Vincere l’omertà: le proposte operative di SardegnaSoprattutto

dibattitoa Cagliari su criminalità in sardegna

dibattitoa Cagliari su criminalità in sardegnadi Marcella Onnis

Lunedì 7 novembre 2016 si è svolto a Cagliari, presso la Biblioteca universitaria, un dibattito organizzato da SardegnaSoprattutto, moderato dalla giornalista Susi Ronchi e scaturito dalla pubblicazione del libro di Antonietta Mazzette e Daniele PulinoGli attentati in Sardegna. Scena e retroscena della violenza”. Tra gli elementi emersi nel corso del dibattito, su cui ci siamo ampiamente soffermati in un altro articolo, il fatto che nella maggioranza dei casi i responsabili degli attentati non vengano individuati e puniti. Un risultato sconfortante che si deve non solo all’inefficacia dell’azione dello Stato e della politica ma spesso anche all’omertà delle comunità interessate.

Per il giornalista Umberto Cocco, ex Sindaco di Sedilo in passato vittima di attentati intimidatori, si può dire che «non ci sono segreti sugli attentati»: chi è stato si sa, anche quando non si dice e non si scopre. Per Ester Gessa, Direttrice della Biblioteca universitaria, l’omertà – che spesso si traduce in connivenza – è una delle cause del persistere della violenza e «non va scemando». Eppure, ha fatto presente, in Sardegna già nel Medioevo la Carta de Logu prevedeva una sanzione per la comunità che non collaborasse alla cattura del colpevole di un reato.

EDUCARE I GIOVANI ALLA LEGALITÀ – Per sconfiggere l’omertà, la cultura si rivela ancora una volta utile strumento, in particolare se volta a educare i giovani ai valori della legalità e della responsabilità, ha affermato ancora Ester Gessa. E Paola Uscidda, Comandante della Polizia penitenziaria del carcere di Uta, ha successivamente precisato che l’educazione deve partire dai più piccoli perché «la violenza sta entrando nel vissuto quotidiano dei nostri bambini». Sconcertante apprendere da lei che, secondo studi condotti negli Stati Uniti, i bambini – per via dell’uso di televisione, tablet, videogames… – sono «mediamente esposti a 6-8 ore di violenza quotidiana». Per il presidente dell’Ordine degli avvocati di Cagliari Rita Dedola occorre, in particolare, interrompere la catena con cui trasmettiamo ai piccoli quelle “regole” come «la spia non si fa» che, a suo tempo, hanno trasmesso a noi ma che contrastano con la promozione del valore della legalità e del dovere di denuncia. E di esempi ne potremmo aggiungere altri, come le “minacce” rivolte ai bambini in cui gli adulti dipingono i carabinieri e, in generale, le Forze dell’ordine come l’Uomo nero, entità negativa da temere anziché positiva, da rispettare e su cui contare.

CAMBIARE MODELLI E MENTALITÀ – Per il giornalista Umberto Cocco il lavoro di prevenzione sarà lungo, anche perché la sua riflessione parte dal drastico presupposto che «gli attentati provengono da una fascia di persone non raggiungibili da alcuna pedagogia». A suo parere, pertanto, occorre lavorare ponendosi davanti un orizzonte di decenni: tanto sarebbe, infatti, necessario per diffondere tra i giovani nuovi modelli positivi che superino quello del balente (aggregato di disvalori quali l’esaltazione dell’orgoglio, la violenza e, chiaramente, l’omertà), ancora diffuso nelle zone interne e ormai “esportato” anche nelle città.

Concorde sulla necessità di sconfiggere l’omertà anche Maria Antonietta Mongiu, Presidente regionale del FAI ed ex Assessore regionale della Pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport, che ha colto l’occasione per segnalare l’assenza in Sardegna di studi sulla mentalità e sulla trasmissione dei suoi contenuti, a partire da quel “Non ti immischiare” che per lei «si chiama mafia». Cruciale per lei è l’approccio pedagogico dominante che spinge l’individuo a stare in gruppo, perché la lealtà al gruppo può avere due esiti: quello negativo, che porta all’omertà e alla connivenza se non alla complicità, o quello positivo, che contribuisce a rafforzare i legami sociali e il senso civico in difesa dei beni collettivi quale è anche il paesaggio, come dimostra l’esperienza da lei finora maturata nel FAI. Per questo, a suo parere, servono una «pedagogia sociale» e una «società educante» che scardinino le logiche mafiose: «Se metti insieme le persone, i risultati li ottieni», soprattutto lavorando sui giovani, ha affermato.

susi ronchi, giuliana perrotta e antonietta mazzetteDa segnalare, però, anche l’annotazione di Antonietta Mazzette, coordinatrice dell’Osservatorio sociale sulla criminalità (OSCRIM) dell’Università di Sassari, sul fatto che gli attentati in Sardegna abbiano «preso una connotazione forte» solo a partire dal 1983, elemento che la porta ad affermare che questo fenomeno «tanto tradizionale non è» ed ha, quindi, anche cause diverse dalla mentalità.

“L’OMERTÀ ESISTE DAPPERTUTTO” – Il sociologo Nicolò Migheli ha ulteriormente messo a fuoco il problema dell’omertà precisando che questa non è solo un «meccanismo di solidarietà, di protezione del clan» ma è anche un «meccanismo di autoprotezione». Non a caso, ha rimarcato, gli attentati in Sardegna sono più numerosi nei paesi più piccoli, dove è più facile venire a sapere la verità ma è anche più alto «il blocco a parlare». A suo parere, tuttavia, non bisogna ignorare la capacità delle comunità di reagire alla violenza. Capacità che, peraltro, in alcuni degli esempi virtuosi da lui citati, si è manifestata proprio in quegli ambienti agropastorali additati come luoghi omertosi per eccellenza. Da qui, dunque, il suo invito a «non cadere nello stereotipo: l’omertà esiste dappertutto».

gessa-ronchi-perrotta-usciddaINVESTIRE SULLA GIUSTIZIA – E dappertutto per sconfiggerla è cruciale il ruolo dello Stato (in un successivo articolo racconteremo quanto detto nel corso del dibattito riguardo al contrasto dell’omertà in carcere). Anche il prefetto di Cagliari Giuliana Perrotta ha ammesso che, per chi osserva questi fenomeni, «esortare a denunciare è facile», ma che le cose cambiano quando ci si trova nel mezzo di queste situazioni perché «a volte si rimane soli». Lo Stato non sempre accompagna e protegge, a volte per incuria, a volte perché a corto di risorse, anche umane, e perché imbrigliato nelle procedure. Come ha ricordato il prefetto, per esempio, raccolta una testimonianza, occorre sempre vagliarne l’attendibilità. Sulla stessa linea Rita Dedola la quale, dopo aver ribadito che lo Stato deve proteggere sino alla fine chi denuncia, ha sottolineato quanto sia dura e solitaria la vita dei testimoni di giustizia. Per il Presidente dell’Ordine degli avvocati di Cagliari, la prima cosa che lo Stato dovrebbe fare è «investire sulla Giustizia» perché «non bastano le telecamere». A suo parere, inoltre, anche la chiusura delle caserme nei piccoli centri ha indebolito la capacità dello Stato di far sentire la sua presenza sul territorio e di instaurare un legame collaborativo con le comunità. «La giustizia deve essere immediata, ma per esserlo deve avere i mezzi» ha concluso.

 

 

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