Viale Trastevere, Mirafiori. Le riflessioni di un lettore

Ci hanno scritto:

Lo scorso gennaio, all’indomani dell’accordo di Mirafiori tra metalmeccanici e Fiat, Brunetta lo aveva promesso: “adesso il modello- Marchionne anche nel pubblico”. Qualche mese di tempo, ecco che la promessa è stata mantenuta a giugno, nel tavolo che ha visti riuniti insieme i Ministri di Economia, Istruzione e Pubblica Amministrazione da un lato, Cgil, Cisl, Uil, Gilda dall’altra (forse) parte per siglare la più grossa presa in giro dell’estate: un piano di assunzioni, triennali, di 67.000 precari (di cui 30.000 personale ATA) nella scuola pubblica in cambio del blocco degli scatti di anzianità e di un certo numero di contributi previdenziali, oltre ad una concentrazione di immissioni in ruolo sbilanciata verso il Settentrione.

Per l’esattezza, il piano prevede che il 50% del contingente per le assunzioni potrebbe concentrarsi in  cinque regioni del Nord- Italia (Lombardia, Veneto, Piemonte, Toscana ed Emilia) mentre ad una regione come la Sicilia verrebbe riservato appena il 3,5 % dei posti; un docente con tre anni di servizio andrà a perdere in media 5.904 Euro nella scuola secondaria; di contro, al rinnovo contrattuale, se non si saranno raggiunti gli 8 anni di servizio, ne conseguirà un taglio anche sugli aumenti percentuali e sulla pensione. Insomma, ci sono tutti i presupposti per affermare che la svalutazione ed il basso costo del lavoro, sul modello delle fabbriche cinesi, indiane o bangladesi, è approdato anche nel Made in Italy, dopo essere stato interpretato a uso e consumo personale da un brillante manager (che guadagna 500 volte quanto un suo dipendente, è sempre bene ricordarcelo ogni tanto) all’interno di un’azienda che da 112 anni è sopravvissuta come parastatale ma che all’improvviso ha scoperto la sua vocazione globale (almeno Marchionne abbia la decenza di ammettere che la TATA non ha mai preso un soldo dal governo dell’India), questa svalutazione, dicevamo, è entrata di fatto nel settore pubblico italiano, e all’interno di questo il ruolo di cavia non poteva spettare che alla fascia più debole, quella degli insegnanti. Naturalmente, la stampa e i Tg hanno evidenziato, agli occhi del grande pubblico, solo la parte buona (ma nemmeno tanto) delle assunzione in ruolo di personale precario; ma, oltre al ricatto che prevedeva le rinunce già accennate, nessuno si è sognato di dire che nel prossimo triennio ci saranno 90.000 pensionamenti nel personale docente italiano, il che vuol dire che, se la matematica non è un opinione, a fronte delle 30.000 immissioni resterebbe un vuoto di 60.000 posti. Come è possibile colmare questo vuoto? Semplice, tagliando le stesse cattedre, tramite l’accorpamento di classi, che eguaglieranno una densità di popolazione degna di Mumbai, eludendo qualsiasi legge sulla sicurezza e sul rapporto superficie aula/alunno. I risultati sono già in corso: alcuni istituti, specie nelle grandi città, stanno cominciando a non accettare più nuovi iscrizioni, ledendo diritti costituzionali, gli stessi che la sentenza del Consiglio di Stato due giorni fa ha detto che sono stati violati con i tagli del biennio 2009- 2011: la risposta del Miur è stata che, tra le varie questioni esaminate dal Consiglio, solo una violava il principio degli accordi Stato- Regione (Art. 117 della Costituzione). Guarda caso, proprio quello relativo alla riduzione di organico.

Roberto La tona

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