «I media hanno usato anche tecniche di pre-mediazione che lo hanno aiutato e di cui nessun altro candidato ha potuto beneficiare». Ne è un esempio l’analisi che è stata fatta di quelli che sarebbero potuti essere i primi 100 giorni di Presidenza Trump in caso di sua vittoria: con queste analisi «hanno fatto sì che la sua elezione sembrasse normale, possibile, seppure queste anticipazioni fossero critiche».
In chiusura dell’incontro Angela Maiello ha rimarcato come la pre-mediazione finora sia stata fondamentalmente uno strumento dei poteri forti, uno strumento per la loro affermazione. Ha chiesto, quindi, a Grusin, «anche per risollevare l’umore della platea», se ritenga possibile usare questa stessa logica mediale per messaggi contrari, per far affermare utopie. Esordendo con un «optimism can be hard to come back» (può essere difficile che l’ottimismo torni), l’esperto di new media ha risposto che quella di cui gli è stato chiesto è «una contro-mediazione» e che uno dei problemi causati dai social media è che vengono usati per proporre molte fake news. Secondo Grusin, «una risposta possibile è correggerle presentando i fatti veri, anche se non è una risposta necessariamente efficace. Il problema dei media è che non funzionano in base alla verità ma all’impatto emotivo, alla sensazione», dunque, «la contro-mediazione dovrebbe puntare al contro-futuro, a un futuro alternativo e positivo». Ma questo, ha aggiunto, richiede una cooperazione tra persone che vivono in più parti del mondo e che sono in grado di impostare un rapporto costruttivo e non necessariamente critico. «Non dobbiamo pensare di passare tutto il nostro tempo a correggere le fake news. Dobbiamo auspicare un futuro più positivo!» And yes, we can.