Le streghe di Benevento

 

La notte di Halloween a Baselice, in provincia di Benevento, può diventare qualcosa di più di una serata all’insegna di zucche decorate e di maschere da fantasmi se ti imbatti in qualche anziano del luogo che ti racconta aneddoti sulle popolari streghe di Benevento.
Seduti davanti ad un camino acceso, gli anziani del paese narrano storie ormai diventate leggende per i più giovani, tante storie di donne ritenute streghe che, almeno fino a qualche decennio fa, terrorizzavano questo piccolo paesino campano; donne che diventavano automaticamente streghe se nate la notte di Natale o che venivano addestrate dalle più anziane nelle grotte di tufo della zona. Ti narrano che le streghe del Beneventano, chiamate “janare”, erano specializzate nel fare dispetti alla gente del luogo: disturbavano il sonno dei bambini mentre dormivano torcendogli i piedi o spostandoli da un letto all’altro, bussavano alle porte di chi dormiva, tiravano i piedi durante la notte, soffiavano sul viso delle persone coricate. Molto spesso i contadini del luogo trovavano al mattino le criniere dei loro cavalli intrecciate e completamente inzuppate di sudore: erano le streghe che sottraevano i cavalli durante la notte e li facevano correre e stancare cosicchè il loro cuore scoppiasse e i contadini fossero privati di un animale essenziale nelle fattorie.
Quando lo sfondo di questi racconti è un paesino di nemmeno 3000 anime aggrappato alle montagne, silenzioso e tranquillo, immerso in una fitta nebbia di fine ottobre, un brivido di paura è assicurato, che si creda o meno a queste leggende.
Nessuno comunque sa per certo se le streghe siano mai esistite; è certo solo che questa leggenda rivive davanti a un camino acceso ogni volta che qualche anziano la racconta in quel dialetto così marcato, sprigionando quasi nell’aria l’odore di quei tempi lontani così affascinanti e così misteriosi. Fino a qualche decennio fa però questo racconto era una vera e propria storia di paura, dove non solo gli episodi strani o inspiegabili che accadevano frequentemente venivano attribuiti alle streghe, ma anche ogni sorta di disgrazia, secondo la credenza popolare, era causata da queste donne votate al male: ogni bambino che all’epoca nasceva malformato era stato vittima di un dispetto fatto da una strega, così come un raccolto andato male o una malattia improvvisa. Erano attribuiti alle streghe aborti, handicap nonché gli avvenimenti più tragici. C’era la paura di essere colpiti dalle malevolenze delle streghe e spesso si metteva mano al portafoglio pur di proteggersi e difendersi, si sperava che pagando fattucchiere e costose pozioni si riuscissero a togliere malocchi e maledizioni.
La leggenda da ascoltare oggi vicino al fuoco era quindi, poco meno di un secolo fa, un capro espiatorio di molti mali, una superstizione che superava la razionalità: fu nella prima metà del secolo scorso che a Baselice una donna di nome Coletta, sospettata di essere una strega, venne uccisa a bastonate da un gruppo di persone che le tesero un agguato. Coletta era accusata di aver procurato malformazioni a molti bambini, di aver reso sterili molte donne e di aver compiuto numerose maledizioni. Il suo corpo venne spezzato in tre parti gettate in tre buche diverse del paese affinché non potessero ricongiungersi mai e mai tornare a fare del male. Venne uccisa dalla superstizione di chi la credeva una temibile “janara”, colpa per il quale l’unica prigione che meritò fu una morte atroce; superstizione dettata dalla paura sfrenata che qualcosa di ignoto e di inspiegabile potesse nuocere.
Ricorda il racconto del poeta Lucrezio che, nel I secolo a.C., descrisse qualcosa di simile nel “De Rerum Natura”: la giovane Ifigenia uccisa dal padre in nome di una vana credenza che voleva il sangue di sua figlia come buon auspicio per la partenza della sua flotta.
“Tantum potuit religio suadere malorum”, concluse Lucrezio: “a tali mali riuscì a indurre la superstizione”.
 
Grazia D’Onofrio

2 thoughts on “Le streghe di Benevento

  1. “janare” mi ha fatto pensare alle nostre “janas” (e con nostre intendo della Sardegna), che però sono fatine e sono buone! Come sempre è un piacere leggerti, Grazia

  2. Questi racconti popolari che hanno il sapore della fiaba è importante che riemergano alla luce dal passato non come relitti, ma come tesori, e la tua penna è un veicolo per farlo. Nonostante l’oggi vuole che lo si edifichi proiettandoci verso l’immediatezza e la globalità è impensabile riuscire a farlo, o sostenerne lo slancio, ignorando con quali “mattoni” ne siano state prima costruite le fondamenta, e quindi il passato. “Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente” ha detto Indro Montanelli ed è vero perchè la storia -e le storie!- non è un pugno di polvere, è esperienza e testimonianza e ognuno di noi nè e in modo imprescindibile e simultaneo prodotto e fattore. Trovo il tuo articolo, per concludere, una via molto originale e acuta per rendere omaggio al centocinquantesimo anniversario dell’ITALIA, di quella vera che è nelle mani e nelle parole delle persone comuni e che con la sua UNITA’ ha reso ogni italiano FIGLIO e CUSTODE delle tradizioni popolari e dei suoi racconti.

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