Lettera aperta a Carmelo Musumeci

Ernesto Bodini

Egregio Signor Carmelo Dr Musumeci,
da tempo, nel mio “silenzio”, seguo vicende dei vari aspetti che riguardano la Giustizia italiana, con particolare interesse per i detenuti innocenti che, dal dopoguerra ad oggi, sono stati oltre 4 milioni. Una vera “ecatombe” i cui interessati si sono visti spogliati della loro libertà, dei loro diritti ed ancor peggio della loro dignità. Una realtà che persiste tuttora e che non ha sortito alcun effetto risolutivo, tant’è che nell’ultimo ventennio questa “popolazione” ammonta ad oltre ventimila persone. Di ciò, come libero cittadino (e non certo privo di difetti) non riesco a capacitarmi, e continuo a chiedermi quali siano i limiti umani da parte di chi è preposto a giudicare, sentenziare, condannare… modificando il destino di una Persona. Costoro, come ebbi modo di ricordare alcuni anni fa in un convegno di Criminologia e Psichiatria, in qualità di divulgatore, devono essere anzitutto coscienti dei propri limiti e quindi dei propri possibili errori: «Un errore giudiziario – scriveva negli anni ’50 il giudice e scrittore Domenico Riccardo Peretti Griva (Torino 1882-1962) – rappresenta l’angoscia del magistrato, soprattutto quando investe la libertà della persona… L’errore è un vero tarlo nella coscienza dei giudici per bene». E, a mio avviso, l’errore può essere commesso nel non avere ulteriori orizzonti…

Ma altrettanta riflessione (sempre nel mio silenzio) da tempo la sto dedicando a realtà come la Sua, a Persone che pur avendo sbagliato, e per quanto scontino la pena loro inflitta, non sono più considerate come tali; mentre a fronte del fatto che sono conscie dei torti commessi nei confronti dei loro simili, lo sono altrettanto nel dovere-diritto di ravvedersi volendosi dedicare a propositi umanitari, invocando nel contempo il diritto di riprendere quella dignità un tempo perduta… forse ancor prima di commettere il reato! Ho seguito la Sua storia attraverso i vari social network, attento alle Sue affermazioni, che credo non tutti abbiano colto non solo come mero pentimento ma soprattutto come obiettiva consapevolezza che di fronte a Dio e al popolo, a mio parere, la dignità di un essere umano non può essere alienata. E che dire di quell’agire in controtendenza che i preposti “giudicanti” non sono in linea con i principi della Costituzione (art. 27), che nella fattispecie la punizione del reo deve essere orientata alla sua riabilitazione, e non certo applicando la detenzione ostativa? Io credo che prolungare una pena, oltre una certa misura, potrebbe “modificare” le radici della personalità dell’individuo-persona detenuto, ancorché orientato a rivedere sé stesso, impegnando il tempo della detenzione acculturandosi, istruendosi e magari progettando azioni benefiche da poter esercitare, non tanto come espiazione ma come sentito dovere di utilità nei confronti di chi versa in condizioni di maggior bisogno. Inoltre, non vanno sottaciuti gli affetti famigliari di tutti quei detenuti che, se non considerati, rischiano di essere anch’essi messi alla pari dei loro congiunti. Conseguenza deleteria… del tutto irresponsabile!

Ernesto BodiniEd è proprio l’inesorabile costanza di un affetto famigliare che deve “indurre” le Istituzioni a far sì che la Persona congiunta non debba perire (ad oltranza), né in luogo di detenzione né altrove. Ma tant’è. L’uomo deputato a giudicare vede sempre il reato quale azione da perseguire, e con esso chi ne è responsabile; mentre sarebbe più razionale (ed umano) considerare parimenti i valori (seppur residui, ma presenti) di quest’ultimo, poiché il principio di libertà e di uguaglianza è proprio di tutti gli uomini. Un progresso sociale che deve essere tale di fronte alla legge, che Voltaire (1694-1798) e Montesquieu (1689-1755) hanno cercato di far valere. Ed ancora più incisivo è stato il contributo di Beccaria (1738-1794), la cui opera “Dei delitti e delle pene” influenzò già nel XVIII secolo le Riforme delle legislazioni penali di numerosi Stati italiani ed europei, in quanto si fondava sui concetti di dignità umana e certezza del diritto… Anche se questa valutazione è sicuramente mutata ed ampliata, resta il fatto che una detenzione ostativa, anche a parer mio, non certo contribuisce a migliorare la Persona, ma al contrario, la relega negli abissi della perdizione psico-fisica e spirituale, contravvenendo al “vero” e serio proposito di reinserimento, creando probabilmente ulteriori “figli” dell’indesiderato e deleterio malessere esistenziale.

Ernesto Bodini
(giornalista scientifico – opinionista)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *