IL DELICATO “RITUALE” DELLE COMUNICAZIONI OLOGRAFE BREVI

Ogni forma di augurio e di dedica solitamente sono ben accolte da chi li riceve, ma la consuetudine talvolta non è priva di retorica, se non anche di ipocrisia, tant’è che una volta individuate, sarebbe bene interrompere tale modo di comunicare ed eventualmente anche il rapporto instaurato. Utile sarebbe avvicinarsi alla Grafologia per comprendere i tratti della personalità di chi ci scrive.

di  Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)

Chi nella vita non ha avuto occasione di scrivere una lettera, ma soprattutto un semplice biglietto di auguri e/o di congratulazioni, o più semplicemente di saluto per le più diverse circostanze? Per anni per la nostra cultura italiana ha attuato questa consuetudine coinvolgendo i più diversi ceti socio-culturali, ed ognuno si è espresso con le routinarie o fantasiose espressioni per questa o quella circostanza. Ma quasi tutti hanno usato le seguenti frasi: “Con i più fervidi auguri”, “Felicitazioni”, “Sentite condoglianze”, “Profondamente grato”, “Con immutata stima”, “Perennemente grato, “Con simpatia”, “Ben augurando”, “Con affetto”, “A presto”, etc. Sino a non molti anni fa questo frasario rientrava nella norma in forma epistolare cartacea, ma con l’avvento dei cellulari e dei vari social dalle molteplici funzioni, le frasi di circostanza a mio avviso hanno perso la loro reale “identità”, per non dire sincerità (rarissime eccezioni a parte) a causa della ulteriore brevità e di dubbia interpretazione… per non parlare delle frasi precostituite (ossia quella già stampate) quindi prive di personalizzazione. Questo moderno modo di comunicare rientra in quel malcostume che identifica come le persone si siano allontanate dai veri sentimenti, oltre al disuso nello scrivere una sentita ed appropriata lettera di condoglianze e, a questo riguardo, l’ipocrisia vuole che alle cerimonie funebri seguendo il feretro si partecipi con fragorosi appalusi oltre a “regalare” al cielo una miriade di palloncini, che il defunto non potrà mai udire e vedere. L’abitudine dei contemporanei di ringraziare ad alta voce o per iscritto chi ha lasciato la vita terrena, è una forma espressiva plateale, talvolta, di esibizionismo per attirare l’attenzione su di sé anche se più raramente si può pensare a qualche eccezione intenzionale intesa come spontaneità… Per quanto riguarda le dediche le mie considerazioni sono più meno le stesse, e devo dire che in non pochi casi, per quanto sentite, con il tempo hanno perso il loro effetto essendo venuto meno il rapporto tra l’estensore e il destinatario e ciò, a mio avviso, equivale al ricredersi in ciò che si è voluto dedicare. È pur vero che alcuni eventi (imprevisti o meno) hanno causato l’allontanamento tra le parti, ma è altrettanto vero che quando si considera una persona, soprattutto per iscritto, si è convinti (o si dovrebbe esserlo) del concetto che si vuole esprimere in quella dedica. Queste mie constatazioni sono certamente lapidarie ma sono avverse all’ipocrisia. Inoltre, quando viene meno il rapporto di amicizia ed affettivo con una persona, solitamente si tende a non commentare tale termine, mentre se lo si vuole “giustificare” per iscritto la controparte inevitabilmente prova del risentimento, probabilmente perché non se lo aspetta, ed è un po’ come dire che la verità offende e ciò è niente di più vero. Quindi le fonti imputabili sono anche i mezzi di comunicazione e la tendenza nell’essere poco “diplomatici”, ma personalmente non confonderei la diplomazia con la sincerità nel comunicare ciò che si ritiene giusto, anche a costo di diventare impopolari e collocati tra gli indesiderati. Atteggiamento, questo, che rientra nella cosiddetta onestà intellettuale! Ed è proprio nel comunicare che ciascuno di noi sfodera la propria personalità e, chi crede nella grafologia, ad esempio, i tratti personali emergono proprio dalla grafia. Ricordo che anni fa da una persona (anonima) che stava preparando un esame in Grafologia, per “esercitarsi” mi fu chiesto (per interposta persona) di farle pervenire un mio breve scritto (in forma anonima) su un semplice pezzo di carta. Ebbene, il responso che mi fece pervenire in seguito (e che ancora conservo) rispecchia tuttora esattamente tutti i tratti della mia personalità, compreso il dubbio relativamente ad una mia situazione patologica che, anche questa, corrisponde al vero in quanto cronica. Di ciarlatani e simili ne è pieno il mondo, come pure millantatori che praticano le cosiddette scienze occulte con la presunzione di predire il futuro attraverso l’oroscopo, che spesso affermano di saper personalizzare al massimo…

Mentre la Grafologia è ormai una scienza dotata di una certa attendibilità tanto da essere richiesta dai tribunali come consulenza, e che se venisse applicata agli autori di quei “retorici” biglietti di circostanza e di dediche, sicuramente si trarrebbe un quadro della loro personalità assai desolante che, purtroppo rispecchia sempre più la realtà attuale. Un’ultima considerazione. Scrivere o astenersi nelle circostanze cosiddette “d’obbligo e formali”? Esprimere un pensiero con sincera dedizione è certamente cosa piacevole per il ricevente (e ovviamente anche per l’estensore), ma vi sono delle circostanze che in caso di dediche sulle basi dell’amicizia, con il tempo perdono significato per una serie di ragioni, tra le quali l’aver constatato nel nostro destinatario tratti della sua personalità e quindi del suo carattere che non si sono manifestati all’inizio della conoscenza, ma anche fraintendimenti, non condivisione di tempi e modalità di frequentazione, e magari di una qualsiasi forma di collaborazione. Quindi, queste ed altre cause possono determinare il venir meno di una intesa che era preludio ad una possibile reciproca comprensione ma confluita poi nella rottura del rapporto. Ma perché queste azioni-reazioni? Bisogna considerare che per antonomasia la mente umana è molto volubile e quindi imprevedibile e, a mio avviso, i mezzi di comunicazione e soprattutto gli “eccessi” di libertà di pensiero e di parola favoriscono il minor rispetto fra le persone. In buona sostanza, da sempre sostengo che quando vengono meno le intese anche di un semplice rapporto di amicizia, se di amicizia si può parlare, è saggio interromperlo… possibilmente in silenzio senza dare giustificazioni con il rischio di ferire il destinatario. Del resto, Seneca (4 a.C. – 65 d.C.) sosteneva che «non dobbiamo avere paura di tagliare i legami con le vecchie relazioni, quando queste non ci portano alcun beneficio, e non dobbiamo nemmeno avere paura di conoscere nuove persone». Saggezza che nel secondo caso a mio avviso richiede oggi maggior cautela, proprio per evitare di deludere e di essere delusi!

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